Sostieni Bioetica News Torino con una donazione. Sostieni

News dall'Italia

La mobilità italiana in Europa e la pandemia

09 Novembre 2021

Gli italiani in Europa e la missione cristiana è il tema delle quattro giornate internazionali di studio che la Fondazione Migrantes della Conferenza episcopale italiana ha organizzato, dal 9 fino al 12 novembre, per delineare e riflettere sulla situazione odierna dei migranti confrontandola con la realtà del passato.

Per gli spunti di discussione ha contribuito il nuovo Rapporto Italiani nel Mondo presentato all’apertura del Convegno. Elaborato nel periodo della pandemia il volume, nelle sue 600 pagine, è stato composto da 75 autori, fra studiosi, rappresentanti del mondo della politica, dell’economia, del volontariato e delle comunità italiane europee, che hanno posto un’indagine particolare e diversa dalle precedenti edizioni, nel cogliere storie, dati statistici e problematiche dei migranti e il loro rapporto con la fede, scaturita dal quadro emergenziale in cui tutta l’Europa si trovava nel 2020, paralizzata dinanzi agli effetti della propagazione virale del Sars-CoV-2. Il volume esce ad ottobre nel 2021, edito da Tau (pp. 596), «quando abbiamo avuto le giuste parole per raccontare il Rapporto», all’interno della convivenza quotidiana con l’emergenza pandemica, ha affermato Delfina Licante della Fondazione Migrantes, curatrice del volume.

Per Monsignor Stefano Russo, segretario generale della Cei, il testo è una sorta di diario della mobilità in cui come italiani si racconta dell’identità, dei cambiamenti e di quanto realizzato o cancellato, per volontà o incuria, in Italia e all’estero: «nonostante la pandemia, le emergenze inaspettate e le nuove sofferenze, viene sempre valorizzata la persona, in questo specifico caso, italiane e italiani in mobilità. Si viene conquistati dalle storie protagoniste di queste pagine. Giovani, anziani, famiglie, chi è partito nonostante il Covid, chi è tornato, chi ha deciso di partire dopo. Chi oggi ancora chiede di poter riabbracciare i propri cari perché non può entrare in alcuni territori, chi dall’estero non riesce a far ritorno in patria».

Si parla di cittadini che vivono oltre i confini dell’Italia, oggi come un tempo. Uno stato, ci descrive Monsignor Russo, citando il volume, «strutturalmente in mobilità a significare come il nostro popolo sia da sempre in movimento, un movimento che pare non sia riuscito a fermare neanche il coronavirus».

Ci tiene infine a mettere in evidenza alcuni punti per la ripresa del cammino sociale dopo la pandemia. Uno, un approccio altruistico come chiave di volta della società. Richiama la lezione impartita dall’emergenza pandemica e un obiettivo dello statista Giorgio La Pira quando guidava Firenze, “dare allo spirito dell’uomo quiete, poesia e bellezza” per poter raggiungere un benessere comune; due, considerare l’emigrazione materia complessa, data dalle esperienze di ogni incontro del migrante nel proprio cammino di vita; tre, dare come priorità, che è anche pastorale, il porsi l’interrogativo di come accompagnare le nuove emigrazioni giovanili, «non basta la sola assistenza morale e spirituale. La Chiesa deve essere compagna di vita per ciascuno di loro, la parrocchia una casa»; infine, sul riconoscimento del primato della persona sulle strutture nella politica come nell’accompagnamento spirituale; e per ultimo la continuità del rapporto dialogico tra Chiesa e istituzioni.

rapporto italiani nel mondo 2021 foto 1
Mappa I, Mete mobilità italiana nel mondo, Fonte: Rapporto Italiani nel mondo 2021 (Tau) per gentile concessione Fondazione Migrantes
rapporto italiani nel mondo 2021 foto 2
Mappa II, Meta mobilità italiana nel mondo – Fonte Rapporto Italiani nel Mondo 2021 (Tau), per gentile concessione Fondazione Migrantes

Dal Rapporto emerge sul piano culturale e identitario «un rinnovato e forse inaspettato forte senso di appartenenza che riprende vigore e nuove caratteristiche e il senso concreto del fare rete», commenta Massimo Vedovelli dell’Università per Stranieri di Siena. L’emigrazione non è solo quella dei cervelli in fuga ma anche di nuclei familiari, nascono minori all’estero. Ciò comporta il rinnovamento di un problema vecchio che si ripropone in termini nuovi, spiega Vedovelli, quello dell’inserimento scolastico dei figli dei neo emigrati e della politica linguistica familiare ossia le scelte che vengono fatte nelle famiglie tra il mantenimento dello spazio linguistico originario e la conquista del nuovo.

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel suo messaggio inoltrato alla presentazione del volume, si è soffermato sul concetto di mobilità cui gli Autori hanno dato rilievo nel loro Rapporto di questa XVI edizione, perché, a differenza dell’espressione “migrazione”, «apre a prospettive analitiche più ampie e complesse che tengono conto dell’evoluzione socioeconomica del nostro Paese e anche delle sfide impreviste che i nostri connazionali all’estero si sono trovati ad affrontare in tempi segnati dalla pandemia». Si tratta come dice Mattarella di una portata umana, culturale e professionale, che consta di una comunità di italo-discendenti di 80 milioni di persone nel mondo e più di 6 milioni di cittadini italiani residenti, e all’estero, del valore di italicità nel mondo, che «meritano riconoscimento e sostegno».

Papa Francesco nell’udienza tenutasi giovedì 11 in sala Clementina con i partecipanti del Convegno internazionale Gli italiani in Europa e la missione europea si è soffermato su tre punti di riflessione: la prima è che i “migranti” non sono “altri” da noi: la lettura del fenomeno mostra come «i migranti sono una parte rilevante del “noi, oltre che, nel caso degli emigranti italiani, delle persone a noi prossime: le nostre famiglie, i nostri giovani studenti, laureati, disoccupati, i nostri imprenditori», è nel “noi” che si legge la mobilità; la seconda, come si evince dai dati del volume, è l’essere consapevoli che allora l’Europa è una “casa comune” di cui «anche la Chiesa in Europa non può non considerare i milioni di emigranti italiani e di altri Paesi che stanno rinnovando il volto delle città, dei Paesi», un’Europa che non può prescindere dalla sua vocazione alla solidarietà nella sussidiarietà; la terza è la trasmissione della fede da parte delle comunità di emigrati italiani in Paesi europei, dal dialogo tra generazioni, tra nonni e nipoti.

Orientamento della mobilità italiana per comprendere lo stato di salute dell’Italia

Alla denatalità e all’invecchiamento demografico si è venuta ad aggiungersi la pandemia ad aggravare la situazione sociale dell’Italia, ferita dallo spopolamento territoriale; quest’ultimo riguarda lo spostamento dalle zone interne a quelle urbane, dal Sud al Nord e dall’Italia verso l’estero. La dottoressa Licante spiega che in sedici anni più dell’82% della popolazione italiana ha messo radici all’estero e la pandemia non ha fermato il flusso registrando 5milioni600 mila cittadini italiani all’estero e come questa analisi effettuata sulla presenza strutturale italiana all’estero in un lungo periodo che va dal 2006 al 2021 consente di poter fare una previsione futura.

Anche leggendo i dati sulla mobilità da e verso l’Italia emerge – si legge nel Rapporto – come la pandemia ha avuto importanti ripercussioni sulla popolazione italiana e su quella straniera presente nel nostro Paese. In base alle ultime stime ISTAT, a inizio 2021 gli stranieri residenti in Italia ammontano a poco più di 5 milioni: dopo un ventennio di crescita ininterrotta anche la popolazione straniera si ridimensiona e non riesce più a compensare l’inesorabile inverno demografico italiano. L’Italia, in sintesi, prosegue il Rapporto – è oggi uno Stato in cui la popolazione autoctona tramonta inesorabilmente e la popolazione immigrata, complice la crisi economica, la pandemia, i divari territoriali e l’impossibilità di entrare legalmente, non cresce più10. A quanto detto occorre aggiungere un altro paradosso, ovvero che l’unica Italia a crescere è quella che mette radici (e residenza) fuori dei confini nazionali in modo ufficiale – e quindi iscrivendosi all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (AIRE) – o in modo ufficioso, non ottemperando cioè all’obbligo di iscrizione anagrafica.

Si ha una storia umana, spiega la ricercatrice Licante, che narra di una massiccia presenza femminile, più dell’89% nell’arco dei 16 anni, di nuclei familiari con minori, di giovani che partono tra i 18 e i 40 anni e realizzano famiglia mentre in Italia non vi riescono, oppure di giovani nuclei familiari con bambini che lasciano il Paese, di iscritti per l’espatrio oltre il 42%.

Una mobilità che tuttavia si rinnova e ringiovanisce: al 2021 in 16 anni l’acquisizione di cittadinanza è aumentata del 128%.

Durante lo stato di emergenza pandemica il flusso di mobilità non si è fermato seppure più contenuto a causa degli isolamenti forzati: da gennaio 2020 a a dicembre 2020 hanno lasciato l’Italia 109 mila connazionali per espatrio, pari a – 16% dell’anno precedente.

Chi sono?

Sono espatriati giovani tra i 18 e i 34 anni la cui presenza rimane prevalente mentre sono diminuiti gli anziani e i minori sotto i 10 anni, probabilmente in un’ottica di maggiore tutela dal Covid-19, così come ha inciso sulla meta percepita più sicura preferendo oltre il 78% l’Europa, Riguardo al genere, prevale quello maschile con il 54% e allo stato civile, celibi nubili per il 66%.

Il Regno Unito si conferma la destinazione maggiormente preferita, Paese che si è rivelato rispetto agli altri con un saldo positivo + 33%, cioè oltre 33 mila partenze, rispetto all’anno precedente, nonostante la pandemia e l’uscita al 31 dicembre 2020 dall’Unione Europea. Delle oltre 33 mila iscrizioni nel Regno Unito vi si sono recati giovani cittadini italiani tra i 18 e i 34 anni per il 45%, tra i 35 e i 44 anni per il 22 % e i minori per il 24%, dati che sono emersi anche dalla procedura obbligatoria richiesta di permanenza del Settled status durante la Brexit di separazione dell’Unione Europea.

La Brexit ha generato sentimenti divisi, fra chi si è sentito tradito ed è tornato a casa per il lavoro precario causato dalla pandemia o ha scelto altre mete europee e chi continua a percepire il Regno unito come una seconda casa.

Dai dati di Controesodo emerge che anche i profili di chi fa rientro sono cambiati dovuti alla pandemia. Il profilo pre-Covid riguarda persone mature che si rivolgono verso il Nord del Paese mentre quelli arrivati durante il Covid sono prevalentemente giovani, autonomi, ricercatori o in cerca di lavoro, diretti al Sud.

Anche riguardo allo studio la pandemia ha esacerbato le perplessità sullo spostamento, indebolendo le scelte del genere femminile facendo ritardare le partenze; ha differenziato le aree geografiche, rendendo più fragili quelle del Nord più colpito dalla pandemia, rendendo più fragile la classe sociale media che ha dovuto trovare soluzioni diverse disincentivando trasferimenti dal sud per motivo di studio e verso l’estero e facendo più ricorso alla didattica online.

Il volume riporta il caso degli “studenti vampiro”, di coloro che pur avendo ottenuto borse di studio o pagato rette universitarie non hanno potuto a causa delle misure restrittive anti -Covid -19 recarsi nelle università lontane come Giappone e Cina o Australia e Nuova Zelanda ma hanno dovuto adattarsi a seguire corsi a distanza nel fuso orario della sede universitaria: ciò ha stravolto i loro ritmi quotidiani, invertendo il giorno con la notte. Studenti che bevono tisane per dormire ed energizzanti per restare svegli. «Un periodo esistenziale molto complesso per questi studenti, foriero di dubbi e di difficoltà che paradossalmente avvicina l’altrove e allontana ciò che è vicino», commenta la dottoressa Licante nel volume.

Quali effetti psicologici ha creato la pandemia?

Si sono riscontrati disagi psicologici importanti tra i giovani che sono dovuti rientrare in famiglia dopo un periodo trascorso all’estero, in famiglie all’estero che hanno avuto una gravidanza lontano dagli affetti e dal sostegno familiare.

Tra i bisogni più intercettati, nel Rapporto emergono il parlare e l’essere ascoltati, l’aiuto nella compilazione della modulistica e per la perdita del lavoro.

Viaggio in 34 città del mondo

Nei 54 saggi che compongono il volume viene arricchito dall’analisi di 34 citta del mondo e di come gli italiani residenti in modo ufficiale o meno hanno affrontato l’epidemia mondiale e vissuto l’isolamento. Il viaggio ha riguardato Algeri, Barcellona, Berlino, Bruxelles, Buenos Aires, Casablanca, Colonia, Dakar, Dublino, Ginevra, Johannesburg, Libreville, Londra, Madrid, Manchester, Mar del Plata, Marrakech, Melbourne, Monaco di Baviera, Montevideo, Montreal, Nairobi, New York, Osaka, Oslo, Parigi, Pechino, Perth, Rabat, San Paolo del Brasile, Sidney, Tokyo, Toronto, Vienna.

Durante la pandemia si è riscoperto il senso della comunità e del mutuo aiuto: l’operosità del volontariato e di nuove forme di associazionismo caratterizzato da un protagonismo giovanile e dall’impiego di strumenti digitali nuovi.

La resilienza è stata poi la chiave per molti che hanno dovuto rialzarsi dai sacrifici fatti per anni reinventandosi nuovi modi e attività lavorative come quello ad esempio di convertire il servizio di ristoro in sala di lettura.

La pandemia ha anche portato a scoprire il territorio in cui erano in mobilità sotto una luce diversa da quella legata all’attività lavorativa nel momento in cui si sono trovati a rispettare le misure restrittive e impossibilitati temporaneamente nel fare ritorno in patria.

(aggiornamento 11 novembre 2021 ore 16.07)

CCBYSA

redazione Bioetica News Torino
Sugli stessi temi: Divenire della Vita, Fragilità