Nell’accogliente Salone del Centro Congressi “Santo Volto” di Torino, sotto la grande stella a sette punte che disegna il soffitto, sabato 18 maggio, alle ore 9.00, si è svolto il Convegno «La medicina psicosomatica oggi. Attualità e prospettive per la bioetica clinica del III millennio».
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Foto © Alfonso D’Angelo
Sono intervenuti Alessandro Meluzzi, medico psichiatra e psicoterapeuta, Giorgio Calabrese, medico docente di Dietetica e Nutrizione umana presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza e Paolo Merlo, docente di Teologia Morale all’Università Pontificia Salesiana. Ha moderato l’incontro Enrico Larghero, responsabile scientifico del Master Universitario in Bioetica.
Il professor Paolo Merlo ha tenuto una ricca relazione introduttiva. Il suo interessante studio dal punto di vista bioetico, filosofico e teologico, ha inquadrato il tema della medicina psicosomatica come scienza attenta all’uomo. C’è un presupposto teorico: l’unità della persona è il punto della psicosomatica. È un concetto sull’uomo che mira a non dividerlo in mente e corpo, bensì a concepirlo come un insieme di una sola totalità. «È la considerazione dell’uomo come inscindibile unità psicofisica; tale principio implica che accanto ai fattori somatici giochino un ruolo anche i fattori psicologici», ha spiegato Merlo.
Considerando una prospettiva non monolitica il professor Merlo sostiene che
alcuni studiosi, soprattutto quelli di matrice psicoanalitica, hanno seguito una prospettiva centrata sull’individuo, dedicandosi allo studio delle relazioni tra conflitti psicologici inconsci e disturbi somatici, altri hanno cercato di delineare un profilo tipico di personalità che predispone alle malattie, altri ancora hanno studiato le reazioni dell’organismo sottoposto allo stress, altri l’importanza delle relazioni familiari o di contesti sociali e culturali e così via.
Inoltre, una prospettiva psicosomatica moderna porta la medicina a
considerare vari punti di vista nello sforzo di comprendere meglio l’individuo all’interno della sua complessità biopsicosociale e, nei limiti del possibile, favorire la sua salute. In una prospettiva psicosomatica gli eventi hanno sempre una natura complessa e possono essere studiati e affrontati con approcci diversi che, a volte, potrebbero sembrare contraddittori. Dall’equilibrio di queste valutazioni e dalla scelta degli interventi appropriati nasce la nostra capacità di curare
(Baldoni F., La prospettiva psicosomatica).
Tuttavia, il modo giusto di fare bioetica ci viene raccomandato da Joseph A. Ratzinger quando, ancora Cardinale, affrontava il tema della bioetica nel suo libro Bioetica cristiana. Un messaggio sintetico, ma di alto contenuto teologico che indica la strada più umana da percorrere. Proprio le sue parole diventano illuminanti per l’uomo di fede che pone l’attenzione sulla complessità della persona umana, in tutti i suoi aspetti, perché capace di affrontare queste tematiche “con lo sguardo aperto alla verità completa sull’uomo“.
Il professor Merlo chiude la sua trattazione, affrontando l’aspetto antropologico della psicosomatica, sia dal punto di vista dell’unità e della complessità, sia come relazione. Dice infatti che
la psicosomatica è una scienza clinica che nasce dal bisogno di conoscere e aiutare l’essere umano, rispettandolo nella sua complessità. Mentre l’esperienza di «avere un corpo» si situa all’origine di antropologie di tipo dualistico, che intendono il rapporto tra «corpo» e «persona» in termini di giustapposizione o addirittura di contrapposizione, la scoperta di «essere un corpo» conduce a sottolineare la profonda unità dell’essere umano (psyche e soma costituiscono quel singolo uomo che è dotato di funzioni vegetative, sensitive e intellettive).
La psicosomatica odierna, basata su un approccio scientifico, è tesa a recuperare la visione unitaria dell’unità mente-corpo. Per essere all’altezza del proprio compito il clinico deve non solo risultare competente e aggiornato, ma anche manifestare attitudine terapeutica, sensibilità psicologica, attenzione per le relazioni, equilibrio emotivo, pazienza e un umile, ma sincero interesse per l’altra persona.
Queste prospettive della psicosomatica convergono con un altro dei nodi centrali: l’essere «in relazione» come tratto fondamentale della persona umana.
L’intervento del professor Alessandro Meluzzi sul rapporto corpo-mente-cervello, è un prezioso contributo che offre numerosi spunti di riflessione. Mediante un racconto articolato e complesso, tocca temi di filosofia della mente, filosofia dell’essere e teologia trinitaria. È un’analisi scientifica sul cervello e sulla mente umana che pone la questione sull’identità della persona. Un’indagine dal punto di vista della teologia che affronta il complesso tema della coscienza umana, in vista della libertà come valore pienamente acquisito nella fede.
Riferendosi al testo del teologo Leonardo Paris (Sulla libertà. Prospettive di teologia trinitaria tra neuroscienze e filosofia), Alessandro Meluzzi conclude con le seguenti considerazioni:
Il Dio dei cristiani è un Dio che è ontologicamente relazione, in cui ogni persona vive per l’altra persona. Dio è, perché è Amore (l’agape). È un amore che genera e che incontra. L’amore Padre-Figlio, due persone che vivono l’una dell’altra, e l’amore dello Spirito che entra in relazione con entrambi.
Molto interessante dal punto di vista esistenzialistico si è rivelato l’intervento del professor Giorgio Calabrese che ha analizzato il tema: «Salute e malattia – La dimensione olistica dei processi di cura». Il professor Calabrese ha messo in evidenza i temi delicati sul rapporto medico-paziente, esponendo alcune esperienze personali.
Quanto l’uomo può essere vulnerabile di fronte al proprio medico curante, durante la diagnosi di una malattia? Il medico si pone numerose domande, nel momento in cui la sua professionalità deve in qualche modo entrare in un rapporto troppo diretto con il proprio paziente. Il legame che si crea tra medico e paziente appare molto delicato e difficile da gestire, quando prevale l’intento di riconoscere i valori umani inalienabili come la libertà, la dignità, la sacralità della sintomatologia e il benessere del malato.
Il medico deve garantire il bene del malato. Ma cos’è il bene e chi lo decide? Il paternalismo rappresenta proprio il dovere del medico di agire per il bene del proprio paziente. Egli infatti cerca di comprendere il proprio interlocutore, attraverso un’indagine sottile che richiede molta sensibilità, perché diventa più importante il mondo interiore del malato prima ancora della sua malattia.
Il malato non può essere solo un corpo da curare. Il medico attento all’aspetto olistico, quando si trova di fronte alla persona vede l’Infinito, la dimensione più vertiginosa dell’essere umano che svela il mistero della vita e della morte, attraverso la sua fragilità, la sua finitezza.
© Bioetica News Torino, Giugno 2013 - Riproduzione Vietata