1. La garanzia costituzionale
La libertà di insegnamento è garantita dall’art. 33 della Costituzione che, al primo comma, recita: «l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento». È opinione consolidata che l’espressione «scienza» comprende tutte le attività di indagine e di ricerca, non soltanto quelle relative alle scienze cosiddette esatte e sperimentali; la libertà di insegnamento rappresenta «quasi una prosecuzione ed espansione» della libertà della scienza e dell’arte (in questi termini si è pronunciata la Corte Costituzionale nella sentenza n. 240 del 1972) e vale per tutti i docenti, di qualunque ordine e grado (come è stato riconosciuto in letteratura ormai da molto tempo: l’autore più significativo è U. POTOTSCHNIG, «Insegnamento (libertà di)», in Enciclopedia del Diritto, XXI, Giuffrè, Milano 1971, p. 721 ss.).
L’espressione contenuta nell’art. 33 della Costituzione significa che «non esistono né arte né scienza ufficiale o di stato» (in questo senso si è pronunziata la Corte Costituzionale già nella sentenza n. 77 del 1964 e in questo senso si è espressa anche la letteratura più risalente, richiamata da B. CARAVITA, Commentario breve alla Costituzione, Cedam, Padova 1990, p. 225).
La libertà di insegnamento è una libertà individuale (si tratta di un diritto individuale di libertà: così C. MARZUOLI, in www.ospitiweb.indire.it, 2002) che non può essere delegata dall’insegnante ad altri soggetti neppure collettivi né può essere limitata da organi rappresentativi degli insegnanti nella scuola (in letteratura S. FOIS, A. PIZZORUSSO, richiamati da B. CARAVITA, op. cit., pag. 226).
Il carattere di libertà individuale della libertà di insegnamento garantisce la neutralità del servizio pubblico dell’istruzione (C. MARZUOLI, op. cit.) in quanto ciascun insegnante può insegnare ciò che ritiene corretto e dalla pluralità di voci emerge la neutralità dell’insegnamento pubblico.
2. I limiti del diritto
Il diritto di libertà dell’insegnante non è, però, illimitato, dal momento che trova il proprio punto di confronto in doveri di solidarietà collettiva e in posizioni di singoli, nella specie dei destinatari dell’insegnamento.
Il primo limite alla libertà di insegnamento è quello di tutela gli studenti: anche l’art. 31 della Costituzione, ove è previsto che la Repubblica protegge l’infanzia e la gioventù, comporta la tutela degli studenti.
Si ritiene, normalmente, che altro limite alla libertà di insegnamento sia in generale il buon costume (ovviamente rapportato alla tipologia di insegnamento e alla tipologia di studenti) e l’ordine pubblico costituzionale, e cioè le regole di carattere fondamentale che disciplinano la nostra convivenza nonché il patrimonio spirituale della nazione che non può essere svalutato o denigrato (si veda A. MATTIONI, «Insegnamento (libertà di)», in Digesto, Disc. Pubbl., Torino, UTET, 1993, p. 420 ss.).
Vi sono, poi, i limiti tecnici, e cioè le caratteristiche intrinseche e soggettive dell’insegnamento, che deve essere impartito tenuto conto del contenuto normalmente riconosciuto proprio della materia e delle capacità di apprendimento degli studenti; non è ovviamente possibile che l’insegnamento sia utilizzato a fini di propaganda politica o di proselitismo (così B. CARAVITA, op. cit., p. 226).
Consegue alla necessaria neutralità dell’insegnamento, che non significa assenza di una posizione personale dell’insegnante, che questi ha comunque l’obbligo di informare gli studenti sulle tesi diverse da quelle che egli sostiene per garantire l’obiettività dell’apprendimento (P. BARILE – E. CHELI – S. GRASSI, Istituzioni di diritto pubblico, Cedam, Padova 2011, p. 494).
3. La disciplina legislativa
I principi costituzionali sono stati confermati dalla disciplina legislativa vigente. Così, il d. lgs. 16 aprile 1994, n. 297, che costituisce il T.U. delle leggi sull’istruzione, all’art. 1 stabilisce che «ai docenti è garantita la libertà di insegnamento intesa come autonomia didattica e come libera espressione culturale del docente»; l’esercizio di questa libertà è diretta a promuovere la piena formazione della personalità degli alunni, attraverso un confronto aperto di posizioni culturali; è garantita l’autonomia professionale nello svolgimento dell’attività didattica, scientifica e di ricerca.
All’art. 2, è stabilito che l’azione di formazione è attuata nel rispetto della coscienza morale e civile degli alunni e all’art. 3 che la scuola è una comunità che interagisce con una più vasta comunità sociale e civile.
La funzione dell’insegnamento, che è quella di consentire agli studenti di acquisire una preparazione adeguata e corrispondente al livello ritenuto valido in un determinato momento storico, anche perché i titoli di studio hanno un valore legale, giustifica il coordinamento didattico, anche per ciò che concerne l’adeguamento dei programmi e l’adozione dei libri di testo, affidati ai vari livelli dell’organizzazione amministrativa della scuola: questo coordinamento, però, deve sempre garantire la possibilità per il singolo docente di orientare il contenuto dell’insegnamento secondo quello che ritiene importante o indispensabile, ferma restando la necessità di affrontare tutti i temi previsti nel programma.
La libertà di insegnamento è stata riconosciuta anche allorché è stato introdotto il principio in forza del quale le istituzioni scolastiche sono autonomie funzionali (si veda R. MORZENTI PELLEGRINI, Istruzione e formazione nella nuova amministrazione decentrata della Repubblica, Giuffrè, Milano 2004, p. 113): il d.p.r. 8 marzo 1999, n. 275, infatti, all’art. 1, ha precisato che l’autonomia delle istituzioni scolastiche è una garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale; l’art. 4 stabilisce che le istituzioni scolastiche approvano percorsi formativi e regolano i tempi dell’insegnamento e dello svolgimento delle singole discipline «nel rispetto della libertà di insegnamento».
L’autonomia delle istituzioni scolastiche perciò coopera a garantire la libertà di insegnamento, non la limita.
4. Un’interpretazione equilibrata di diritto e dovere
La contrapposizione tra diritto alla libertà di insegnamento dell’insegnante e dovere di prestare un’attività educativa adeguata dev’essere risolta considerando il rapporto tra la libertà di manifestazione del pensiero del docente e le esigenze del servizio pubblico dell’istruzione che è erogato nella comunità scolastica.
La soluzione al possibile conflitto sta nella individuazione di una regola interpretativa che preveda la ragionevolezza della utilizzazione dei due istituti e l’adeguatezza del servizio. L’art. 3 della Costituzione, che disciplina entrambi i profili, garantisce a questo punto che non sia discriminato né il docente né il discente, nella prospettiva della crescita della persona e della comunità (in tema F. FRACCHIA, Il sistema educativo di istruzione e formazione, Giappichelli, Torino 2008, p. 27). Del resto, il principio di ragionevolezza, prima citato, è poi una declinazione giuridica aggiornata del criterio della natura delle cose (sulla valutazione anche giuridica di questo criterio, si veda l’opinione di N. BOBBIO, in www.lex.unict.it).
Quest’orientamento dev’essere utilizzato anche per affrontare i temi che, da ultimo, risultano più rilevanti e cioè, per esempio, la valutazione delle indicazioni ministeriali in ordine a determinati oggetti sensibili dell’insegnamento.
Se il Ministero individua degli argomenti di insegnamento che ritiene debbano essere impartiti, l’indicazione non può essere pretermessa dagli insegnanti perché il Ministero, che fa parte del Governo, rappresenta quelle che sono le esigenze della comunità nazionale.
All’insegnante, però, spetta di impartire le doverose informazioni sugli argomenti che sono stati indicati in modo autonomo e responsabile, e cioè sulla base delle proprie opinioni, fornendo comunque agli studenti un quadro completo ed obiettivo delle opinioni espresse eventualmente anche da altri.
© Bioetica News Torino, Luglio 2016 - Riproduzione Vietata