Stiamo assistendo, negli ultimi anni, a delle importanti trasformazioni nel campo della bioetica. In particolare, ad una stagione di Contrapposizioni frontali, fa seguito una stagione di maggiore distensione, che sta conducendo ad aperture inedite.
Possiamo avere un saggio di tale mutamento di scenario se facciamo riferimento al settore degli studi sul potenziamento umano ma anche al parziale superamento della contrapposizione in apparenza intrascendibile tra una bioetica cattolica ufficiale e una bioetica laico-secolare.
Significativo a tal proposito è il nuovo atteggiamento inaugurato dalla chiesa di Bergoglio che sta permettendo la costruzione di piattaforme di dialogo tra il mondo laico e il mondo cattolico.
La presentazione del libro di Giuseppe Zeppegno «Bioetica e postumano» ha offerto l’occasione per ripensare alcuni snodi concettuali della bioetica, in un’ottica di apertura e confronto costruttivo, un confronto che nell’ottica di Zeppegno non viene visto come percorso di cancellazione delle differenze, piuttosto come "dialogo" propositivo per la ricerca di soluzioni condivise.
Introduzione
Qualche anno fa, un noto bioeticista americano, Albert Jonsen, in un articolo che ha avuto una certa eco, Why bioethics has become so boring?, scriveva che la bioetica dopo le battaglie contro il paternalismo medico e in favore dell’autonomia decisionale dei pazienti, a partire dagli anni Novanta, istituzionalizzandosi, avrebbe perso lo slancio iniziale e non sarebbe stata più in grado di proporsi come guida per la trasformazione della società e la comprensione delle novità suscitate dalle scienze biomediche.
Il dibattito bioetico, inoltre, si sarebbe irrigidito, provocando una polarizzazione delle posizioni in campo: bioliberali e bioconservatori, bioeticisti cattolici e bioeticisti laici, fautori di una bioetica di frontiera e fautori di una bioetica quotidiana. Le contrapposizioni si registrerebbero sia intorno a questioni di metodo (non ci sarebbe, infatti, alcun accordo su quale dovrebbe essere il metodo migliore per condurre un’indagine bioetica), sia intorno a questioni di merito (non ci sarebbe alcun accordo tra quale modello normativo preferire o, ancora, su quale modello sia più adeguato per descrivere che cosa avviene quando un soggetto formula un giudizio morale).
Ora, nonostante qualche autorità nel campo della bioetica sostenga o abbia sostenuto (come nel caso di Jonsen prima menzionato) che questa disciplina abbia fallito rispetto al compito storico che si era proposta (superamento degli steccati tra scienze della vita e scienze umanistiche, costruzione di strumenti concettuali adeguati a comprendere le possibili implicazioni etiche dello sviluppo e applicazione delle tecnologie biomediche etc.), possiamo notare che, sia l’emergere di nuovi temi (l’enhancement, la gestione dei dati personali e l’identità digitale, il tema degli xenotrapianti etc.), sia i dibattiti riguardanti questioni canoniche come l’aborto, la fecondazione assistita o l’eutanasia ci mettono di fronte all’opportunità di ripensare categorie, strumenti di indagine e, in alcuni casi, costruire nuove piattaforme di riflessione e dialogo tra studiosi.
1. Dalla contrapposizione al dialogo
Gli anni 2000 hanno rappresentato, per il nostro Paese ma non solo, una stagione di scontro aspro tra la bioetica cattolica ufficiale, elaborata a partire dai documenti magisteriali, e la bioetica laica, tra un paradigma della sacralità e indisponibilità della vita e un paradigma della qualità e disponibilità della vita.
Lo scontro tra bioetica cattolica ufficiale e bioetica laico-secolare non è stato, però, come accennato nel precedente paragrafo, unico. Infatti, se rivolgiamo l’attenzione ad un settore di grande interesse sul quale la bioetica si è applicata a partire dagli anni 2000, quello degli human enhancement studies, rileviamo, per riprendere la terminologia di Nick Bostrom, una forte contrapposizione tra i cosiddetti bioconservatori e i cosiddetti bioliberali, ossia tra studiosi che ritenevano moralmente non lecito impiegare gli strumenti messi a disposizione dal progresso biotecnologico per implementare tratti e caratteristiche psicofisiche degli esseri umani e studiosi che, al contrario, ritenevano moralmente lecito, e in alcuni casi doveroso, potenziare l’uomo.
Ebbene se pensiamo che le premesse erano quelle di una contrapposizione frontale tra i due schieramenti sono stati fatti molti passi in avanti. Com’è noto a chi si occupa del tema dell’enhancement, quest’ultimo sta trovando un certo spazio, da alcuni anni, anche in Italia. L’attenzione si sta, in particolare, concentrando sul problema del potenziamento morale.
La possibilità di migliorare le basi biologiche del senso morale, non solo attraverso l’impiego di strategie tradizionali, ma anche attraverso interventi farmacologici e dispositivi biomedici ha generato, tuttavia, un rimescolamento delle carte. Tra i bioliberali, infatti, non pochi autori hanno messo in luce la problematicità di operare in vista di un potenziamento morale via tecnologia. Alcuni hanno sottolineato la difficoltà di individuare i target di intervento, altri, invece, hanno evidenziato che l’enhancement morale sarebbe di per sé da evitare dal momento che priverebbe l’uomo della libertà necessaria ad agire moralmente (questa è ad esempio la posizione di John Harris), oppure che le premesse con le quali si argomenta in direzione della necessità dell’enhancement morale sono da ripensare criticamente (Russell Powell e Allen Buchanan si muovono in tal senso).
Di fatto se con bioliberali si intende designare l’ampio ventaglio di autori che avallano l’uso delle biotecnologie mediche per potenziare tratti e caratteristiche degli esseri umani, questo non può farci trascurare che:
1) autori come il poc’anzi citato Harris o Powell sottolineano che l’enhancement morale andrebbe favorito senza l’impiego di mezzi farmacologici o dispositivi tecnologici che, queste la tesi sul tappeto, priverebbero l’uomo del tratto essenziale che lo contraddistingue, ossia la libertà di scegliere o trascurerebbero la componente culturale nella determinazione dei comportamenti umani (Buchanan a tal proposito afferma che un’etica maggiormente inclusivista è possibile e questo proprio grazie all’evoluzione dell’uomo);
2) Savulescu, in un articolo firmato con Guy Kahane, sottolinea come nel dibattito sull’enhancement si dovrebbe ricalibrare la discussione su quello che egli definisce il normal range anhancement piuttosto che sul supranormal enhancement, constatando di fatto come l’idea di una palingenesi dell’umanità fondata sul superamento del corpo e dei processi biologici può essere per ora affidata alla penna letteraria piuttosto che all’analisi scientifica;
3) Nick Bostrom mette in guardia da quella che egli definisce la superintelligenza ossia una intelligenza superiore a quella umana, frutto dell’evoluzione della tecnologia.
Considerazioni speculari vanno fatte per alcuni autori storicamente appartenenti all’area bioconservatrice (il discorso che sto proponendo non deve però impedirci di vedere che, al di là delle generalizzazioni, le questioni, se analizzate nel dettaglio, sono certamente più articolate e complesse), i quali hanno proposto nuovi percorsi di riflessione maggiormente attenti rispetto all’importanza delle tecnologie, intese come strumento di ausilio per la vita degli esseri umani.
Sembra, dalle brevi considerazioni appena presentate, che ci siano le condizioni, quantomeno, per un confronto impostato su nuove basi. Nessuna accettazione acritica né demonizzazione dell’impiego delle tecnologie per modificare caratteristiche e tratti dell’essere umano, quindi, ma, piuttosto, un approccio che soppesa con attenzione i possibili elementi di problematicità emergenti dalla questione dell’enhancement morale.
2. Bergoglio e la bioetica
Passando ad un’altra questione che ha tenuto banco negli anni Duemila, ossia quella dello scontro tra la bioetica cattolica ufficiale e la bioetica laico-secolare va rilevato che, pur non essendo, in senso stretto, Bergoglio un bioeticista, non possono essere trascurati i cambiamenti che, anche grazie al nuovo corso da lui intrapreso, hanno incentivato un ripensamento del ruolo della bioetica e di talune questioni bioetiche in ambito cattolico.
L’attuale scenario consente di affermare, come ha scritto Fornero riassumendo la mia posizione, che se da un lato non si può dire che tutto sia cambiato dall’altro non si può nemmeno dire che tutto sia rimasto come prima. Bergoglio ha impresso al suo pontificato una curvatura prevalentemente pastorale, mettendo al centro della sua strategia parole-chiave come misericordia, perdono, amore, comprensione. Non che queste parole fossero estranee ai precedenti pontificati ma esse diventano il cuore pulsante dell’attuale pontificato. Tale attenzione alla misericordia, all’amore, alla comprensione consente di sviluppare un approccio nel quale l’essere umano concreto possa ricevere sempre la dovuta contestualizzazione.
Tale attenzione alla concretezza, all’uomo in carne e ossa, consente, di disegnare un nuovo scenario entro il quale costruire anche piattaforme condivise tra laici e cattolici. In tal senso, verosimilmente, vanno inquadrati gli interventi di Bergoglio su temi quali l’ecologia e il rispetto dell’ambiente, la cura verso le fasce più deboli della popolazione, la critica alla cultura dello scarto e alla mercificazione degli individui.
Altro tratto del pontificato di Bergoglio che fornisce un ulteriore motivo di distensione con il mondo laico è che alcune questioni-chiave del dibattito bioetico (quali aborto, eutanasia, testamento biologico etc.) vengono affrontate senza un continuo rimando all’impianto teologico-dottrinale che le sorregge (la qual cosa ha per altro prodotto alcune voci critiche nell’ambito della Chiesa che hanno trovato un loro punto di oggettivazione nei dubia espressi da quattro cardinali, intorno ad alcune proposizioni controverse contenute nel cap. VIII di Amoris laetitia, dubia che ad oggi non hanno ancora ricevuto una risposta ufficiale da parte del pontefice). Questo consente di strutturare alcuni percorsi di possibile convergenza tra laici e cattolici, se non sul piano teorico quantomeno sotto il profilo pratico. Non va dimenticato, infatti, che Bergoglio, allorquando è intervenuto su temi classici della bioetica, come il fine vita, ha affrontato tali temi, spesso, con accenti diversi rispetto al passato. Parlando dell’accanimento terapeutico ad esempio ha sottolineato con forza che non sempre è bene proseguire un trattamento medico, allorquando non ci sono più reali chances di recupero per il paziente. Tale concetto, come è noto, era stato espresso con chiarezza già da Pio XII, ma Bergoglio vi ritorna con toni nuovi e in un momento storico particolare, in cui, ad esempio nel nostro paese, sono in atto discussioni che investono la sfera pubblica, e che vanno nella direzione dell’approvazione di norme che tutelino il diritto all’autodeterminazione del paziente. Un discorso simile può essere fatto per l’aborto.
All’interno di tale scenario, poi, va richiamato il dato di fatto che alcuni autori di area cattolica (penso ad esempio a Francesco D’Agostino), verosimilmente grazie all’attuale clima di maggiore distensione, hanno attenuato in modo considerevole i toni dello scontro con il mondo laico-secolare. In tal senso, probabilmente, le dichiarazioni di D’Agostino sulle “direttive anticipate di trattamento” o sulla vicenda Charlie Gard, fino a qualche anno fa sarebbero state impensabili.
Tutto ciò tuttavia non deve far dimenticare che:
1) I riferimenti ai principi della biomorale cattolica, alla dignità della persona, alla sacralità della vita dal concepimento alla sua fine naturale, all’inviolabilità della vita umana innocente, sono presenti e richiamati in tutti i documenti ufficiali prodotti da Bergoglio da Lumen fidei a Laudato si’ , da Evangelii gaudium a Amoris laetitia fino alla lettera apostolica Misericordia et misera, a testimonianza del fatto che il pontefice vuole porsi anche in continuità con i suoi predecessori e non soltanto portare una ventata di novità nelle stanze vaticane;
2) L’attenzione ai casi concreti e l’importanza attribuita alla coscienza (importanza che consente a Bergoglio di riconoscere l’esistenza di circostanze attenuanti per i comportamenti soggettivi) non sono scisse da un richiamo alla Verità (presente in Lumen fidei e Laudato si’ ma anche nella più controversa Amoris laetitia) a testimonianza del fatto che con Bergoglio non siamo passati ad un’etica situazionale ma siamo ancora entro un’etica di tipo oggettivistico;
3) Il dialogo con il mondo laico non deve farci dimenticare che in talune circostanze il pontefice ha preso posizione contro alcuni atteggiamenti del mondo laico e, pronunciandosi su alcune note vicende di cronaca (pensiamo al caso Charlie Gard) o su determinate questioni bioetiche (penso al discorso sull’eutanasia tenuto ai partecipanti all’assemblea plenaria della Congregazione per la dottrina della fede), ha richiamato con chiarezza l’esistenza di una posizione etica in cui il rispetto per la vita umana innocente non è mai da porre in discussione.
In definitiva, non v’è dubbio che lo scenario in cui si colloca attualmente la bioetica cattolica è mutato, in modo significativo, rispetto agli anni di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI ma tale mutamento non va, questa la mia tesi, letto come il segno già compiuto di una trasformazione paradigmatica, ossia un cambiamento nella struttura profonda della bioetica cattolica ufficiale.
Se da un lato, infatti, i principi della biomorale cattolica non hanno subito modifiche e, parimenti, non sono state avanzate nuove formulazioni della dottrina, tuttavia abbiamo assistito in questi anni all’emergere e al consolidarsi da parte del pontefice, intorno a temi come il fine-vita o l’aborto, piuttosto che l’omosessualità e il gender, di un nuovo atteggiamento. Questo ha dato, in talune occasioni, l’impressione di essere di fronte a qualcosa di completamente inedito.
Ritengo, tuttavia, che al momento la tesi da sposare sia quella della continuità nella rottura e della rottura nella continuità, dove talvolta sono gli elementi continuisti a prevalere, talaltra quelli discontinuisti. Anche le discontinuità, però, almeno per ora, non producono sufficiente massa critica per consentirci di parlare di entrata in un nuovo paradigma. Per usare una terminologia kuhniana, per ora siamo ancora all’interno del vecchio paradigma con i suoi principi di fondo. All’interno di questo paradigma però si avvertono dei sommovimenti non sempre facilmente interpretabili seguendo i vecchi schemi. Questo potrebbe portare sul medio-lungo periodo anche alla necessità di ripensare alcuni dei principi fino ad ora considerati intoccabili. Per ora mi pare, più sommessamente, di poter scorgere solo delle linee di tendenza che nei prossimi anni potranno definirsi con più precisione e farci intravedere, forse, con maggiore chiarezza gli orizzonti che si stanno dischiudendo.
© Bioetica News Torino, Aprile 2018 - Riproduzione Vietata