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47 Aprile 2018
Speciale Bioetica e Postumano: Riflessioni

Bioetica cattolica e laica. Una dicotomia (ormai) obsoleta?

In breve

Sebbene qualcuno lo abbia negato (o minimizzato) che sia esistita una diversità e, su taluni temi di fondo, una contrapposizione fra la bioetica di area cattolica e la bioetica di area laico-secolare è qualcosa di storicamente e concettualmente documentabile. Tuttavia, per quanto riguarda il presente, tale dicotomia può ritenersi ormai superata o in qualche modo è ancora viva?

Nel suo libro Zeppegno affronta parecchi nodi di fondo dell’attuale dibattito bioetico. Fra questi vi è il tema della “aggettivazione” della bioetica, su cui intendo soffermarmi.

Accennando alle mie tesi sui “paradigmi” della bioetica cattolica e laica, Zeppegno, con la consueta franchezza, scrive che:

È difficile contestare non solo l’esistenza, ma anche la non facile conciliabilità dei diversi “paradigmi”. Questa constatazione è però troppo povera per essere esauriente. Credo sia giunto il momento di porsi la seguente domanda: “come deve essere giudicata tale distinzione (e quali sono gli eventuali modi per superarla)?”
Il tema dell'”aggettivazione” della bioetica

Riconosco che il problema posto da Zeppegno sia importante e “attuale”. Tuttavia poiché esistono parecchi autori che, a differenza di Zeppegno continuano a negare il primo punto, ossia l’esistenza di paradigmi bioetici e la distinzione di fatto fra bioetica cattolica e laica, dopo anni di dibattito, sono costretto a tornare su questa tematica che, piaccia o meno, continua a caratterizzare la cultura italiana e i paesi del mondo di tradizione cattolica.

«Esistono declinazioni diverse del discorso bioetico, le quali risentono dei sottostanti background dottrinali e valoriali»

Alcuni studiosi credono nell’esistenza di una bioetica tout court e quindi negano la correttezza epistemologica di qualsivoglia aggettivazione di essa. In realtà, per quanto concerne una disciplina con forti componenti filosofiche e assiologiche come la bioetica, ritengo incauto discorrere di una “bioetica senza aggettivi”, poiché l’esperienza ci insegna che esistono declinazioni diverse del discorso bioetico, le quali risentono dei sottostanti background dottrinali e valoriali. Tant’è, come osservava Uberto Scarpelli, che «nell’affrontare i problemi bioetici noi ci portiamo dietro tutta la nostra etica, e la visione del mondo in cui ciascuna etica s’inquadra».

Del resto, l’esistenza di una molteplicità di bioetiche era già implicita nella definizione classica della disciplina riportata nella prima edizione della Encyclopedia of Bioethics. Infatti, posto che la bioetica coincida con «Lo studio sistematico della condotta umana nell’ambito delle scienze della vita e della cura della salute, quando tale condotta è esaminata alla luce dei valori e dei principi morali», poiché i principi e i modelli valoriali presenti nel panorama culturale odierno sono molteplici e fanno riferimento a concezioni antropologiche ed etiche differenti, non c’è affatto da stupirsi – come la realtà inconfutabilmente attesta – che esistano impostazioni bioetiche paradigmaticamente diverse.

Per usare le parole dello studioso di area protestante Leonardo De Chirico: «Di per sé, una bioetica punto e basta non esiste». O meglio, c’è la bioetica in quanto campo interdisciplinare più o meno delimitato, ma appena entrano in gioco i valori di riferimento il discorso inevitabilmente si pluralizza e dà luogo a un ventaglio diversificato di comprensioni, prospettive, itinerari.
Infatti, a meno di astrarsi dall’esistente, non si può fare a meno di ammettere, come scriveva Dionigi Tettamanzi, che «le diverse antropologie, e conseguentemente i diversi modelli antropologici, danno origine a diverse bioetiche». Punto questo, debitamente evidenziato da Zeppegno nel suo lavoro.

“Bioetica cattolica ufficiale”

Fra i vari paradigmi bioetici troviamo la bioetica “cattolica” (catholic bioethics) o meglio la “bioetica cattolica ufficiale” intendendo, con tale espressione, il punto di vista bioetico contenuto nei documenti del Magistero. Infatti, mi sembra indubbio: a) che esista un punto di vista cattolico ufficiale sulle questioni bioetiche; b) che tale punto di vista sia contenuto nei documenti del Magistero; c) che esso faccia leva non solo sulla fede, ma anche sulla ragione.
Francamente, a meno di ritenere che si tratti di una semplice costruzione di fede priva di valenze razionali e argomentative, non riesco a capire come si faccia tuttora a negare o misconoscere l’esistenza di tale forma di bioetica, ossia l’esistenza di “magistero bioetico della Chiesa cattolica”. Magistero contenuto nei documenti ufficiali e nella Evangelium vitae.
Certo, tale bioetica, approfondita in modo specialistico dagli studiosi in sintonia paradigmatica con essa, non è l’unica bioetica esistente in ambito cattolico. Tant’è che accanto a essa – o in certi casi in alternativa a essa – esistono altre proposte bioetiche di matrice cattolica. Ma questo non annulla la sua realtà (e rilevanza) che ritengo debba essere ammessa da tutti, anche da quei cattolici che non si riconoscono, o non si riconoscono totalmente, in essa.

“Bioetica laico-secolare”

Come esiste una bioetica “cattolica”, nel senso chiarito, così esiste una bioetica “laica”, o meglio, una bioetica che, a scanso di equivoci e per evidenziarne meglio i nessi con la forma mentis che ne sta a monte, in questi ultimi anni ho preferito definire “bioetica laico-secolare”. Ossia una bioetica qualificata da un insieme di principi antropologici ed etici maturati in ambito secolare e all’interno di un orizzonte di pensiero di matrice agnostica e atea. Anche l’esistenza di questa forma di bioetica mi sembra difficilmente confutabile. Per usare le parole di Sgreccia:

Che di fatto esista un modo di vedere le questioni di bioetica, un paradigma bioetico, che si differenzia nei confronti del paradigma cattolico e che risulta caratterizzato da una sua logica – a partire dal rifiuto della creazione come causa e origine della realtà e della vita umana – è qualcosa che, sul piano descrittivo e storico, può essere difficilmente contestato.
Distinzione fra due modelli o paradigmi etici

Di conseguenza, con la dicotomia bioetica cattolica/laica, nel senso precisato, non intendo alludere a una semplicistica contrapposizione tra fede e ragione, bensì, più profondamente, alla distinzione fra due modelli o paradigmi etici che, pur facendo entrambi appello alla ragione, hanno una diversa fisionomia teorica e portano a dissimili conclusioni biomorali.
Talora si cerca di invalidare l’interpretazione della bioetica cattolica e laica in chiave “paradigmatica” affermando che anche taluni cattolici si riconoscono in alcune idee-guida del paradigma laico e anche taluni laici si riconoscono in alcune idee-guida del paradigma cattolico. In realtà, questo duplice e incontrovertibile dato non costituisce affatto una “prova” della inesistenza dei due paradigmi in questione. Esso attesta semplicemente che non tutti i cattolici, come si è già accennato, si riconoscono (o si riconoscono completamente) nei principi della bioetica cattolica ufficiale e non tutti i laici si riconoscono (o si riconoscono completamente) nei principi della bioetica laica standard. Un’altra obiezione ricorrente alla distinzione fra bioetica cattolica e laica è che essa approderebbe a una visione conflittualistica del dibattito bioetico, finendo per “fomentare” lo scontro.

In realtà, dovrebbe essere (ormai) chiaro che non è il riconoscimento del conflitto storico e concettuale fra bioetica cattolica e bioetica laica a generare il conflitto (precisamente come non è la diagnosi di una malattia a generare quest’ultima) ma la realtà del conflitto a produrre il riconoscimento – o la coscienza riflessa – di esso. Anzi, poiché il conflitto è nelle cose stesse, cioè nell’opposizione teorica e pratica di due modi differenti di fare bioetica, il suo (lucido) riconoscimento dovrebbe configurarsi come la precondizione di ogni (reale e non fittizio) tentativo di dialogo fra le parti.
Tant’è che oggi esistono parecchi studiosi, anche fra i cattolici, i quali non solo non faticano ad ammettere l’esistenza dei due paradigmi in questione, ma dichiarano in modo esplicito che ogni tentativo di attenuare i conflitti bioetici presuppone – a monte – il preliminare riconoscimento (anziché camuffamento) della realtà e diversità dei paradigmi.

Con la doverosa precisazione, finalizzata ad evitare altri equivoci, che quando si parla di una differenza fra la bioetica di area cattolica e la bioetica di area laica – nella fattispecie, di un contrasto fra la bioetica cattolica ufficiale e la bioetica laica secolare – non si intende asserire che il dissidio sia così onnicomprensivo da escludere l’esistenza di possibili e locali convergenze, bensì che sulle questioni cruciali della disciplina, in particolare su quelle concernenti l’inizio e il fine vita, tali forme di biomorale, in virtù delle loro differenti antropologie di riferimento e delle loro antitetiche idee-guida, si sono storicamente trovate su posizioni diverse. Al punto che anche coloro che negano tale differenza in realtà, nei loro discorsi, continuano a vario titolo a presupporla.

Il pontificato “innovatore” di Bergoglio

Ad un primo sguardo si potrebbe ritenere che questo discorso sui paradigmi poteva avere un senso in relazione ai pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, mentre oggi, con l’avvento di Francesco, le cose sono cambiate, al punto da rendere ormai tendenzialmente obsoleta la dicotomia in questione.
In realtà, anche il pontificato “innovatore” di Bergoglio continua a presupporre l’esistenza di una dottrina cattolica (che ha manifeste ricadute bioetiche e di cui Francesco, all’inizio del suo pontificato, si è dichiarato “figlio”) e di una cultura secolare che ha anch’essa manifeste ricadute bioetiche e con cui si cerca, nei limiti del possibile, di trovare “punti di incontro”. Del resto, che senso avrebbe parlare di “dialogo”, di “ponti” e della necessità di “camminare insieme” se non esistessero delle posizioni diverse che si cerca di rendere meno distanti e conflittuali?
In altri termini, anche sotto il pontificato di Bergoglio la dicotomia bioetica cattolica / bioetica secolare non è venuta meno, ma continua a fungere da constatabile “sfondo”. Anzi, si potrebbe dire che per certi aspetti essa sia stata in qualche modo “rilanciata”, nel senso della avvenuta ri-attualizzazione dell’annoso problema del suo possibile “superamento”.

Ciò non toglie che oggigiorno tale dicotomia, evidente soprattutto su certe questioni (si pensi all’aborto o all’eutanasia) abbia assunto forme nuove e peculiari, su cui si è debitamente soffermato Luca Lo Sapio nel volume Bioetica cattolica e bioetica laica nell’era di papa Francesco. Che cosa è cambiato? ( 2017) affrontando una serie di interessanti questioni.
Questioni che, a mio giudizio, non possono fare a meno di rinviare il lettore a un antico e sempre attuale problema di fondo difficilmente eludibile: la dottrina cattolica è una realtà immutabile o è suscettibile di taluni mutamenti? E se sì in che senso, in quale misura e sino a quale punto?
Problema che, in presenza di un deciso processo di “rinnovamento” della Chiesa, potrebbe imporsi sempre di più, sino a configurarsi come uno dei più interessanti nodi storici e teorici degli anni a venire.

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