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18 Marzo Aprile 2014
Speciale Aborto Post-nascita: Considerazioni in merito all'articolo di Giubilini & MINERVA, 2012 "After birth abortion: Why should the baby live?"

VII. Osservazioni conclusive

Abstract 

La sconcertante (ma, a partire da certe premesse culturali, ampiamente prevedibile) proposta dell’aborto post-natale formulata dagli articolisti nasce dall’idea di persona che hanno; la quale idea nasce, a sua volta, dall’indirizzo filosofico, a cui aderiscono.
Questo significa che non va mai preso alla leggera l’indirizzo filosofico che si sceglie; si può anzi dire che tale scelta è la pietra angolare della bioetica, del biodiritto, della biopolitica, che poi seguiranno. Dall’indirizzo filosofico discende infatti il concetto di persona umana; dal quale poi dipende l’appartenenza o meno alla comunità degli umani e il godimento dei loro diritti, come pure il rigore logico e perciò scientifico dell’argomentare in campo bioetico. La vita umana o si difende in toto, o viene irrefrenabilmente travolta. È infatti proprio dalla liceità dell’aborto e dalle aperture all’eutanasia infantile, che gli articolisti partono per avanzare poi la loro proposta.


Osservazioni conclusive

Mario Rossino61

 

Gli aspetti eclatanti della vicenda sono sostanzialmente i seguenti:

a) si propone di legalizzare l’uccisione di un partorito;

b) si chiama questa uccisione non “infanticidio”, o “eutanasia pediatrica” come era finora accaduto, ma “aborto”62;

c) non si sente nessuna esigenza di fondazione critica dell’aborto, che lo stesso mondo laico considera «ancora oggi uno dei temi più controversi»63;

d) si sostiene che l’adozione, in alternativa all’uccisione del neonato, è una scelta non sempre preferibile, considerando che la madre dell’adottando potrebbe soffrire di più e con minore possibilità di elaborare la perdita, che non la madre che ha ucciso il neonato.

 

Le ragioni addotte a sostegno dell’aborto post-natale sono:

a) i partoriti sono esseri umani, ma non ancora persone. Si può infatti chiamare «persona un individuo che è capace di attribuire alla propria esistenza almeno alcuni valori di base come il ritenere una perdita l’essere privati della propria esistenza. Ciò significa che molti animali e persone ritardate sono persone, ma che tutti gli individui che non sono nelle condizioni di attribuire alcun valore alla propria esistenza non sono persone. L’essere semplicemente un essere umano non è una ragione di per sé sufficiente per attribuire a qualcuno il diritto alla vita»64.

b) lo stato morale dell’ucciso è paragonabile a quello del feto più che a quello di un bambino65.

 

Solo che tutto ciò

a) contrasta profondamente con:

– la stessa logica utilitaristica in cui si riconoscono gli articolisti, almeno nel punto in cui mettono in dubbio che l’adozione sia un’alternativa sempre preferibile all’aborto post-natale66.

–  Il diritto vigente, come dimostra l’intervento del dottor Cardaci67.

–  Il senso etimologico e anche scientifico della parola “aborto”: «Aborto, nelle lingue di derivazione latina, proviene da abortus, participio passato di ab-orior che vuol dire perire, venir meno nel nascere, ed è il contrario di orior, nascere. L’aborto è dunque l’interruzione prematura di una gravidanza, spontanea o provocata, che nel linguaggio ostetrico è tale solo entro il settimo mese, perché negli ultimi due mesi si parla di parto prematuro in quanto il feto è in genere capace di vita autonoma»68.

– I dati della biologia per la quale le differenze esistenti tra vita intrauterina e vita extrauterina del feto non consentono (pur trattandosi della vita della stessa persona) di associare in condizione di equivalenza la vita fetale fino al momento della nascita e la vita dell’infante dal momento della nascita. Non trova pertanto supporto nella scienza sperimentale il principio stabilito dagli articolisti di considerare feto e neonato alla stessa stregua69.

– una definizione di persona umana che, per un verso non contraddica i dati di continuità (documentati dalla scienza) tra lo zigote e tutte le fasi successive dell’esistenza di un essere umano70; e per l’altro non presti il fianco ad arbitrarietà nel criterio identificativo di persona umana: perché infatti ritenere persona umana “un individuo che è capace di attribuire alla propria esistenza almeno alcuni valori di base come il ritenere una perdita l’essere privati della propria esistenza”71 e non piuttosto chi si dimostra capace di entrare in relazione, o di fare ragionamenti…?

A questo proposito, la definizione filosofica che pare meglio salvaguardare le esigenze di non contraddire la continuità di sviluppo del “frutto del concepimento” che la scienza rileva e di non prestare il fianco ad arbitrarietà nell’identificare chi è persona umana, è quella tradizionale, originariamente formulata da Boezio (“rationalis naturae individua substantia” – sostanza individua di natura razionale), riformulata in modo più compiuto da Tommaso d’Aquino (individuum subsistens in rationali natura): ovvero, la persona è sostanza (sussistente) individuale razionale per natura72.

Si tratta di una definizione che può sembrare povera; ma proprio la povertà apparente costituisce la ragione della sua ricchezza intrinseca e della sua validità e attualità, in quanto consente di caratterizzare specificamente l’essere umano senza sovradeterminarlo, né sottodeterminarlo (senza esclusioni discriminanti o inclusioni aspecifiche).

«Esistono, certo, altre determinazioni di persona che la riconducono al possesso del senso morale, della libertà, della memoria, dei flussi psichici, della capacità di argomentare e di varie altre cose: da questo ambito nascono molte e diverse determinazioni operative o funzionali (il termine non ha significato negativo: dice il rapporto a funzioni diverse), a seconda se si prendano tutte o in parte quelle qualità. La determinazione ontologica della persona possiede il grande vantaggio di includere e di unificare tutte queste qualificazioni e altre ancora, che promanano dall’atto primo di esistenza di una sostanzialità spirituale»73, mentre evita le derive antiumanistiche, a cui sono esposte le altre definizioni74.

b) È connotata da attenzione esclusiva all’utilità del più forte, individuato nella “persona effettiva”.

Sostengono infatti gli articolisti: «Una conseguenza di questa posizione è che l’interesse delle persone effettive supera quello delle persone potenzialmente atte a divenire persone effettive»75.

«… per quanto gli interessi di una persona effettiva possano essere deboli supereranno sempre l’interesse attuale di una persona potenzialmente atta a divenire effettiva, perché quest’ultimo interesse è pari a zero. In questa prospettiva, gli interessi delle persone effettive implicate è importante» 76.

c) Si appoggia ad un problematico (anche se coerente con l’indirizzo filosofico scelto) concetto di “lesione”.

Affermano infatti gli articolisti: «affinché una lesione avvenga, è necessario che qualcuno sia nella condizione di sperimentarla. Se una persona potenziale, come un feto o un neonato, non diventa effettivamente persona, come me e te, allora non esiste né un’attuale né una futura persona che possa essere lesa, il che significa che non c’è alcuna lesione. Così, se qualcuno ci chiedesse se ci saremmo sentiti lesi nel caso i nostri genitori avessero deciso di ucciderci quando eravamo ancora feti o neonati, risponderemmo “no”, perché loro avrebbero danneggiato qualcuno che non esiste (cioè, il “noi” a cui la domanda viene posta), che significa che non avrebbero leso nessuno. E se nessuno viene leso, la lesione non esiste» 77.

d) Lascia irrisolte alcune questioni di non poco conto, che A. Fiori sintetizza così:

«Il primo quesito riguarda i termini temporali in cui l’uccisione dovrebbe essere consentita: se immediatamente dopo il parto (art. 578 c.p.) ma senza esigere “condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto” (art. 578 c.p.); ovvero nelle settimane, o forse nei mesi, od anche in anni successivi alla nascita, cioè “after birth”.

Una seconda domanda riguarda l’esigenza o meno di sequenze cronologiche e motivazionali progressivamente restrittive (artt. 4, 6 e 7 della legge italiana n. 194/1978). Sembra invero che il problema non interessi la nuova proposta che non individua differenze e che di fatto appare un ampliamento del protocollo di Groningen il quale si limita, si fa per dire, a suggerire l’eutanasia per i neonati disabili.

Da ultimo si vorrebbe sapere, e non è questione da poco, quali dovrebbero essere le persone incaricate della delicata procedura. I medici (tanto per cambiare), gli infermieri, i farmacisti, i genitori, politici, giuristi, magistrati, ingegneri, volontari o forse filosofi cui non raramente dobbiamo l’omaggio di queste orrende proposte? O forse si proporrà l’usuale commissione di saggi, esperti in soppressione?»78.

e) È in totale controtendenza in rapporto all’impegno degli stessi abortisti a ridurre il più possibile il danno psicologico che l’aborto può arrecare alla gestante, come fa notare il dottor Campagnoli nel suo contributo79.

 

Per concludere:

a) La sconcertante (ma, a partire da certe premesse culturali, ampiamente prevedibile) proposta dell’aborto post-natale formulata dagli articolisti nasce dall’idea di persona che hanno; la quale idea nasce, a sua volta, dall’indirizzo filosofico, a cui aderiscono e che l’intervento di P. Merlo illustra diffusamente80. Questo significa che non va mai preso alla leggera l’indirizzo filosofico che si sceglie; si può anzi dire che tale scelta è la pietra angolare della bioetica, del biodiritto, della biopolitica, che poi seguiranno. Dall’indirizzo filosofico discende infatti il concetto di persona, dal quale poi:

– dipende l’appartenenza o meno alla comunità degli umani e il godimento dei loro diritti; la sentenza di vita o di morte; il ritorno o meno delle pagine più vergognose ed efferate della storia dell’umanità.

– dipende anche il rigore logico e perciò scientifico dell’argomentare in campo bioetico, come dimostrano gli articolisti stessi, che prima sostengono che «è difficile determinare quando un soggetto inizia o smette di essere una persona»81; poi però affermano con sicurezza la liceità dell’aborto post natale, dando per certo che il bambino appena nato, come il feto, è un essere umano, senza però lo status di persona, perché non è in grado di attribuire valore alla sua esistenza?82.

b) La vita umana o si difende in toto, o viene irrefrenabilmente travolta. È infatti proprio dalla liceità dell’aborto e dalle aperture all’eutanasia infantile, che gli articolisti partono per avanzare poi la loro proposta: «L’eutanasia infantile è stata proposta dai filosofi per i bambini con gravi anomalie e la cui vita potrebbe essere non degna di essere vissuta e che sperimenteranno sofferenze insopportabili. Anche i medici professionisti hanno riconosciuto il bisogno di linee guida che indichino i casi in cui la morte sembra essere nel migliore interesse del bambino. In Olanda, per esempio, il protocollo di Groningen (2002) permette l’eutanasia attiva sui “bambini con prognosi che lasciano scarsa speranza e che sperimentano ciò che i medici e i genitori ritengono sia una sofferenza insopportabile”»83. Siccome certe patologie sono considerate sufficienti per abortire, anche se non si può dimostrare che causeranno una vita indegna di essere vissuta …, «sosteniamo che, quando dopo la nascita si verificano le stesse circostanze che giustificano l’aborto prima della nascita, quello che chiamiamo aborto post-natale debba essere permesso»84.

c) Anche se gli articolisti puntualizzano che la parola “aborto” è da essi scelta per indicare l’uccisione di un partorito, solo perché anche le eventuali ragioni della madre possano contare, in realtà l’effetto antilingua c’è ugualmente . E ciò non va affatto sottovalutato. L’antilingua (che è una vera e propria ipocrisia lessicale, in cui definizioni e significati vengono rielaborati in funzione di un a priori ideologico) ha infatti «lo scopo di allontanare i significati, quindi è l’opposto della comunicazione in quanto volutamente erronea. Piega le parole con la loro ricchezza semantica a fini e scopi di chi la costruisce per trasmettere semplificazioni, fuga dalla realtà. In questo modo produce anestesia etica e decolpevolizza» 85.


Note

61 Docente emerito di Teologia Morale Speciale presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale – Sezione di Torino
Presidente del Master Universitario in Bioetica della medesima Facoltà
Direttore del Centro Cattolico di Bioetica dell’Arcidiocesi di Torino.

62 Si tenga presente che gli articolisti precisano di usare la parola “aborto”, anziché “eutanasia pediatrica”, non tanto con finalità “antilingua” (che, comunque, agli effetti pratici viene raggiunta), ma perché possano ancora contare le ragioni della madre e/o della famiglia a cui il neonato appartiene, nonché dello stato, che dovrebbe, in un modo o nell’altro, prendersene cura; mentre invece nel caso di eutanasia pediatrica conterebbero solo le condizioni di salute del neonato.

«Perciò, chiediamo che uccidere un neonato sia eticamente accettabile in tutti i casi in cui lo è l’aborto. Questi casi includono quelli in cui i neonati siano potenzialmente in grado di vivere (per lo meno) una vita accettabile, ma il benessere della famiglia sia a repentaglio. Di conseguenza, la seconda precisazione terminologica è sulla scelta di chiamare la pratica “aborto post-natale”, piuttosto che “eutanasia”. Questa è legata al fatto che l’interesse di chi muore non è necessariamente il primo criterio di scelta, al contrario di come avviene nei casi di eutanasia»
Therefore, we claim that killing a newborn could be ethically permissible in all the circumstances where abortion would be. Such circumstances include cases where the newborn has the potential to have an (at least) acceptable life, but the well-being of the family is at risk. Accordingly, a second terminological specification is that we call such a practice ‘after-birth abortion’ rather than ‘euthanasia’ because the best interest of the one who dies is not necessarily the primary criterion for the choice, contrary to what happens in the case of euthanasia.
GIUBILINI A., MINERVA F., After-Birth Abortion: Why Should the Baby Live? cit. trad. a cura di tempi.it, 2.

63 Cfr. contributo di P. Merlo, p. 8.

64 GIUBILINI A., MINERVA F., After-Birth Abortion: Why Should the Baby Live? cit., 2.
We take ‘person’ to mean an individual who is capable of attributing to her own existence some (at least) basic value such that being deprived of this existence represents a loss to her. This means that many nonhuman animals and mentally retarded human individuals are persons, but that all the individuals who are not in the condition of attributing any value to their own existence are not persons. Merely being human is not in itself a reason for ascribing someone a right to life
«A coloro che sono capaci di provare solamente dolore e piacere (come forse i feti e certamente i neonati) spetta il diritto di non essere lesi. Se, oltre al provare dolore e piacere, un individuo è anche capace di fare qualsiasi progetto (come alcuni esseri umani e non) allora sarà danneggiato se gli fosse impedito di realizzarlo nel caso in cui venisse ucciso»
Those who are only capable of experiencing pain and pleasure (like perhaps fetuses and certainly newborns) have a right not to be inflicted pain. If, in addition to experiencing pain and pleasure, an individual is capable of making any aims (like actual human and non-human persons), she is harmed if she is prevented from accomplishing her aims by being killed.
GIUBILINI A., MINERVA F., After-Birth Abortion: Why Should the  Baby Live? cit., 3.

65«Lo status morale di un neonato è equivalente a quello di un feto nel senso che entrambi mancano di quei propositi che giustificano l’attribuzione del diritto alla vita di un individuo. Sia un feto sia un neonato sono certamente esseri umani e potenziali persone, ma nessuno dei due è persona nel senso di un «soggetto con un diritto morale alla vita»

The moral status of an infant is equivalent to that of a fetus in the sense that both lack those properties that justify the attribution of a right to life to an individual. Both a fetus and a newborn certainly are human beings and potential persons, but neither is a ‘person’ in the sense of ‘subject of a moral right to life’.

GIUBILINI A., MINERVA F., After-Birth Abortion: Why Should the  Baby Live? cit., 2.

66 Cfr. contributo di P. Merlo, p. 10.

67 Cfr. contributo di M. Cardaci, pp. 19-21.

68 FIORI A., Il caso del cosiddetto aborto post-natale, in «Medicina e morale», 62 (2012) 1, 13.

69 Cfr. contributo di G. Palestro, p. 16.

70 Cfr. contributo di C. Campagnoli, p. 11.

71 We take ‘person’ to mean an individual who is capable of attributing to her own existence some (at least) basic value such that being deprived of this existence represents a loss to her.

72 Affermare che la persona umana è sostanza individuale razionale per natura, significa dire che la persona umana è quella realtà che rimane identica a sé, pur nel mutare delle sue proprietà, azioni, funzioni; ed è quella realtà che, essendo sostanza, per concepimento, per nascita [per natura] è razionale; ha cioè attitudine ad esprimersi simbolicamente, a saper per conoscenza, a rapportarsi comunicativamente, ad aprirsi in libertà alla totalità dell’essere.
Siccome l’essere umano è sostanza individua, appartiene cioè solo a se stesso, rimane identico pur nel mutare; e siccome per il solo fatto di esserci, in virtù del principio che lo determina, lo organizza, lo differenzia, ha attitudine ad esprimersi simbolicamente, a saper per conoscenza, a rapportarsi comunicativamente…, è cioè razionale (→ così si rileva dall’esperienza); siccome le cose stanno così, si può dire che c’è identificazione ontologica tra essere umano e persona = l’essere umano realizza la definizione di persona = sostanza individuale, razionale per natura.
Si potrebbe dire che la condizione sufficiente per essere persona umana è essere vivi e appartenere alla specie umana. Il fatto che, a causa di impedimenti esterni (patologie o incidenti), lo sviluppo dell’essere umano rimanga incompiuto, limitato o ostacolato, non modifica la natura sostanziale: non è la manifestazione attuale della capacità, ma l’attitudine e il possesso (potenziale o residuale) della capacità che qualifica l’ente come persona.
Cfr. LUCAS LUCAS R., L’uomo, spirito incarnato, San Paolo, Cinisello Balsamo 1993, 253-259; POSSENTI V., Il nuovo principio persona, Armando, Roma 2013, pp. 28-34.

73 POSSENTI V.,  Ibid., 32.

74 POSSENTI V.,  Ibid., 52.

75 GIUBILINI A., MINERVA F., After-birth abortion: why should the baby live? …, 3-4.
A consequence of this position is that the interests of actual people over-ride the interest of merely potential people to become actual ones.

76 GIUBILINI A., MINERVA F., After-birth abortion: why should the baby live? cit., 4.
Indeed, however weak the interests of actual people can be, they will always trump the alleged interest of potential people to become actual ones, because this latter interest amounts to zero. On this perspective,f the interests of the actual people involved matter.

77 GIUBILINI A., MINERVA F., After-birth abortion: why should the baby live? cit., 3.
In order for a harm to occur, it is necessary that someone is in the condition of experiencing that harm. If a potential person, like a fetus and a newborn, does not become an actual person, like you and us, then there is neither an actual nor a future person who can be harmed, which means that there is no harm at all. So, if you ask one of us if we would have been harmed, had our parents decided to kill us when we were fetuses or newborns, our answer is ‘no’, because they would have harmed someone who does not exist (the ‘us’ whom you are asking the question), which means no one. And if no one is harmed, then no harm occurred.

78 FIORI A., Il caso del cosiddetto aborto post-natale, «Medicina e morale» 62 (2012) 1, p. 13.

79 Cfr. contributo di C. Campagnoli, pp. 11-12.

80 Cfr. contributo di P. Merlo, pp. 5-8.

81 GIUBILINI  A., MINERVA  F., After-birth abortion: why should the baby live? cit., 2.
It is hard to exactly determine when a subject starts or ceases to be a ‘person’.

82 GIUBILINI A., MINERVA  F., After-birth abortion: why should the baby live? cit.,2.
Both a fetus and a newborn certainly are human beings and potential persons, but neither is a ‘person’ in the sense of ‘subject of a moral right to life’. We take ‘person’ to mean an individual who is capable of attributing to her own existence some (at least) basic value such that being deprived of this existence represents a loss to her.

83 GIUBILINI A, MINERVA  F., After-birth abortion: why should the baby live? cit., 1.
Euthanasia in infants has been proposed by philosophers3 for children with severe abnormalities whose lives can be expected to be not worth living and who are experiencing unbearable suffering. Also medical professionals have recognised the need for guidelines about cases in which death seems to be in the best interest of the child. In The Netherlands, for instance, the Groningen Protocol (2002) allows to actively terminate the life of ‘infants with a hopeless prognosis who experience what parents and medical experts deem to be unbearable suffering’.

84 GIUBILINI A., MINERVA F., After-birth abortion: why should the baby live? cit., 2.
Therefore, we argue that, when circumstances occur after birth such that they would have justified abortion, what we call after-birth abortion should be permissible.

85 “Prima dell’orrore genocidi culminati nella soluzione finale c’è la lenta, inesorabile distruzione quotidiana della lingua tedesca. E quindi della sua anima. Il male si annida nella “normalità” del quotidiano della sua metamorfosi delle parole… ). Cfr. contributo di M. Lombardi Ricci, p. 26.

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