La prospettiva del lavoro offerto da Giuseppe Zeppegno nella sua ultima opera è riassumibile nei termini di un percorso che ricerca approfonditamente quale bioetica sia pensabile e necessaria in un contesto caratterizzato dal postumanesimo. Detto diversamente: in un mondo sempre più caratterizzato dall’uomo-macchina e dal cyborg quale bioetica è possibile e auspicabile?
Per riflettere seriamente e criticamente su questo tema l’autore propone, lungo i primi cinque capitoli del suo libro, un percorso storico-critico dettagliato e molto ben documentato che conduce il lettore a formarsi una visione critica della questione. Lo sforzo epistemologico di Zeppegno si focalizza, sintetizzandolo al massimo, su due direttive: il necessario ripensamento del rapporto natura-cultura e il superamento della prospettiva dualista di bioetica laica e bioetica religiosa che, in Italia, si è andando consolidando nel tempo come bioetica laica e cattolica.
Rispetto alla prima questione, l’autore constata come il dominio tecno-scientifico sulla vita e l’ibridazione tra naturale e artificiale che, a tutti i livelli del bios, si sta realizzando nel contesto del postumanesimo apra nuove questioni moralmente rilevanti. Per affrontarle in modo promettente occorre fermarsi a riflettere seriamente sul rapporto natura-cultura che, come dice Zeppegno, «non dipana solo le questioni di genere ma più ampiamente le questioni che stanno alla base del postumano e del transumano» (189). Quale è la ragione di questa deriva? In concreto, la «perdita del senso dell’uomo, della corporeità e della distinzione sessuale» ha reso impossibile «l’individuazione di un’opzione fondamentale verso cui tendere e un bene da individuare e realizzare per giungere al fine buono» (189).
È un dato che, con la postmodernità e il successivo postumanesimo si propone di superare le frontiere tra naturale ed artificiale, corpo e macchina verso una soggettività umana potenziata da protesi tecnologiche. Evidentemente, come l’autore acutamente coglie, questo stravolge non solo il «tradizionale impianto concettuale della morale della vita fisica ⌈…⌉ ma anche le basi della più recente disciplina bioetica, sorta nel tempo della postmodernità» (121).
Di fatto si bypassa «la profonda interazione che sussiste tra la natura umana e la cultura» e, promuovendo una supervalutazione della cultura, si sgancia quest’ultima «dal nesso con la natura» e la si asservisce «all’obiettivo di ri-inventare l’uomo e il suo essere nel mondo» (197).
I progressi della tecnica, dell’informatica e della biologia «offrono la possibilità di ripensare la natura stessa dell’essere umano, non più necessariamente costituito di un corpo fatto di carne e ossa, ma potenziato da supporti artificiali che ne ampliano l’efficienza» (111). Ecco il cyborg che, in quanto assemblaggio di elementi artificiali e organismo biologico permette, «attraverso la ri-declinazione del corpo umano», di ipotizzare «la possibilità di negare la differenza maschile-femminile per favorire un’estetica post-umana ri-sessuata in termini post-sessuali» (112).
Questa ultima prospettiva viene poi sviluppata nel transumanesimo che ha il suo centro nel potenziamento umano portato all’estremo tanto da affermare, e questo è il concetto centrale, che «l’essere umano non è il prodotto finale dell’evoluzione, ma solo l’inizio» (112).
In questo contesto, forzatamente sintetizzato in queste brevi pennellate ma ampliamente e precisamente trattato nel testo di Zeppegno, si muove la bioetica caratterizzata da molteplici scuole derivanti dalle diverse teorie etiche le quali, a loro volta, afferiscono a differenti prospettive antropologiche. In particolare in Italia, in base a queste differenti prospettive antropologiche, si è sempre operata la divisione della bioetica in due blocchi contrapposti: la bioetica laica e la bioetica cattolica di cui i professori Fornero e Lo Sapio hanno scritto importanti contributi e di cui si trova completa trattazione nel sesto capitolo.
Al momento attuale però è un dato incontrovertibile che anche nel nostro paese si stia affermando la cultura genericamente presentata come postumana cioè «animata dalle diverse teorie che hanno come denominatore comune un nuovo modo di considerare l’individualità» (177). In questo contesto fermarsi alla contrapposizione tra paradigma laico e paradigma cattolico non rende ragione della realtà e, soprattutto, non aiuta a comprenderla. È proprio il professor Lo Sapio che, andando oltre questa distinzione classica, propone di distinguere tra una posizione bioliberale, cioè del tutto favorevole a pensare il soggetto umano come un cantiere aperto trasformabile indiscriminatamente (177) e una posizione bioconservatrice che avrebbe nella Chiesa cattolica il suo esponente di spicco. Questa visione, se tiene conto di molti aspetti realmente presenti nella bioetica cattolica tuttavia non evidenzia con sufficiente chiarezza come, in realtà, la visione magisteriale relativa alla bioetica assecondi l’applicazione all’uomo di strumenti tecnici ma chieda di mantenere massima attenzione e prudenza affinché la tecnica non causi la negazione dell’umanità ma resti un semplice mezzo (178).
A partire da questi limiti Zeppegno propone di parlare di paradigma biorealista cioè un paradigma che ritiene indispensabile cogliere il nesso tra natura e cultura in termini non di esclusione reciproca ma di interazione costante in un contesto in cui la libertà individuale deve diventare libertà personale cioè in fedele dialogo con la ricerca del bene e del vero.
Si tratta di recuperare nella teoresi e, ancor più nella pratica, il principio di responsabilità che già Hans Jonas aveva formulato e che papa Francesco sottolinea con forza nei suoi pronunciamenti ufficiali tra cui l’enciclica Laudato Si’ (170segg). È proprio la sua prospettiva etica che, ampiamente presentata nel presente volume, ponendo l’accento sul soggetto morale, i suoi vissuti e le sue emozioni, dà maggiore attenzione al processo decisionale della persona la quale gradatamente prende coscienza del bene e lo attua in modo progressivo in base alle sue reali possibilità. In questo consta la grandezza dell’uomo che mostra, nel quotidiano dell’esistenza, la sua somiglianza con il Divino che l’ha creato.
© Bioetica News Torino, Aprile 2018 - Riproduzione Vietata