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Prima nata in Italia da trapianto d’utero

02 Settembre 2022

Il donarsi agli altri, questa volta non ha salvato la vita ad una persona, ha contribuito alla sua nascita: nasce una bambina, l’hanno chiamata Alessandra come la sua donatrice, una giovane madre morta per arresto cardiaco, all’ospedale Cannizzaro di Catania. Ė la prima nata da trapianto d’utero in Italia, assistita dal prof. Scollo direttore del Dipartimento di ginecologia ed ostetricia e dal prof. Pierfrancesco Veroux di chirurgia vascolare e trapianti dell’Università degli Studi di Catania che ha diretto le fasi della procedura per il trapianto d’utero nella madre affetta dalla sindrome di Rokitanski nel centro ospedaliero catanese, secondo il protocollo sperimentale istituito nel 2018 e attivato l’anno successivo con il coordinamento del Centro nazionale trapianti con l’autorizzazione del Consiglio Superiore di Sanità.

In via sperimentale il centro effettua un percorso clinico-assistenziale di tre anni multidisciplinare con il trattamento di due o tre pazienti arruolate per l’inserimento nella lista nazionale per il trapianto d’utero, tra i 18 e 40 anni con anamnesi negativa da patologie oncologiche, assenza di pregresse gravidanze a termine con esito positivo, affette da infertilità assoluta del fattore uterino (Ufi) congenita, assenza di utero per la Sindrome di Mayer-Rokitanski-Kuster-Hause, o acquisita a seguito di atonia uterina post-partum (emorragia), isterectomia post-partum o complicanze ostetriche come casi di malformazione congenita o sindrome di Asherman. Il trapianto d’utero è temporaneo, viene effettuato per la procreazione, che avviene mediante la riproduzione medicalmente assistita (Pma), e viene rimosso a gravidanza avvenuta. Finora in Italia sono stati eseguiti due interventi, uno nel 2020, da cui è nata questa bambina, e l’altro nel gennaio 2022.

La bambina è nata con taglio cesareo alla 30°settimana di gestazione dopo l’evolversi dell’infezione da Sars-CoV-2 nella madre, e con un peso di 1.725 grammi. Entrambe sono ricoverate in terapia intensiva, separate, in quella per gli adulti e neonatale. Un’intervento complesso la cui pratica viene eseguita e realizzata in pochi casi nel mondo, il 20% dei pochi trapianti di utero da donatrici decedute. In Italia in lista di attesa per il trapianto vi sono al momento 5 donne. La donatrice deve essere deceduta, tra i 18 e i 50 anni.

Il percorso per la sua nascita è iniziato nel 2020 con un trapianto, la cui gestione presenta sin dall’inizio notevoli difficoltà tecniche dall’asportazione conservandone l’integrità strutturale alla vascolarizzazione all’innesto e al legame con gli altri organi, e poi con la Pma omologa, con gli ovociti prelevati alla paziente prima dell’intervento e conservati. La madre, ha spiegato il prof. Veroux, è stata seguita per due anni per il monitoraggio delle sue condizioni e per la terapia immunosoppressiva.

Nel documento del protocollo sperimentale si riporta il parere favorevole del Consiglio Superiore di Sanità e la sua osservazione sulla discussione etica che riporta pareri differenti su tale tipo di trapianto. Viene giustificato da alcuni esperti per la disabilità che l’assenza di un utero può comportare in una donna e per il fatto che la terapia immunosoppressiva è temporanea fino alla rimozione dell’utero innestato.

Che cosa è la Sindrome Rokitansky?

Si tratta di una malattia rara, che colpisce in genere una bambina su cinquemila, chiamata Sindrome di Mayer-Rokitansky-Kuster-Hauser. L’apparato genitale interno non si sviluppa in modo corretto durante la vita fetale, in particolare viene a mancare del tutto o in parte lo sviluppo dell’utero e della vagina. Le ovaie invece sono normali.

Possono esservi delle alterazioni a carico di altri organi ed apparati, come quello urinario che è il più frequente e del muscolo-scheletrico.

Veniva considerata come un’anomalia sporadica mentre l’attenzione ai numeri crescenti di casi familiari suggerisce oggi un’ipotesi genetica, la cui causa è in corso di studio, spiega la dottoressa Maria Chiara Lucchetti dell’Unità operativa di Chirurgia Andrologica dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma. Purtroppo ci si accorge tardi, in genere il sospetto avviene in assenza di comparsa della prima mestruazione (menarca), in altri casi alla nascita in presenza di malformazioni urinarie.

Quale cura?

Una via non chirurgica di tipo conservativo ―si legge nel sito del Bambino Gesù di Roma ― è prevista mediante l’uso di espansori quando c’è un abbozzo di vagina di almeno 1,5-2 centimetri. Una pratica che, data la lunga durata della terapia, per l’età adolescenziale in cui si comincia e i problemi psicologici che possono crescere, per il suo tipo di approccio può essere anche rifiutato dalla ragazza.

Quella chirurgica consiste nella ricostruzione ex novo della vagina quando è del tutto mancante. In questo caso l’intervento «oltre ai rischi legati all’impianto e all’attecchimento del tessuto (prelevato da altri organi oppure fatto crescere in provetta a partire da cellule della paziente) certamente comporta la formazione di cicatrici che possono avere ripercussioni funzionali per l’elasticità e la sensibilità che deve mantenere la cavità vaginale».

Se invece manca l’utero o è troppo piccolo o malformato, l’intervento di ricostruzione della vagina non risolve il problema dell’infertilità.

«Nei prossimi anni una concreta possibilità potrà essere rappresentata dal trapianto d’utero, che oggi viene considerato un intervento di tipo sperimentale, ma che si sta affermando come una concreta possibilità di trattamento, in futuro, per queste pazienti. Certamente, la scelta di ricorrere al trapianto andrà sottoposta caso per caso ad attenta e competente valutazione di etica clinica», commenta la dr.ssa Lucchetti.  

Uno studio svedese sui trapianti d’utero

 Si tratta di un’osservazione clinica sperimentale  sui trapianti d’utero da donatori viventi effettuati presso la Sahlgrenska University Hospital di Gotenborg  in Svezia.

È lo stesso professore Mats Brännström del dipartimento di Ostetricia e ginecologia della Salgrenska Academy – University of Gotenborg, che ha diretto gli interventi, professore di ostetricia e ginecologia,  e  con altri studiosi presso la  medesima università, K. Pemilla Dahm-Kindaga, N. Kvarnström et al. ha analizzato lo stato di salute mentale e fisico dei pazienti, i risultati della fertilizzazione in vitro, sulle gravidanze, lo sviluppo dei bambini.

Pochi casi sono stati studiati finora in modo completo. Gli autori hanno constatato che nessun  donatore  ha avuto sintomi pelvici, pochi  hanno manifestato sintomi in parte passeggeri  nella forma di sconforto o di lieve gonfiore alle arti inferiori. Nessun donatore o ricevente ha accusato sintomi depressivi o d’ansia.  I bambini sono stati monitorati fino ai due anni e si prevede un proseguimento fino all’età adulta.

«I bambini nati adoggi rimangono sani e la salute dei donatori e riceventi è nel lungo periodo è generalmente altrettanto buona», spiega il prof. Brännström.

Divulgata  su Fertility & Sterility, il 10 giugno 2022, intitolata, Reproductive, obstetric, and long-term health outcome after uterus transplantation: results of the first clinical trial (https://doi.org/10.1016/j.fertnstert.2022.05.017)  la ricerca clinica sperimentale  riporta che su nove interventi di trapianto d’utero a sette è stata praticata la fertilizzazione in vitro. Sei  donne hanno partorito 9 bambini, di cui 3 donne hanno avuto un parto gemellare di due, pari a un tasso cumulativo delle nascite pari all’86% e al 67% la riuscita chirurgica e trapianto. Sviluppo fetale e flusso del sangue erano normali in tutte le gravidanze. Il parto è avvenuto in media nella 35°ma settimana. Tre donne hanno sviluppato preclamsia e quattro neonati hanno acquisito la sindrome da distress respiratorio acuto. Tutti i bambini erano in salute e hanno seguito un percorso di crescita normale.

La probabilità di gravidanza per singolo embrione  ritornato all’utero trapiantato era del 33%, non è differente del tutto dal tasso di successo  dei trattamenti con Ivf.  

Bambini nati da trapianti d’utero nel mondo

La pratica della trapiantologia d’utero è iniziata con un progetto universitario di Gotenborg nel 1999 per poter dare la possibilità a chi desidera avere un figlio ma è senza utero dalla nascita o a causa di una malattia oncologica, condotto su topi dal prof. Mats Brännström. E poi la sperimentazione passa sull’essere umano, i trapianti si effettuano da donatrice vivente.

E lì nel 2014 nasce il primo bambino nel mondo da trapianto d’utero, la donatrice è una sessantenne vivente senza legami parentali, con tecnica di impianto procreativo di crioconservazione dell’embrione.

Nel 2002 risaliva in Arabia Saudita il primo trapianto effettuato su una donna da donatrice vivente, che dopo tre mesi fu rimosso, nel 2011 in Turchia da donatrice morta su una donna che abortì.

Invece il 17 febbraio 2020 dall’Università di Gotenborg veniva data la notizia del primo trapianto di utero da una donatrice deceduta: il trapianto era avvenuto nel dicembre 2019 sotto la supervisione del prof. Brännström.

Verso la fine del 2021, metodica e tecnica del gruppo di ricerca svedese hanno oltrepassato i confini: alla fine del 2021, nel mondo ― si legge nella nota dell’Università di Gotenborg il 14 giugno 2022 ―, si stima novanta trapianti di utero di cui 20 sono stati eseguiti in Svezia, nel mondo sono nati 50 bambini sono nati.

redazione Bioetica News Torino
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