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105 Luglio Agosto
Bioetica News Torino

Dignitas curae Ne parliamo con il professor Giorgio Palestro

In breve

La recente presentazione del Manifesto “DIGNITAS CURAE” evidenzia in modo significativo l’importanza che ha assunto ai nostri giorni la problematica della relazione tra operatori sanitari e pazienti. Emerge sempre più incalzante la necessità di umanizzare la Medicina colmando la distanza talora abissale tra curanti e malati. Una terapia non presuppone sempre la guarigione, ma deve comunque orientarsi nell’attenzione verso la persona malata in un rapporto non solo professionale, ma anche e soprattutto autentico e rispettoso della dignità nella sofferenza. Ne parliamo con Giorgio Palestro, già Preside della Scuola di Medicina e attualmente membro autorevole del Centro Cattolico di Bioetica.

PROFESSORE, QUALE, SECONDO LEI, IL SENSO DI DIGNITAS CURAE E PERCHÉ UN TITOLO IN LATINO?

L’espressione “Dignitas Curae” non va tradotta in modo strettamente letterale come ‘dignità della cura’, perché verrebbe meno il carattere intrinseco e incisivo del concetto di ‘cura’, che proprio l’espressione latina include e che si riferisce alla vita interiore del soggetto malato, e che richiede attenzione, partecipazione, sollecitudine che sono componenti indispensabili della relazione che si instaura con lui.

Il concetto di cura ha subito notevoli modifiche nel corso dei tempi. Il progresso, legato allo sviluppo e ai successi applicativi della ricerca scientifica ha favorito Il passaggio dal principio etico di cura, inteso come attenzione alle necessità fisiche e psichiche di ogni soggetto (to care), a quello di cura in senso medico (to cure).  Questa evoluzione ha reso sempre più stringente la necessità di sviluppare una struttura organizzata agli interventi di cura. Nasce così l’ospedale che dispone di strumenti, tecnologicamente sempre più evoluti, capaci di fornire cure sempre più raffinate e specializzate a chi ne ha bisogno. Così prevale, in modo progressivo, l’orientamento di aziendalizzare la sanità con il conseguente superamento dell’aspetto di relazione della cura, rapportata allo stato naturale di interdipendenza dell’uomo nella vita dell’uomo che è il suo modo di essere e stare al mondo, come sostiene lo stesso Manifesto.

L’elemento dominante di riferimento rischia di non essere più, dunque, il malato, bensì la malattia.

QUALE RITIENE SIANO I PUNTI PIÙ SIGNIFICATIVI DEL MANIFESTO?

Nel Manifesto appare dominante lo stretto rapporto che deve intercorrere tra ‘curare per sanare’ in senso medico e l’aspetto etico della cura. 

Per quanto concerne la cura in senso medico, rivolta a ‘sanare’ deriva che ogni essere umano deve potere accedere alle cure e agli stessi incondizionati trattamenti. Inoltre, al malato deve essere garantita la libera scelta del luogo di cura, il diritto a essere informato sui trattamenti, che devono corrispondere al massimi livello di qualità possibile, e la possibilità di accettarli (consenso informato) nonché alla totale riservatezza.

Per converso, il Manifesto indica chiaramente che lo stesso principio di dignità riguarda anche gli  operatori sanitari di ogni ruolo. Questi devono essere liberi di applicare le loro esperienze e conoscenze finalizzate alla cura strettamente medica. Ma la dignità, insiste il Manifesto, si deve estendere anche alle stesse strutture. Queste  ultime dovrebbero essere catalogate per capacità di funzioni, secondo il principio del ‘polo centrale’ (hub) e quello delle sedi periferiche, ciascuna con le proprie competenze previste nei percorsi di cura (spoke).

Per quanto concerne l’aspetto etico della cura, appare fondamentale che l’approccio al soggetto bisognoso di cure non può prescindere da alcuni principi che caratterizzano la persona umana, in primis la sua dignità, cui si riferiscono gli aspetti emotivi, psicologici spirituali e sociali.

NELLA MEDICINA CONTEMPORANEA SI POSSONO CONIUGARE TECNICA E UMANITÀ?

Il processo di un’aziendalizzazione globalizzata della sanità comporta conseguenze economiche dovute ai costi crescenti, il che rende necessario il calcolo della loro sostenibilità in progressione. Si intrecciano così, inevitabilmente, i principi etici, di schietta natura umanistica, con le necessità organizzative sollecitate dalle medical technologies e dalle sempre più raffinate specializzazioni, che, indubbiamente offrono maggiore efficienza di cura. E proprio questo valore di efficienza che l’aziendalizzazione della sanità offre, diventa la ragione del progressivo affidamento a una componente che si allontana sempre di più dal rapporto diretto della relazione umana che sta alla base della umanizzazione della medicina. Contribuiscono all’allontanamento quelli che sono i fattori tipici dell’aziendalizzazione: la logica della competizione, del profitto, della mercificazione che contrastano con i principi di solidarietà, di gratuità che finiscono per condizionare il modo di operare del medico.                                                                                        

Appaiono così evidenti i rischi di una progressiva disumanizzazione della medicina.

In questo contesto, la possibilità di coniugare tecnica e umanità diventa dunque un’operazione affidata alla sintonia di sentimenti e sensibilità delle singole parti, in modo da instaurare una positiva intesa che crei una comunanza di emozioni nei rapporti tra curante e paziente.

QUALE FUTURO POSSIAMO IPOTIZZARE NEL RAPPORTO TRA MEDICO E PAZIENTE? BASTERÀ UN ALGORITMO PER FONDARE L’ALLEANZA TERAPEUTICA?

Mi pare difficile immaginare come  elementi così profondamente inseriti nello spirito umano, come l’emotività, la sensibilità psicologica, il mondo dei sentimenti e degli impulsi,  il senso di responsabilità…, funzioni che l’uomo non sa neppure da dove originano, possano essere trasferiti in un ambito artificiale in modo che da esso sgorghino. E dunque, poiché si tratta di concetti di pura natura qualitativa, data la loro estraneità al dominio della pura razionalità, non possono essere trasformati in costrutti quantitativi da cui potere trarre degli algoritmi. Il matematico prof Lerda, nel suo libro: “Intelligenza umana e intelligenza artificiale”, si chiede infatti quale possa essere il rapporto tra la «creatività artistica dell’uomo e la pura attività algoritmico-computazionale». Il concetto è ribadito dal filosofo John Searle, il quale, alla domanda se sarebbe possibile una mente artificiale, risponde: «Noi non sappiamo come farlo perché non abbiamo ancora capito come il cervello crei la coscienza ».

In sostanza, rimane irrinunciabile il concetto secondo cui il rapporto tra medico e paziente non può che essere affidato al principio espresso dal Manifesto “Dignitas Curae” laddove sostiene che “la salute è un bene individuale e nel contempo relazionale. Il che è un dato e insieme un compito, che chiama a una solidarietà di cura”.

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