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10 Giugno 2013
Supplemento Maternity Care

Notizie dall’Italia

1. Personale del Servizio sanitario nazionale, donne sempre più numerose

2 maggio 2013

La prevalenza delle donne tra il personale del SSN è uno degli aspetti evidenziati nella monografia «Personale delle ASL e degli Istituti di cura pubblici – Anno 2010», a cura del Ministero della Salute – Direzione generale del sistema informativo e statistico sanitario, reso noto il 2 maggio 2013. La pubblicazione presenta i dati al 2010 del personale dipendente delle Aziende Sanitarie Locali, delle Aziende ospedaliere e delle Aziende Ospedaliere integrate con l’Università. Le 412.125 donne censite rappresentano il 63,8% del personale dipendente, e sono quindi quasi il doppio degli uomini (36,2%). In aumento rispetto al 2009 soprattutto le donne medico, ma anche le infermiere.

Secondo quanto illustrato nel documento, nel 2010 il personale dipendente del SSN era pari a 646.236 unità, complessivamente per i ruoli sanitario, professionale, tecnico ed amministrativo. Rispetto al 2009 si registra una sostanziale stabilità (+0,02%).

I medici e odontoiatri sono 107.448, di cui 39.660 donne (pari al 36,9%). Il numero delle donne medico ha registrato un aumento del 3,7% rispetto al 2009. Il numero degli infermieri raggiunge le 263.803 unità, di cui 203.202 donne (pari al 77,0%). Il numero delle infermiere aumenta lievemente rispetto al 2009: +0,3%

Dal punto di vista della ripartizione geografica, se si considera il numero assoluto dei dipendenti del SSN, nel 2010 sono le Marche a registrare il maggior aumento nella dotazione di personale (+3,5%), seguite dalla Puglia (+3,0%). La Sicilia è la Regione in cui registra il maggior calo di dipendenti (-6,8%), seguita dalla Campania.

Per un confronto più significativo, si può prendere in considerazione il numero dei dipendenti per 1.000 residenti (fonte dati popolazione: Istat). Per l’anno 2010, fanalino di coda è il Lazio, con 8,1 unità di personale dipendente del SSN per 1.000 residenti, mentre Bolzano ne registra più del doppio: 16,7 unità per 1.000 residenti.

(Fonte: Ministero Salute)
(Approfondimenti: http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_1952_allegato.pdf)

2. Video choc dei Radicali sull’eutanasia e giornata di mobilitazione per la proposta di legge sull’«Eutanasia legale»

3 maggio 2013

In un video choc diffuso dai Radicali italiani Piera Franchini parla del suo dramma di malata terminale e della sua scelta di ricorrere all’eutanasia, recandosi a Fork, vicino Zurigo. Il video è un’iniziativa dell’Associazione Luca Coscioni e ha aperto la campagna «Eutanasia legale».

«Il video a favore dell’eutanasia diffuso dai Radicali genera angoscia e smarrimento. Di fronte alle persone che hanno paura di soffrire e che pensano di farla finita, il richiamo alla morte cercata appare come l’ultima resa di un umanesimo ormai sconfitto. Non è questa la risposta», ha dichiarato Paola Ricci Sindoni, vicepresidente vicaria dell’Associazione Scienza & Vita.

«Non si può spettacolarizzare il dolore per fini ideologici. Occorre invece restituire dignità al malato, sostenendolo con le cure palliative e l’accompagnamento dei familiari, la cui speranza è che il proprio caro affronti il momento del distacco non sentendosi mai solo. Il messaggio che viene lanciato è colmo di abbandono e di resa, può apparire anche lesivo della dignità di coloro che ogni giorno affrontano con coraggio e speranza una patologia degenerativa o una diagnosi inguaribile. La storia raccontata nel video è la storia di chi vuole uscire sconfitto dalla vita e che non riesce più a tollerare la paura. Scoraggiante appare chi sfigura questa vicenda di dolore in arma politica».

(Fonti: Scienza & Vita; Corriere della Sera)
(
Approfondimenti: http://video.corriere.it/eutanasia-storia-piera-video-choc-radicali/900a0c54-b3db-11e2-a510-97735eec3d7c)

3. Più tumori nei siti di bonifica

8 maggio 2013

Nei siti di interesse nazionale per la bonifica non solo si muore di più per cause legate alla contaminazione ambientale delle aree industriali, ma è anche più alta l’incidenza di tumori, sia per gli uomini (9%), sia per le donne (7%). Come a Taranto. È quanto emerge dallo studio «Sentieri» (che fa capo all’Associazione italiana di epidemiologia) che, insieme all’Associazione registri tumori, ha controllato i tassi di incidenza dei vari tumori nelle popolazioni residenti nelle 23 (su 44) aree nazionali di bonifica (i cosiddetti SIN), coperte da registri tumori (2.000.000 di persone), confrontandole con i tassi delle macroaree a cui appartengono, riscontrando regolarmente degli eccessi.

Le aree studiate sono: Porto Torres, Balangero, Basso bacino fiume Chienti, Biancavilla, Bolzano, Brescia (Caffaro), Casale Monferrato, Cengio e Saliceto, Cogoleto (Stoppani), Falconara, Fidenza, Laghi di Mantova, Laguna di Grado e Marano, Litorale Domizio Flegreo e Agro Aversano, Milazzo, Pieve Vergonte, Priolo, Sassuolo e Scandiano, Serravalle Scrivia, Terni e Papigno, Trento Nord, Trieste.

Il nuovo studio ha riscontrato complessivamente 57.391 casi di tumore negli uomini e 49.058 nelle donne (negli anni dal 1996 al 2005): tumori di diverso tipo (35 le sedi esaminate) non tutti ovviamente riconducibili a cause ambientali. Ed è questo che dovrà fare ora lo studio «Sentieri»: mettere in relazione questi dati con la caratterizzazione ambientale delle aree e le esposizioni delle popolazioni, nonché definire con esattezza la componente ambientale degli eccessi osservati.

Certo è che – per quanto preliminari – i dati confermano le conclusioni generali dello studio «Sentieri» del 2011, rafforzando l’ipotesi dell’origine ambientale di molte malattie riscontrate nell’indagine. I dati dei registri vanno inoltre ad aggiungersi all’ingente mole di informazioni già prodotte (sulla mortalità, ma anche sui ricoveri, come nel caso di Taranto, addirittura quartiere per quartiere) consentendo analisi molto dettagliate per un buon numero di queste aree.

Non solo, il ricorso ai dati di buona qualità dei registri tumori dà un’altra preziosa informazione: di ambiente contaminato ci si ammalava in passato (i dati di mortalità si riferiscono in genere a esposizioni lontane decenni), ma ci si continua ad ammalare anche nel presente (l’incidenza registra malattie in corso e quindi frutto di esposizioni più recenti).

(Fonte: www.scienzainrete.it)
(
Approfondimenti: http://www.scienzainrete.it/contenuto/articolo/quando-linquinamento-industriale-accorcia-vita;
http://www.epiprev.it)

 4. «Scienza & Vita»: nuova presidenza con Paola Ricci Sindone e Domenico Coviello

10 maggio 2013

Il Consiglio esecutivo dell’Associazione «Scienza & Vita», riunito il 10 maggio, ha deliberato all’unanimità la nomina della nuova presidenza associativa a seguito delle dimissioni del past president, Lucio Romano, eletto al Senato. Nel segno della continuità sono stati eletti presidente Paola Ricci Sindoni, ordinario di Filosofia morale all’Università di Messina, già vicepresidente vicario dell’associazione, e, come copresidente, Domenico Coviello, direttore della S.C. Laboratorio di Genetica Umana, E.O. Ospedali Galliera di Genova. Restano confermate le cariche precedenti: vicepresidenti Massimo Gandolfini e Daniela Notarfonso; segretario Emanuela Lulli; tesoriere Gino Passarello.

«Esprimiamo il nostro più vivo ringraziamento per la fiducia concessa e ci mettiamo a servizio dell’Associazione», hanno commentato Paola Ricci Sindoni e Domenico Coviello. «Nel nostro percorso siamo certi di poter contare sull’ottimo lavoro di squadra, sulla collaborazione e sulle competenze di tutti i membri dell’Esecutivo e delle 106 associazioni locali. Proseguiremo nel segno dell’attenzione, della riflessione e della testimonianza sui temi etici, bioetici e biomedici, agendo nel confronto pubblico con la cifra di “Scienza & Vita”: dialogo e propositività».

(Fonti: Sir; Scienza&Vita)

5. A sorpresa l’Italia centra l’obiettivo di Kyoto

10 maggio 2013

L’Italia è molto vicina a rispettare l’obiettivo del protocollo di Kyoto. Il dato emerge dall’ultimo inventario nazionale delle emissioni reso noto dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA): dal 1990 al 2011 le emissioni totali di gas serra sono calate del 5,8 per cento. E a giudicare dai dati preliminari per il 2012, che mostrano un’ulteriore riduzione, siamo ormai vicini al 6,5 per cento stabilito a Kyoto.

Tutto ciò è avvenuto in parte per la crisi economica, ma anche grazie a una riconversione della produzione di energia verso fonti meno impattanti, e a incrementi dell’efficienza energetica. Le emissioni dell’industria manifatturiera, per esempio, sono calate del 29,6 per cento, anche perché si è passati dall’olio combustibile al gas naturale (ma in questo settore le difficoltà economiche degli ultimi anni hanno avuto un peso rilevante). E sono diminuite anche le emissioni derivate dall’agricoltura e quelle legate al trattamento e alla gestione dei rifiuti. Sono invece aumentati del 9,7 per cento i gas serra prodotti dal settore residenziale, e di ben il 15 per cento quelli derivati dai trasporti.

(Fonte: www.scienzainrete.it
(Approfondimenti: http://www.isprambiente.gov.it/it/ispra-informa/area-stampa/comunicati-stampa/anno-2013/gas-serra-verso-il-traguardo-di-kyoto)

6. Un fiume di gente per dire «sì» alla vita

12 maggio 2013

Un fiume di gente è partito dal Colosseo il 12 maggio per raggiungere Piazza S. Pietro, in occasione della terza Marcia nazionale per la vita. Le forze dell’ordine hanno stimato la presenza di 30 mila persone. Tante le famiglie, i bambini e i giovani. «La grande mobilitazione pro-life –  sottolineano i promotori – si rivela ancora occasione di grande festa per la vita e di lotta contro l’ingiusta legge 194».

I partecipanti sono stati salutati dal Papa al «Regina Coeli», un gesto che «rappresenta – sottolineano i promotori dell’evento – il più alto riconoscimento per l’iniziativa e la conferma della sensibilità del Pontefice ai principi non negoziabili, a cominciare dal diritto alla vita».

La Marcia per la Vita è iniziata al Colosseo con i saluti dei numerosi rappresentanti di movimenti pro-life giunti da tutto il mondo. «La nostra Marcia è quella di un popolo della vita che, difendendo la vita, vuole infondere nuova vita in una società che si decompone e muore», ha detto Virginia Coda Nunziante, portavoce dell’evento, nel suo discorso di apertura. Il card. Raymond Leo Burke, nell’adorazione eucaristica tenutasi alla vigilia, aveva definito la manifestazione «espressione di fede cattolica e atto di servizio alla società in cui viviamo e al suo bene comune».

Folto il numero dei religiosi presenti, tra i quali l’Istituto del Verbo Incarnato, i Francescani dell’Immacolata e gli Orionini, questi ultimi guidati dal loro superiore generale don Flavio Peloso. Hanno partecipato alla Marcia, «rigorosamente apartitica e senza slogan e simboli politici», diversi parlamentari. La manifestazione si è conclusa in piazza san Pietro, dove il Papa è sceso tra la folla incontrando i partecipanti.

Intanto prosegue in varie forme fino al 1° novembre 2013 la sottoscrizione per «Uno di noi». È possibile firmare la petizione online dal sito del Comitato Italiano www.firmaunodino.it  o sul sito europeo www.oneofus.eu.  Oppure si può scaricare e stampare l’apposito modulo dal sito www.firmaunodino.it

(Fonte: Avvenire)
(
Approfondimenti: www.oneofus.eu)

7. Il diabete abbatte ufficialmente il muro dei 3 milioni di malati in Italia: allarme dei medici specialisti

16 maggio 2013

Secondo i dati ISTAT 2012, analizzati dal Centro Studi dell’Associazione Medici Diabetologi (AMD), gli italiani con diabete sono oltre 3.268.000, con una percentuale del 5,5% sulla popolazione nazionale. Superata ufficialmente, quindi, almeno per le statistiche, la barriera dei 3 milioni di malati; erano poco più di 2,9 milioni secondo i dati 2011. Sempre secondo ISTAT, la percentuale di persone con diabete era del 4,9% nel 2011 e del 3,4% nel 1993, con un aumento di oltre il 60% negli ultimi 20 anni.

AMD-Associazione Medici Diabetologi ha stilato la classifica delle Regioni italiane per numero di persone con diabete, evidenziando quanto questa malattia cronica sia un problema sociale gravoso nel Sud, dove è percentualmente più presente, ma veda la popolazione con diabete equamente ripartita tra Nord, Centro e Sud del Paese. La classifica vede, infatti, al primo posto la Lombardia con oltre 533 mila malati su una popolazione di 9,7 milioni, in linea con la percentuale nazionale; al secondo posto la Campania con oltre 334 mila persone con diabete, ma con una popolazione pari a poco più della metà della Lombardia. La terza in classifica è la Sicilia con 290 mila abitanti con diabete (su 5 milioni complessivi), davanti al Lazio, con 286 mila malati e una popolazione di 5,5 milioni.

Nel complesso, secondo i dati ISTAT rielaborati da AMD, vivono al Nord poco più di 1.100.000 persone con diabete, al Sud poco meno dello stesso numero e al Centro circa 1 milione.

La “maglia nera” dell’ISTAT per la percentuale di persone con diabete sulla popolazione totale va a Calabria e Abruzzo, con una prevalenza rispettivamente del 7,2% e del 7,4%; in termini assoluti, entrambe si trovano “solo” a metà classifica, in quanto Regioni con meno di 2 milioni di abitanti. Risulta, invece, che la Regione “meno diabetica” è la Valle d’Aosta, in fondo alla classifica tanto per numero di abitanti con diabete (poco più di 4.500) quanto per la percentuale di malati più bassa d’Italia: il 3,6%.

«I casi reali sono probabilmente più numerosi di quelli evidenziati dall’ISTAT», commenta Carlo Bruno Giorda, Presidente AMD. «Si stima, infatti, che ogni 2-3 persone con diabete ce ne sia 1 che lo è senza saperlo e, applicando questa stima, si dovrebbe aumentare del 30-50% il numero dei malati, portando gli italiani con diabete non lontano dalla soglia dei 5 milioni. A Roma – prosegue Giorda – dal 29 maggio al 1 giugno si svolgerà il XIX Congresso Nazionale AMD che prevede la partecipazione di oltre 2.000 diabetologi ed esperti provenienti dall’Italia e dall’estero, per discutere di quella che anche nel nostro Paese  può essere ormai considerata una vera e propria “epidemia”, secondo questi dati».

(Fonte:  Associazione Medici Diabetologi-AMD)
(Approfondimenti: http://www.istat.it/it/files/2013/03/bes_2013.pdf)

8. I grandi ospedali sono più sicuri: conferma da un nuovo studio

17 maggio 2013

Il rischio di morte per un intervento chirurgico è significativamente più alto negli ospedali di piccole dimensioni. È il risultato di uno studio condotto dall’Agenzia sanitaria per i servizi regionali (Agenas) e il Dipartimento di epidemiologia del Lazio. L’indagine sui «Volumi di attività ed esiti delle cure: prove scientifiche in letteratura ed evidenze scientifiche in Italia»  vuole dimostrare quali sono le malattie curate meglio negli ospedali con alti volumi di attività. Le conclusioni parlano chiaro. Farsi operare in una struttura che svolge poche operazioni potrebbe essere fatale per almeno 14 diverse patologie: l’aneurisma dell’aorta addominale non rotto, l’angioplastica coronarica, l’artoplastica del ginocchio, il bypass aortocoronarico, il tumore del colon, del pancreas, del polmone, della prostata, dello stomaco e della vescica, la colecistectomia laparoscopica, l’endoarterectomia carotidea, la frattura del femore e l’infarto. Per dimostrarlo, hanno svolto una ricerca sistematica negli studi internazionali pubblicati. Questi risultati sono stati poi confrontati con i dati del Programma nazionale «Esiti 2012».

L’infarto è una delle patologie che fa più vittime con una media nazionale elevata: nel 2011 il 10,28% dei pazienti è morto entro 30 giorni dall’intervento. In questo caso, tuttavia, l’ospedale in cui si viene operati può fare la differenza. Lo studio mostra che il numero di morti crolla fino a circa 100-150 casi l’anno e continua a diminuire al crescere dei ricoveri. È errato tuttavia parlare di una soglia di interventi oltre la quale si può ritenere un ospedale sicuro. Forse non è un caso se tra gli ospedali con l’indice di rischio per infarto più alto (66,67%) nel 2011 ci siano strutture con un volume di 7 casi l’anno; tra i centri più virtuosi, invece, c’è una struttura con 891 casi l’anno, che ha un indice di rischio del 6,47%.

Anche per i malati di tumore si presenta un rischio analogo. Per esempio, nel 2011 il 5,88% dei pazienti operati di cancro allo stomaco sono morti ed è una delle malattie oncologiche più pericolose. Anche per questo intervento si è più sicuri in un grande centro. I pazienti che non sopravvivono dopo 30 giorni dall’intervento si riducono drasticamente negli ospedali che operano fino a circa 20-30 casi all’anno e la curva continua ad abbassarsi al crescere dei volumi di attività.

Riguardo ai motivi per cui il rischio di morte cala negli ospedali con più ricoveri gli esperti sembrano essere tutti d’accordo. «È una relazione già ampiamente documentata dalla letteratura internazionale – spiega Carlo Perucci, direttore di Agenas – nella chirurgia c’è una linea d’apprendimento riguardo alla manualità e alle competenze. Più si lavora, più si diventa bravi». Anche la numerosità delle equipe è un fattore determinate. Infine, anche il maggior numero di attrezzature sembra giocare a favore dei grandi centri. «Solo le strutture con alti volumi, possono avere tutta l’infrastruttura necessaria per affrontare il problema», prosegue Perucci. «Se un paziente ha un trauma cranico e va nell’ospedale più vicino che non ha imaging o il radiologo non è reperibile, è chiaro che perde tempo. Il fattore tempo è fondamentale per molte patologie».

(Fonte: Wired.it) (Approfondimenti: http://daily.wired.it/news/scienza/2013/04/10/mappa-ospedali-italiani-7237824.html;
www.agenas.it)

9. Minori e futuro, l’Italia è in fondo alla lista

21  maggio 2013

Bambini e adolescenti italiani sono vittime di un vero e proprio «furto di futuro». La povertà – economica, sociale, di istruzione, di lavoro – li sta colpendo oggi più che mai, privandoli di prospettive e opportunità. E con loro, inevitabilmente, l’Italia di domani. A lanciare l’allarme – con una campagna articolata, dossier e iniziative in 16 città italiane – è «Save the Children» onlus Italia. «Allarme infanzia» è il nome scelto per la mobilitazione. Secondo un rapporto dell’organizzazione, infatti, siamo agli ultimi posti in Europa – peggio solo Grecia e Bulgaria – per «povertà di futuro» di bambini e adolescenti, deprivati di opportunità, prospettive e competenze.

Nel rapporto lanciato con l’inizio della campagna (www.allarmeinfanzia.it) dal titolo «L’Isola che non sarà», Save the Children denuncia che il nostro Paese è sette volte in fondo alla lista nell’Ue a 27 sui principali indicatori relativi all’infanzia. Quattro le principali “ruberie” ai danni di bambini e adolescenti: il taglio dei fondi per minori e famiglia, la mancanza di risorse per una vita dignitosa, il basso livello di istruzione, il lavoro. L’Italia è al 18° posto per la spesa per l’infanzia e la famiglia, pari all’1% del Pil. Quasi il 29% di bambini sotto i 6 anni vive ai limiti della povertà, tanto che il nostro Paese è 21° in Ue per rischio povertà ed esclusione sociale fra i minori di età 0-6 anni e il 23,7% vive in stato di deprivazione materiale. Ancora, il nostro Paese è 22° per basso livello d’istruzione, dispersione scolastica e ultimo per tasso di laureati.

Quanto al lavoro, i giovani disoccupati sono il 38,4% degli under 25, il quarto peggior risultato a livello europeo, mentre i cosiddetti «Neet» (cioè i giovani che non lavorano né sono in formazione) sono 3 milioni e 200 mila e posizionano l’Italia al 25° posto su 27. Save the Children sonda anche le paure per il futuro di ragazzi e genitori: in una indagine Ipsos il 25% degli adolescenti pensa che il proprio futuro sarà più difficile di quello dei genitori e quasi uno su 4 (il 23%) pensa di andare all’estero.

Preoccupante è il dato sull’aumento delle disuguaglianze per l’accesso all’università: il 30% dei genitori non ce la fa a pagare la retta. Per il 41% di madri e padri gli aiuti economici diretti alle famiglia dovrebbero essere la più urgente misura anti-crisi del governo. Solo il 16% pensa che i figli riusciranno ad avere una vita migliore della propria. Valerio Neri, direttore della ong, chiede un piano di contrasto alla povertà minorile, uno di investimenti a favore dell’istruzione pubblica e uno per l’utilizzo dei fondi europei.

(Fonte: Avvenire) (Approfondimenti: http://www.allarmeinfanzia.it)

10. 35 anni di legge 194: 5,5 milioni di aborti a fronte di 160 mila bambini salvati dai Cav

22 maggio 2013

Il 22 maggio di 35 anni fa cominciava l’era della legge 194, che ha consentito finora 5 milioni e mezzo di Ivg. Eppure esiste la strada per salvare la vita di queste piccole vittime e le loro mamme da una sofferenza che non trova pace: è quella indicata dall’esperienza dei Centri di aiuto alla vita, nati nel 1975 e diventati attualmente 338 in tutte le Regioni d’Italia. Dal 1975 ad oggi i bambini nati grazie all’aiuto dei Cav sono complessivamente tra 150 e 160 mila e ben oltre 500 mila donne assistite.

Questi sono i numeri raccolti con metodo scientifico dalla Segreteria nazionale, ai quali sfuggono donne accolte ed aiutate, ma non censite, o alle quali è stato sufficiente un semplice colloquio con gli operatori o ancora le donne incontrate non di persona, ma telefonicamente o on line. Numeri quindi che nella realtà potrebbero essere anche doppi rispetto a quelli certificati.

Le prestazioni assistenziali fornite sono soprattutto aiuti in natura, assistenza sociale, psicologica e morale, aiuti in denaro, assistenza medica.

Bassa è la percentuale di gestanti inviate ad un Cav da un consultorio pubblico (solo il 7%), le gestanti inviate da persone amiche sono state il 28%, quelle inviate da parrocchie ed associazioni il 10% e quelle inviate da un’altra utente del Cav il 6%. Le gestanti sono per lo più coniugate (61%), di età variabile dai 25 ai 34 anni (54%), sono prevalentemente casalinghe (39%) o senza lavoro (32%). Le maggiori difficoltà denunciate sono quelle economiche (47%), che salgono al 74% sommando le difficoltà per mancanza di lavoro o di alloggio.

Le gestanti straniere per le quali l’assistenza è iniziata nel corso del 2012 sono state complessivamente 9.163, di 98 diversi Paesi di provenienza. Le più numerose in assoluto continuano ad essere le donne provenienti dal Marocco (22%).

La rete dei Cav è completata da una serie di servizi: Sos Vita, linea verde (800.813000) che ascolta ed aiuta donne in difficoltà per una gravidanza e che sta per sbarcare anche sul web, Progetto Gemma, adozione prenatale a distanza, decine di case di accoglienza.

(Fonte: Zenit.org)
(Approfondimenti:   
http://www.mpv.org/mpv/allegati/711/VitaCAV2012.pdf)

11. Rapporto Istisan sulle esposizioni pericolose e le intossicazioni: i dati 2009

23 maggio 2013

Nel 2009 il Sistema informativo nazionale per la sorveglianza delle esposizioni pericolose e delle intossicazioni (Sin-Sepi) ha esaminato 46.303 casi di esposizione umana provenienti dall’intero territorio nazionale. Lo riferisce il rapporto Istisan 13/8, pubblicato a maggio 2013, che riporta i dati relativi al quarto anno di attività del Sin-Sepi. Questa attività, recentemente inserita nel Sistema Statistico Nazionale, è stata implementata nel 2006 dall’Istituto Superiore di Sanità e dal Centro Antiveleni (Cav) di Milano al fine di fornire un supporto operativo ad attività di sorveglianza richieste dalla normativa nazionale ed europea, con particolare riferimento alla sorveglianza delle intossicazioni acute da antiparassitari, farmacovigilanza, sorveglianza post-marketing dei preparati pericolosi in commercio, incidenti domestici e sorveglianza sindromica. L’attività di rilevazione effettuata dal Sin-Sepi viene documentata tramite rapporti che descrivono le principali caratteristiche dei casi di esposizione umana esaminati per singole annualità e forniscono dettagliate indicazioni sugli agenti coinvolti.

Secondo il rapporto annuale, il 90% degli incidenti esaminati si è verificato in ambiente domestico e il 44% dei pazienti è risultato di età inferiore ai 6 anni. La circostanza di esposizione è risultata di tipo accidentale per il 78% dei casi, principalmente causata da accesso incontrollato da parte di bambino o incapace (45%), e per il 19% da atto volontario, per lo più tentato suicidio (16%). Circa il 40% dei casi è risultato esposto a farmaci e il 57% a non-farmaci .

(Fonte: Istituto Superiore di Sanità)
(Approfondimenti: http://www.iss.it/binary/publ/cont/13_8_web.pdf)

12. Nel 2013 incremento di casi di epatite virale A in Italia

23 maggio 2013

Negli ultimi decenni, in Italia, l’epidemiologia della epatite A ha subito un profondo mutamento: si è, infatti, assistito a un calo progressivo dell’incidenza, come conseguenza delle migliorate condizioni igieniche, sanitarie e socio-economiche che hanno contribuito a una forte diminuzione del rischio di trasmissione oro-fecale e della circolazione del virus Hav. Pertanto, a oggi, l’Italia è un Paese a endemicità medio-bassa. Nonostante questo, negli ultimi 20 anni l’incidenza di Epatite A ha mostrato dei picchi epidemici che si manifestano a intervalli regolari in alcune Regioni dell’Italia meridionale, associati generalmente al consumo di frutti di mare crudi o poco cotti.

Nell’aprile 2013 sono stati segnalati, tramite il Sistema di Epidemic Intelligence di informazione per le malattie trasmesse da alimenti e acqua (Epis-Fwd) e il Sistema di allerta rapida della Commissione europea (Eers), due cluster internazionali di Epatite A: il primo in Paesi nord-europei (presumibilmente legato al consumo di frutti di bosco congelati di importazione extra-Ue); il secondo in turisti di rientro dall’Egitto.

Inoltre ai primi di maggio sono stati segnalati casi di Epatite A in turisti stranieri che avevano soggiornato in Nord Italia. Contemporaneamente un eccesso di casi di epatite A è stato notato in Italia grazie al sistema di sorveglianza Seieva (Sistema epidemiologico integrato dell’epatite virale acuta). In particolare un grosso aumento di casi è stato notato a partire dal mese di settembre 2012. L’eccesso principale di casi si è registrato nei mesi da gennaio ad aprile 2013.

Complessivamente da settembre 2012 ad aprile 2013 il Seieva ha registrato 417 casi di epatite acuta A contro i 167 casi notificati nel corrispondente periodo dell’anno precedente. […]  Poiché i dati riferiti al mese di aprile 2013 potrebbero non essere ancora completi, il numero dei casi potrebbe ancora aumentare.

Dall’analisi dei casi Seieva per regione, l’aumento del numero di nuovi casi è registrato nella maggior parte delle Regioni del centro-nord (in particolare PA di Trento e PA Bolzano, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Veneto) e in una Regione del sud (Puglia). A seguito di queste osservazioni sono in corso ulteriori indagini per valutare i focolai epidemici evidenziati dalla sorveglianza Seieva.

(MARIA ELENA TOSTI- reparto Epidemiologia clinica e linee guida, Cnesps-Iss)

(Fonte: Istituto Superiore di Sanità)
(Approfondimenti: http://www.trovanorme.salute.gov.it/renderNormsanPdf;jsessionid=q4-AgG41q2BsnywoIK+WTA__?anno=0&codLeg=46074&parte=1%20&serie=)

13. XI Convegno nazionale Scienza&Vita su «L’obiezione di coscienza tra libertà e responsabilità»

24 e 25 maggio 2013

«L’obiezione di coscienza tra libertà e responsabilità» è il tema del XI convegno nazionale di «Scienza & Vita» e XIII Incontro nazionale delle associazioni locali che si è tenuto il 24 e il 25 maggio a Roma.

L’obiezione di coscienza è un «felice paradosso della giurisprudenza», secondo la quale “per legge si può rifiutare una parte della legge, non contra legem ma secundum legem». Così Paola Ricci Sindoni, presidente di Scienza&Vita, ha aperto i lavori. L’obiezione, così, si configura come «il segnale di attenzione al comune sentire dell’uomo: non c’è libertà senza responsabilità e viceversa. Medici e operatori sanitari vengono spesso lasciati soli, pertanto occorre arricchire il nostro vocabolario di parole» affinché «esprimano con energia e rispetto lo sfondo valoriale e giuridico sottostante, che va oltre scelte religiose, deontologiche e politiche».

Dei rapporti tra politica e religione ha parlato Francesco Paolo Casavola, presidente emerito della Corte Costituzionale: «L’obiezione di coscienza – ha detto – è la manifestazione di una inamovibile libertà interiore. […] La non-simmetria tra responsabilità e libertà può essere almeno lenita se ci ricordiamo scambievolmente che Dio è misericordia».

L’obiezione di coscienza, ha detto padre Maurizio Faggioni, docente di Bioetica all’Accademia Alfonsiana di Roma, evoca il conflitto possibile tra «l’ingiunzione di una legge» e «la concezione di bene», configurandosi come «baluardo per la persona davanti allo Stato, che impone le sue leggi e le sue prospettive: non un’opposizione tra ius e lex, ma tra ciò che si sente e ciò che è possibile fare». In quest’ottica, «lo Stato deve accordare l’obiezione di coscienza non per rispetto di qualunque privatezza, ma per i valori che la società condivide. Occorre spostare l’attenzione dal rispetto della soggettività ai valori condivisi per cui ci sentiamo non in grado, in coscienza, di obbedire all’ingiunzione di una determinata legge».

Secondo Luciano Eusebi, docente di Diritto penale all’Università Cattolica del Sacro Cuore, «siamo uguali perché i diritti non ci verranno riconosciuti in base a un giudizio, ma solo dall’esistenza in vita. Se viene messo in discussione il diritto alla vita si pone in dubbio il diritto all’uguaglianza». Sul rapporto tra scienza e coscienza si è soffermato Angelo Fiori, docente emerito di Medicina legale alla Cattolica: due “fenomeni”, secondo l’esperto, «incrinano la prassi della scienza medica: la medicina alternativa e quella difensiva. Quest’ultima, esosissima: in Italia costa 13 miliardi di euro l’anno, a fronte di una spesa totale della sanità italiana pari a circa 120 miliardi. L’evoluzione della medicina – ha concluso – propone sempre più seri ma trascurati problemi di coscienza».

Per «legittimare l’obiezione di coscienza, la libertà religiosa e di pensiero non bastano»,ha detto il presidente nazionale del Movimento per la vita, Carlo Casini. Occorre infatti «che ci sia in gioco un valore così grande da giustificare una apparente contraddizione. Deve, cioè, trattarsi di un valore riconosciuto come fondamentale anche dall’ordinamento giuridico: e la vita umana è il valore fondativo di un sistema politico-giuridico giusto». Per il presidente del Mpv l’obiezione ha non solo la funzione «di difendere la coscienza individuale», ma anche di mantenere «nella coscienza sociale la percezione del valore anche quando l’ordinamento si ritiene obbligato a violarlo». Così l’iniziativa di raccolta di firme «Uno di noi», ha aggiunto Casini, è «l’obiezione di coscienza dei popoli: se il concepito non è “uno di noi”, le motivazioni dell’obiezione diventano irragionevoli, sono soltanto opinioni discutibili, effetto di scrupoli religiosi».

Romano Forleo, già direttore della divisione di ostetricia e ginecologia del Fatebenefratelli di Roma, ha aperto la seconda giornata del seminario di Scienza&Vita. Secondo Forleo, se l’attuale crisi economica, basata sulla concezione di “homo oeconomicus”, valuta il progresso attraverso il reddito medio, dobbiamo «sostituire il Pil con la felicità, così da valutare il ben-essere attraverso la soddisfazione di vita. Una medicina per la felicità, dunque, comporta l’acquisizione di un metodo di dialogo e un allargamento della cultura: accanto alla medicina delle prove è venuta fuori la medicina basata sulla narrazione». In quest’ottica, alcune discipline appaiono “indispensabili” alla formazione permanente del ginecologo o dell’ostetrico: storia e filosofia della medicina, sociologia ed ecologia, arti ed estetica, psicologia e antropologia, pedagogia e bioetica.

Sulla «disinformazione» e le «pesanti complicità mediche» si è soffermato Piero Uroda, presidente dell’Unione farmacisti cattolici: «Per noi cristiani – ha spiegato – il discorso è diverso perché non riconosciamo valore definitivo all’autorità umana. Noi siamo figli di Dio e obbediamo alle sue leggi prima che a quelle degli uomini». Secondo Paolo Marchionni, medico legale presso l’Azienda sanitaria unica regionale delle Marche, occorre un «servizio alternativo garantito, affinché l’attività dell’obiettore non sia marginalizzata o considerata d’intralcio, ma vista come valore positivo nella difesa del diritto alla vita della donna e del concepito». «Noi non vogliamo essere meri esecutori di cose che qualcun altro ha scritto», ha detto Barbara Mangiacavalli, segretario della federazione nazionale dei collegi Ipasvi (infermieri professionali, assistenti sanitari e vigilatrici d’infanzia), perché «come categoria gli infermieri non possono avvalersi dell’obiezione ma solo della clausola di coscienza».

Di «ipertrofia normativa» legata all’obiezione di coscienza ha parlato poi l’avvocato cassazionista Simone Pillon: «Le minoranze creative hanno consentito alle civiltà di evolversi. Per chi obietta non c’è tutela dal punto di vista amministrativo e giuslavorativo come dal punto di vista penale. Non possiamo permettere che la professione sia intimidita a fronte dei diritti più sacrosanti di ciascuno di noi: è necessario un intervento legislativo che incanali il flusso ideologico e protegga la libertà delle coscienze e delle persone». Contestualmente è stata annunciata la nascita di una struttura di servizio legale, mediante un pool di avvocati, che tutelerà il diritto all’obiezione di coscienza da parte dei medici, soprattutto i più giovani.

«Siamo l’unico Paese al mondo in cui gli aborti si fanno nelle strutture pubbliche. In Spagna il 98% delle interruzioni volontarie di gravidanza avviene negli ospedali privati, e altrove non esiste il problema di obiezione perché c’è lucro», ha detto Assuntina Morresi, membro del Comitato nazionale di bioetica. Inoltre, ha aggiunto, «i tempi di attesa sono indipendenti dal numero degli obiettori: nel Lazio gli obiettori sono aumentati e i tempi di attesa diminuiti, perché la legge 194 prevede mobilità del personale, e ci sono i contratti a gettone, ossia solo per fare gli aborti».

(Fonti: agenzia Sir e Scienza&Vita)

14. Giornata del sollievo: cure palliative per una  medicina basata sull’etica

25  maggio 2013

La legge del 15 marzo 2010 n. 38 sulle cure palliative «ha costituito una svolta nella normativa sanitaria del nostro Paese in quanto affronta un aspetto da sempre lasciato nell’ombra dell’assistenza ai pazienti». Lo scrive Antonio G. Spagnolo, nell’editoriale dell’ultimo numero della rivista «Medicina e Morale», curato dallo stesso e dedicato ai tre anni della legge 38 sulle cure palliative. L’uscita della rivista è in concomitanza con la Giornata del Sollievo che si è celebrata il 26 maggio. «Per molto tempo – ricorda Spagnolo – le cure palliative sono state considerate, erroneamente, un fallimento della medicina, un ‘”pannicello caldo” da offrire ai pazienti in evoluzione cronica di malattia per i quali “non c’era più niente da fare”». Ora, non potendo più «fare affidamento solo sulla sensibilità e la buona volontà di alcuni professionisti per far beneficiare i pazienti della medicina palliativa, la legge 38 – sottolinea l’esperto – ha inteso tutelare in modo inequivocabile il diritto del cittadino, di tutti i cittadini-pazienti, ad accedere alle cure palliative e alla terapia del dolore, come livello essenziale di assistenza, al fine di assicurare il rispetto della dignità e dell’autonomia della persona umana, il bisogno di salute, l’equità nell’accesso all’assistenza, la qualità delle cure e loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze».

«Come si può ben vedere – rileva Spagnolo – tali finalità hanno una profonda valenza etica, che la stessa legge riconduce al rispetto di alcuni principi fondamentali da parte di coloro che erogano cure palliative e terapia del dolore, assicurando un programma di cura individuale per il malato e la sua famiglia». E questi principi sono: «la tutela della dignità e dell’autonomia del malato, senza alcuna discriminazione»; «la tutela e promozione della qualità della vita fino al suo termine»; «l’adeguato sostegno sanitario e socio-assistenziale della persona malata e della famiglia».

«Le cure palliative – evidenzia l’esperto – ci aiutano anche a capire che una buona medicina è basata innanzitutto sulla persona e la persona ci riporta alla sua dimensione etica, la quale dunque viene ancora prima, benché non in contrapposizione, di qualsiasi altra considerazione di evidenza statistica». Questa «Ethics-Based Care», che comincia a farsi strada proprio attraverso la “personalizzazione” delle cure palliative, «ci pone, dunque, di fronte alla sfida di come tener conto nel singolo paziente e nella sua famiglia delle conclusioni a cui arriva l’evidenza legata ai grandi trials clinici, protocolli, linee-guida, delle conclusioni cioè della Evidence-Based Medicine».

(Fonte:  Agenzia Sir)
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Approfondimenti: http://www.rm.unicatt.it/medmor)

15. Stamina, levata di scudi della Stem Cell Research

26 maggio 2013

Tutto fa pensare a un nuovo “caso di Bella”. Guidata dalla Stem Cell Research Italy (Scr Italy), è la comunità scientifica internazionale delle “cellule bambine” ad alzare gli scudi contro il cosiddetto decreto Stamina. «Usano i pazienti come cavie», afferma senza mezzi termini Umberto Galderisi, docente di Biologia molecolare alla Seconda Università di Napoli e presidente di Scr. «È la politica che decide cosa è scienza e cosa non lo è», aggiunge Antonio Giordano, direttore dello Sbarro Institute of cancer and molecular medicine di Philadelphia. «In America non sarebbe mai accaduto, tanto è vero che qui si sta mobilitando tutta la comunità scientifica in sostegno del nostro appello».

Giordano è il presidente onorario di Scr Italy, l’associazione che, alla vigilia dell’approvazione del decreto, aveva messo in guardia i politici dall’«esporre i malati dai rischi notevoli di sfruttamento e facile manipolazione mediatica». Un appello condiviso dalla Iplass International Placenta Stem Cell Society e da un gruppo di 13 specialisti internazionali del settore, in un articolo pubblicato su «Embo Journal». All’indomani dell’approvazione del testo le cose non cambiano. Anzi cresce l’amarezza.

Nonostante alcuni “ragionevoli accorgimenti”, per esempio l’obbligo di utilizzo dei medicinali solo in strutture pubbliche, il giudizio rimane fortemente negativo: «È un fallimento della scienza. Dovrebbero essere i medici a dare indicazioni sulla salute dei pazienti e non i legislatori; siamo nel bel mezzo di un cortocircuito – osserva Galderisi – che ci porta fuori dal mondo occidentale. Finiremo coi pazienti che andranno dal medico accompagnati dai carabinieri per farsi prescrivere la cura che credono più efficace».

Approvato dal Senato il 22 maggio con 259 sì, 2 no e 6 astenuti, il provvedimento “Stamina” ora è legge. Con l’ok al testo si consente a chi ha già iniziato le terapie con il metodo brevettato da Davide Vannoni, psicologo all’Università di Verona e presidente della Stamina Foundation, che da mesi sta conducendo su alcuni bambini affetti da tumore una cura sperimentale presso gli “Spedali Civili” di Brescia. I dubbi nutriti dagli scienziati negli ultimi mesi, tra cui anche gli editorialisti di «Nature», riguardano il carattere eminentemente empirico del trattamento clinico, totalmente privo finora di verifiche rigorose basate su protocolli scientifici. Intanto la legge appena approvata prevede che chi ha iniziato le terapie con il metodo Stamina potrà continuare, avviando una sperimentazione promossa dal ministero della Salute per la quale vengono stanziati fino a 3 milioni di euro. Le cellule staminali mesenchimali – al centro del discusso metodo – verranno trattate come farmaci e non secondo le regole dei trapianti, considerate meno rigide.

«Stanno solo provando a limitare i danni – spiega Galderisi – perché di fatto si è dato il placet a un utilizzo dei pazienti come cavie. Siccome sono pazienti terminali, dicono, tanto vale provare. Ma in questo modo si specula sulla speranza, si compie un’azione scorretta; i malati terminali hanno bisogno di più tutela, non di meno tutela. Quando si va in una trasmissione televisiva con dei bambini malati, siamo di fronte a una specie di sconfitta». Se una terapia manca di razionale scientifico, spiegano gli scienziati di Scr Italy, non può in alcun modo essere utilizzata in fase sperimentale sui pazienti. Ammesso e non concesso che ci siano dei primi esiti positivi, si tratta comunque di risultati ottenuti sperimentando un metodo di cui non si possiede adeguata nozione su degli esseri umani.

CRISTIAN FUSCHETTO

(Fonte: Scienza in Rete)
(Approfondimenti: http://www.stemcellitaly.org)

16.  Istat: separazioni e divorzi in crescita. Il matrimonio dura in media 15 anni

27 maggio 2013

In Italia ci si separa e si divorzia sempre di più. I dati dell’Istat attestano che nel nostro Paese la tendenza è in crescita: se nel 1995 per ogni 1.000 matrimoni si contavano 158 separazioni e 80 divorzi, nel 2011 si arriva a 311 separazioni e 182 divorzi.I dati sono illustrati dall’Istituto di statistica nel report sui matrimoni e i divorzi in Italia nel 2011: in quell’anno le separazioni sono state 88.797 e i divorzi 53.806, sostanzialmente stabili rispetto all’anno precedente (+0,7% per le separazioni e -0,7% per i divorzi).

Per quanto riguarda la durata media del matrimonio, al momento dell’iscrizione a ruolo del procedimento, è pari a 15 anni per le separazioni e a 18 anni per i divorzi. L’età in cui l’amore finisce in modo definitivo, per gli ex coniugi, è in media a 46 anni per gli uomini, e 43 per le donne in caso di separazione. Il divorzio, invece, arriva rispettivamente a 47 e 44 anni. La soglia si è spostata in avanti negli anni per effetto della posticipazione delle nozze in età più matura e per la crescita delle separazioni con almeno uno sposo ultrasessantenne.

In media il percorso scelto è prevalentemente consensuale. Nel 2011 si sono concluse in questo modo l’84,8% delle separazioni e il 69,4% dei divorzi. I casi di separazioni non consensuali – giudiziali – sono più numerosi nel Mezzogiorno (19,9%), e nel caso in cui entrambi i coniugi abbiano un basso livello di istruzione (21,5%). A dirsi addio sono soprattutto coppie con figli. È il caso del 72% delle separazioni e del 62,7% dei divorzi. In particolare, il 90,3% delle separazioni di coppie con figli ha previsto l’affido condiviso, modalità ampiamente prevalente dopo l’introduzione della legge 54/2006.

Nel 19,1% delle separazioni è previsto un assegno mensile per il coniuge (nel 98% dei casi corrisposto dal marito). Tale quota è più alta al Sud e nelle isole (rispettivamente 24% e 22,1%), mentre nel Nord si attesta al 16%. Gli importi dell’assegno mensile sono, al contrario, mediamente più elevati al Nord (562,4 euro) che nel resto del Paese (514,7 euro).

(Fonte: La Repubblica)
(Approfondimenti: http://www.istat.it/it/archivio/91133)

17. La Camera dei deputati approva la Convenzione di Istanbul sulla violenza contro le donne

28 maggio 2013

Amnesty International Italia ha espresso soddisfazione per il voto con cui il 28 maggio la Camera dei Deputati ha approvato la legge di ratifica della Convenzione del Consiglio d‘Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul). «Il voto della Camera dei Deputati è un primo passo avanti. Ci aspettiamo ora la rapida approvazione anche in Senato – – ha dichiarato Antonio Marchesi, presidente di Amnesty international Italia -. Poi, perché la Convenzione di Istanbul sia davvero uno strumento giuridico efficace, le sue disposizioni dovranno essere prese sul serio e puntualmente attuate nel nostro ordinamento».

La Convenzione, adottata dal Consiglio d’Europa nel 2011, è il primo strumento giuridicamente vincolante per gli Stati in materia di violenza sulle donne e violenza domestica; contiene misure per la prevenzione della violenza, la protezione delle vittime e i procedimenti penali per i colpevoli; definisce e criminalizza le diverse forme di violenza contro le donne tra cui il matrimonio forzato, le mutilazioni genitali, lo stalking, le violenze fisiche e psicologiche e la violenza sessuale. Fermare la violenza contro le donne è una delle richieste contenute nell’Agenda in 10 punti per i diritti umani che Amnesty international ha presentato a tutti i candidati alle recenti elezioni. Una richiesta sottoscritta da tutti i leader delle formazioni dell’attuale governo e da 117 parlamentari.

«Contrastare la violenza alle donne è dovere di ogni Stato democratico e ci auguriamo che la ratifica della Convenzione di Istanbul, avvenuta alla Camera, sia il primo atto di un impegno concreto in questo senso»: così Paola Ricci Sindoni, presidente nazionale dell’Associazione Scienza & Vita, ha commentato l’approvazione del trattato. «Non siamo in presenza di un “fenomeno” passeggero di devianza – osserva Ricci Sindoni -, ma di un virus trasversale, diffuso in tutto il Paese, cui nessuna categoria sembra immune: giovani e adulti, professionisti e disoccupati, immigrati e italiani». La presidente di Scienza & Vita fa riferimento a «storie terribili di abusi e prevaricazioni», un «modello culturale di spersonalizzazione in cui la donna è ridotta a un mero oggetto di proprietà», con una «enfasi eccessiva da parte dei mass media» che scatena «tristemente una condotta mimetica». Chiede perciò di «intervenire per modificare questa diffusa subcultura della micro violenza quotidiana». Secondo Ricci Sindoni bisogna mettere in pratica «alcune necessarie misure di prevenzione, per una cultura della relazione, a partire dall’educazione dentro la famiglia sino alla scuola. La politica faccia la sua parte, applicando efficacemente tutti i mezzi messi a disposizione dalle leggi».

(Fonti: Agenzia Sir; Scienza&Vita)
(Approfondimenti: http://www.giuffre.it/176813/Convenzione_Istanbul_violenza_donne.pdf )

 

© Bioetica News Torino, Giugno 2013 - Riproduzione Vietata