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18 Marzo Aprile 2014
Speciale Aborto Post-nascita: Considerazioni in merito all'articolo di Giubilini & MINERVA, 2012 "After birth abortion: Why should the baby live?"

V. I risvolti giuridici

Abstract 

Secondo gli autori della tesi oggetto di commento, neonato e feto sono  equivalenti sul piano morale: sono persone potenziali finché non diverranno capaci di progettare e apprezzare la propria vita; poiché l’interesse delle persone effettive supera quello delle persone potenziali, l’ “aborto post partum”, alla stessa stregua di quello pre parto, sarebbe moralmente lecito in tutte le situazioni in cui il benessere delle persone effettive potrebbe essere minacciato dalle persone potenziali.
Sul piano dell’ Ordinamento giuridico italiano tale tesi non ha fondamento perché contrasta con la Costituzione, oltre che con le altre norme e convenzioni internazionali, che tutelano la vita e la persona umana ancor prima che essa, con la nascita, venga ad assumere appieno lo status di soggetto di diritto.


I risvolti giuridici

Maurizio Cardaci32

 

Premessa

I punti chiave della tesi secondo la quale sarebbe moralmente lecito uccidere i neonati, non solo malformati, ma sani, sono i seguenti:

1. Lo stato morale della persona uccisa (neonato. n.d.r.) è paragonabile a quello di un feto, più che a quello di un bambino. Sia un feto che un neonato sono certamente esseri umani e potenziali persone, ma nessuno dei due è una “persona” nel senso di “soggetto di un diritto morale alla vita”.

2. “Persona” è un individuo: capace di attribuire alla propria esistenza (almeno) qualche valore di base, come l’essere privati di questa esistenza rappresenta una perdita per lui; capace di fare dei progetti, di avere dei propositi.
Neonato e feto sono moralmente equivalenti perché mancano di quei propositi che giustificano l’attribuzione del diritto alla vita di un individuo.
Essi non sono persone, ma persone potenziali che diverranno persone effettive nel momento in cui diverranno capaci di fare progetti e apprezzare la loro vita.

3.L’interesse delle persone effettive supera quello delle persone potenzialmente atte a divenire persone effettive.
Le persone potenziali non possono essere lese dal fatto che sia loro impedito di esistere. Il benessere delle persone effettive potrebbe essere minacciato dai nuovi bambini (anche se sani) che richiedono energie, soldi e cure che potrebbero mancare ad una famiglia.

 

I risvolti giuridici

La valutazione sul piano strettamente giuridico della compatibilità di tali assunti con l’Ordinamento giuridico vigente è fatta – tenendo conto degli arresti giurisprudenziali più significativi della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione – con riferimento alle norme seguenti:

Costituzione Italiana, articoli 2, 3, 27 e 31;
Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite in data 10 dicembre 1948, articolo 3;
Convenzione di Oviedo approvata dal Consiglio d’Europa in data 4.4.1997, articoli 1 e 2;
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea approvata a Nizza il 7.12.2000, articoli 2 e 21;
Dichiarazione universale dei diritti del fanciullo approvata dall’assemblea generale delle Nazioni Unite nel novembre 1959;
Codice civile, articolo 1;
Legge 22.5.1978 n. 194, articoli 1, 4, 6, 7, 17, 18, 19, 20;
Legge 19.2.2004 n. 40, articolo 1;
Codice penale, articoli 575 e 578.

§ I principi fondamentali della Costituzione caratterizzano, strutturandolo in profondità, l’ordinamento giuridico vigente: questo sarebbe svuotato dei suoi contenuti fondamentali ove detti principi non fossero osservati e fatti oggetto di specifica tutela. I valori elencati assumono in tal modo una valenza giuridica di tale “essenzialità”, da poter affermare che la stessa organizzazione dei pubblici poteri sia prevalentemente funzionale al loro svolgimento ed alla loro attuazione.
La “persona”, nel suo patrimonio identificativo ed irretrattabile, costituisce il soggetto attorno al quale si incentrano diritti e doveri. Nell’uso corrente, “diritti umani”, “diritti inviolabili”, “diritti costituzionali” e “diritti fondamentali” sono termini utilizzati in modo promiscuo ma equivalente, e stanno ad indicare diritti che devono essere riconosciuti ad ogni individuo in quanto tale.
Il diritto alla vita, inteso nella sua estensione più lata, solennemente proclamato nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo nonché nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, si inscrive fra i diritti inviolabili dell’uomo che occupano nell’ordinamento una posizione, per così dire, privilegiata in quanto appartengono “all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana33.
Secondo la Corte Costituzionale, la tutela costituzionale del diritto alla vita trova fondamento nell’art. 2 della Costituzione ed è rafforzata dallo specifico divieto della pena di morte stabilito nell’art. 27, quarto comma, della stessa Carta.
La Corte, chiamata a giudicare della legittimità costituzionale di norme che consentivano l’estradizione per reati puniti con la pena capitale dallo Stato richiedente, ha sottolineato che nel nostro sistema costituzionale l’inammissibilità della pena di morte si configura quale proiezione della garanzia accordata al bene fondamentale della vita, che è il primo dei diritti inviolabili dell’uomo riconosciuti dall’art. 2 della Costituzione”34.

§ L’articolo 1 del codice civile dispone che la capacità giuridica (ossia l’attitudine di un soggetto ad essere titolare di diritti e doveri o più in generale di situazioni giuridiche soggettive) si acquista con la nascita. In questo momento il (neo)nato diviene giuridicamente “persona”, pienamente titolare di tutti i diritti inerenti a tale stato.
Gli autori della tesi in commento disgiungono la nascita dal divenire “soggetto di un diritto morale alla vita”. A parte l’incongruenza di un “diritto morale”, considerato che non sembra configurabile un “diritto immorale” (probabilmente essi intendono che il diritto si acquista con il raggiungimento dello status morale di persona), tale separazione non è consentita dalla struttura della Costituzione e delle norme internazionali nelle quali essa è incardinata.

§ Anche il concepito, ancorché non ancora pieno soggetto di diritto, ha tutela giuridica. La Corte costituzionale ha ritenuto che tale tutela abbia “fondamento costituzionale”35.  “L’art. 2 Cost. riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, fra i quali non può non collocarsi, sia pure con le particolari caratteristiche sue proprie, la situazione giuridica del concepito” 36.
“Il nostro Ordinamento positivo tutela il concepito e quindi l’evoluzione della gravidanza verso la nascita e non verso la non nascita, per cui se di diritto vuol parlarsi, deve parlarsi di diritto a nascere”37.
Il “diritto a nascere sani” va inteso nella sua portata positiva e non negativa, ossia che, sotto il profilo privatistico, nessuno può procurare al nascituro lesioni o malattie (con comportamento omissivo o commissivo) e, sotto il profilo – in senso lato – pubblicistico, che siano predisposti quegli istituti normativi o quelle strutture di tutela, di cura e assistenza della maternità, idonei a garantire, nell’ambito delle umane possibilità, la nascita sana. Non significa, invece, che il feto che presenti gravi anomalie genetiche non deve essere lasciato nascere. Nel nostro Ordinamento l’aborto eugenetico non esiste (come anche ribadito dalla Corte Costituzionale con sentenza 45/2005. n.d.r.38), né come diritto della gestante né come diritto del nascituro”39.

§ L’articolo 1 della legge 194/78 stabilisce che la vita umana debba essere tutelata sin dal suo inizio.
“Questo principio (…) ha conseguito nel corso degli anni sempre maggiore riconoscimento, anche sul piano internazionale e mondiale. Va, in particolare ricordata, a questo riguardo, la Dichiarazione sui diritti del fanciullo approvata dall’assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1959 a New York, nel cui preambolo è scritto che “il fanciullo, a causa della sua mancanza di maturità fisica ed intellettuale, necessita di una protezione e di cure particolari, ivi compresa una protezione legale appropriata, sia prima che dopo la nascita”40.
L’articolo 1 della legge 40/2004 include il concepito fra i soggetti i cui diritti sono oggetto di tutela della legge stessa.

§ I principi che emergono dalla legge 22.5.1978 n. 194 sono i seguenti:
a) l’interruzione della gravidanza è finalizzata ad evitare un pericolo della gestante, serio (per la sua salute fisica o psichica, entro i primi 90 giorni di gravidanza) o grave (pericolo per la vita, successivamente);
b) trattasi di un diritto il cui esercizio compete esclusivamente alla gestante stessa;
c) le eventuali malformazioni o anomalie del feto rilevano solo nei termini in cui possano cagionare il danno alla salute della gestante e non i sé considerate con riferimento al nascituro.
L’articolo 1 della legge 194/78, una volta intervenuto il concepimento, ricollega l’interruzione della gravidanza esclusivamente alle ipotesi previste, in cui sussista un pericolo per la salute o per la vita della gestante. Da ciò consegue che la sola esistenza di malformazioni del feto, che non incidano sulla salute o sulla vita della donna, non permettono alla stessa di interrompere la gravidanza41.

§ L’interruzione della gravidanza fuori dai casi contemplati dalla legge 194/78, praticata dalla gestante, o da terzi con lei o su di lei, costituisce reato sanzionato penalmente dagli articoli 17, 18, 19 e 20 della stessa legge.

§ L’uccisione di un neonato o di un feto rientra nella fattispecie dell’omicidio, e come tale sanzionato penalmente dall’articolo 575 c.p. Se però l’uccisione del neonato immediatamente dopo il parto, o del feto durante il parto, è commessa dalla madre, quando il fatto è determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al fatto, fermo restando che si tratta pur sempre di omicidio, ad essa si applica una pena ridotta rispetto a quella prevista per l’omicidio. Si
tratta di una fattispecie di reato proprio (che può essere commesso solo da soggetti determinati, in questo caso la sola madre) regolato dall’articolo 578 c.p., che tiene conto delle particolari circostanze del parto, suscettibili di determinare un grave turbamento emotivo della puerpera.

§ Con il termine “eutanasia infantile” si intende l’eutanasia di bambini di età inferiore ai dodici anni, in particolar modo neonati.
Tale pratica attualmente è illegale in qualsiasi Stato del mondo. Nondimeno, in Olanda, primo paese al mondo dove è stata pienamente legalizzata l’eutanasia, perseguire penalmente il medico che avesse compiuto un tale atto è discrezione del magistrato. In quel Paese il c.d. “protocollo di Groningen” ha tracciato le linee guida per una simile pratica individuando tre categorie di bambini per i quali la morte appare come la soluzione nel loro migliore interesse:
– i bambini senza alcuna speranza di sopravvivenza (affetti, per esempio, da ipoplasia polmonare);
– i bambini che hanno una prognosi pessima e sono dipendenti dalle cure intensive, che possono sopravvivere dopo un periodo di cure intensive, ma le aspettative sul loro futuro sono bieche (bambini con gravi anormalità cerebrali e danni estesi agli organi causati da ipossiemia severa);
– i bambini con prognosi disperata che vivono “una sofferenza insopportabile” (sono i bambini per i quali è prevista una pessima qualità della vita associata a continue sofferenze, come per esempio, quelli affetti da spina bifida).
Il quotidiano «Il Foglio» del 18 giugno 2013 riferisce che tanto in Olanda che in Belgio l’eutanasia infantile sta per essere estesa ad un maggior numero di casi in nome della compassione, del diritto ad una vita dignitosa e a un’esistenza senza dolore.
Però la riflessione strettamente giuridica qui si arresta, essendo evidente che si tratta di questioni che interpellano direttamente la coscienza morale di ciascun uomo.


Note

32 Giurista
Segretario dell’Unione  Giuristi Cattolici Italiani – Sezione di Torino.

33 CORTE COSTITUZIONALE,  Sentenza 30.1-10.2 1997, n. 35.

34 ID., Sentenza 15.6.1979, n. 54; ID., sentenza 25-27.6.1996, n. 223.

35 ID., Sentenza 18.2.1975, n. 27.

36 IBID.

37 CORTE DI CASSAZIONE, Sezione III civ., sentenza 27.9.2004, n. 14488.

38 CORTE COSTITUZIONALE, Sentenza 13.1.2005, n. 45.

39 CORTE DI CASSAZIONE, 14488/2004 cit.

40 CORTE COSTITUZIONALE, 35/1997 cit.

41 CORTE DI CASSAZIONE, 14488/2004 cit.

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