Dopo ben dieci anni di assenza dagli schermi, l’acclamato regista palestinese Elia Suleiman torna a far parlare di sé con l’ultima e attesissima fatica cinematografica, probabilmente la più brillante e la più provocativa della sua carriera.
Tragi-comica commedia dell’assurdo, Il Paradiso Probabilmente – accolto con grande entusiasmo al 72° festival di Cannes (Premio Fipresci) − diverte lo spettatore dileggiando e irridendo senza esclusione di colpi l’insostenibile vacuità dell’essere umano, da sempre alla ricerca di una propria identità in una società tristemente omologante e insofferente alle diversità.
Il film è agrodolce, lontano da ogni possibile edulcorazione di un mondo ormai alla deriva, di cui il regista (anche attore) si fa muto e impotente testimone; militarizzazione, emarginazione, alienazione e globalizzazione sono comuni in Palestina quanto a New York e a Parigi, sembra volerci dire Suleiman.
L’ostilità è ormai pane quotidiano, sia in Oriente che in Occidente. E i riferimenti a questo, nel film, si moltiplicano: dagli inquietanti poliziotti che inseguono i ladri servendosi di improbabili monocicli alle mamme che vanno a fare la spesa munite di mitra; è la meravigliosa leggerezza dell’assurdo che sfocia nell’ordinario, del surreale assorbito dal reale.
Non si può non constatare, però, che a differenza delle produzioni precedenti Il Paradiso Probabilmente pecca di un’autoreferenzialità che si sarebbe potuta evitare e che compromette irrimediabilmente l’efficacia narrativa. La comicità kafkiana, talvolta quasi grottesca, appare spesso forzata, lontana da quella assai più brillante e tagliente a cui il talentuoso regista palestinese ci aveva abituati.
La scelta stilistica del film tuttavia non si distanzia da quella adottata dall’ultima generazione di cineasti israeliani, che si servono del surrealismo e della teatralità per esprimere con più potenza la critica sociale.
«Nei miei film precedenti ho cercato di rappresentare la Palestina come un microcosmo del mondo, qui voglio mostrare il mondo come un microcosmo della Palestina», spiega Suleiman, «Penso che il conflitto [arabo-israeliano] abbia esteso i suoi tentacoli a qualsiasi altra parte del mondo e che c’è una “palestinizzazione” globale dello stato delle cose. Il divario di classe ed economico, la migrazione, l’ansia e la violenza – di questo parla il film. Parla di discriminazione. Parla di declassamento in base al colore. È ciò che questo film cerca di rivelare, e collega tutto questo al colonialismo».
La pellicola è stata accolta nelle sale italiane il 5 dicembre 2019, distribuita da Academy Two.
© Bioetica News Torino, Dicembre 2019 - Riproduzione Vietata