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12 Settembre 2013
Supplemento Medicina narrativa e letteratura

L’arte nel corpo delle donne: Etica ed estetica dell’imperfezione in M. Quinn

Marc Quinn, Breath (2012): Double layer polyester and high capacity air pumps, 1100 cms © Photo courtesy of Marc Quinn studio

Isola di San Giorgio Maggiore a Venezia, di fronte a San Marco: un grande corpo di undici metri, in plastica gonfiabile, realizzato da Marc Quinn, esponente artistico della Young British Art 1.

Breath: una novella Venere incompleta e imperfetta nelle forme; emblema della riproducibilità

Non il marmo classico di Carrara, ma la plastica contemporanea dà forma alla rappresentazione di una donna. La scelta del materiale richiama l’effimero, il transitorio, la velocità di movimento dell’epoca globale. Un’opera che si gonfia e si sgonfia per essere riposizionata altrove. Impastata nei polimeri plastici che modellano gli oggetti della nostra quotidianità, materiali di cui stentiamo ad individuare funzione e valore quando invadono l’arte, percepiti dissonanti dai canoni classici.
Possiamo riconoscere in essa l’emblema della riproducibilità, nel tempo delle copie e delle riproduzioni. È infatti la riproduzione, eseguita per le Paraolimpiadi di Londra, dell’opera in marmo – Alison Lapper Pregnant – che l’autore realizzò nel 20052.

L’opera nella sua gigantesca dimensione rimanda al gridato, all’esagerato, rivaleggia con le enormi insegne pubblicitarie che mascherano l’architettura lagunare e che silenziosamente e ambiguamente sono entrate a far parte del paesaggio, si protende sulle acque della laguna a fissare e sfidare il passaggio delle navi da crociera che scivolano enormi tra i profili degli edifici.
Non la Venere di Milo nella fissità classica della sua plasticità, ma una donna incinta e, come lei, novella Venere, incompleta e imperfetta nelle forme.

È il corpo nudo di un’artista amica, Alison Lapper, fotografa e pittrice, nata con gravi menomazioni a causa di un farmaco, e della sua felice gestazione. Nel corpo della modella è impresso il richiamo ideale e reale alla naturale discendenza dai soggetti della scultura classica. Una discendenza che ritroviamo nelle forme del nudo, che riconosciamo nella simmetria della testa e del volto, nell’imperturbabilità e alterità dello sguardo.

Qui l’arte rovescia i canoni classici

Eppure lo sconcerto ci accoglie e lo esprimiamo individuandone la ragione nella provocazione artistica, nell’impossibilità di comprendere le ragioni e il moto ispiratore dell’opera, nella scelta di un luogo non consono come il sagrato della Basilica palladiana di S. Giorgio Maggiore, al centro dell’aulicità della laguna di San Marco. Il disagio lo attribuiamo al voler far parlare di sé da parte dell’artista.

Non è solo questo. Già il nostro pensiero corre alla dissonanza tra bellezza del visibile e imperfezione delle forme e ne scruta il senso.

Dissonanza tra bellezza del visibile e imperfezione delle forme

Perché il gigantismo dell’imperfezione? L’alterità dell’imperfezione del corpo che si fa monumento, che si sovraespone dove dovrebbe prevalere il pudore di celare. Nella società che rincorre il sogno e l’effimero della perfezione e dell’efficienza del corpo pare non ci sia posto per i segni della disabilità, della malattia, della morte.

Il pietismo sussurrato, declinato con gli eufemismi che il linguaggio ci suggerisce, riconferma attraverso i meccanismi dell’esclusione e della discriminazione l’idea della qualità della vita valutata sull’efficienza e su di una codificata normalità del corpo, idoneità del ruolo e del valore sociale. La bellezza e l’aspetto fisico sono percepiti come fattori determinanti per la vita di una persona, ne compongono il valore misurato su parametri di normalità e vicinanza alla perfezione.
Il canone fisico diventa canone estetico ed etico. Discriminanti non solo esteriori, ma anche interiori e funzionali, evidenziano le limitazioni condizionanti il nostro essere persona che si accetta, che si valorizza, che affronta la vita e gli altri con la consapevolezza e la sicurezza del proprio essere.

Il riduzionismo delle immagini che associamo alla qualità e al valore della vita, gli stereotipi che danno senso all’esposizione del corpo delle donne rispondono a criteri di sensualità, maternità in funzione del marketing che modella, riveste e sveste i corpi.

La supposta normalità crea distanze e costruisce differenze, e qui, di contro, l’arte rovescia i canoni, confonde e fonde perfezione e bellezza. Grida nelle dimensioni gigantesche di un corpo imperfetto la perfezione, espone il valore in opposizione all’efficienza, afferma la forza della vita che si manifesta nei polimeri plastici della maternità.

Si può leggere nell’opera di Quinn la volontà di ritrarre il corpo nelle forme della disabilità per indagare sulla vita, sul limite, sulla malattia. E non solo. C’è volontà di esporre e celebrare una forma di eroismo, «a new model of female heroism»3 . L’eroismo di cui parla Quinn si fonda nella scelta di vita e di maternità in relazione alle difficoltà poste dalla condizione fisica e dai pregiudizi della società.

La dea Venere si trasforma e l’opera già richiama le forme degli eroi antichi celebrati dalla statuaria classica. Alison, priva di braccia, non suscita compassione o commozione nella grandezza della sua fierezza. Il gigantismo plastico celebra un nuovo eroe, in grado di sfidare pregiudizi e consuetudini, e assume la bellezza e la perfezione del linguaggio dell’arte. È eroe senza genere. Ed è al tempo stesso donna nei segni della maternità che sfida limiti fisici e canoni estetici. Monumento al futuro, che il corpo di Alison contiene.

Spesso il concetto di eroe accompagna e sottolinea la disabilità che vince la sfida al limite e che supera i confini che circoscrivono l’idea di una teorica normalità, pensiamo ai campioni dello sport e dello spettacolo di cui si celebrano i successi. È frutto di una compensazione di fronte ai segni della fragilità, dell’imperfezione del corpo, che placa i nostri dubbi quando la percezione dei sensi e la ragione non sono in grado di decodificare in essi la bellezza del visibile e il senso dell’essere.

La monumentalità di dimensione e forma di Alison non è compensazione, esprime quella capacità di resilienza umana, che è trionfo della vita, e non semplice sfida e riscatto da una condizione di svantaggio4. Ma il gigantismo eroico della statua di Quinn ritengo suggerisca altro. E questo altro, mi domando, potrebbe consistere nello svelare la relazione all’ideale di perfezione proprio richiamando e proponendo le forme della statuaria antica, cioè avvalendosi di quella bellezza del visibile resa dall’arte?

Coniugando la bellezza e la solennità delle forme dell’arte antica con elementi dissonanti quali i materiali plastici e la comunicazione amplificata del linguaggio contemporaneo, la provocazione di Marc Quinn, se di provocazione vogliamo parlare, sta nel presentare in una dimensione etica ed estetica la fisicità del corpo esponendo l’apparenza dell’imperfezione. Là dove l’imperfezione biologica e fisiologica visibile nel corpo è spesso risolta attraverso i meccanismi dell’esclusione e della non esposizione, o compresa nelle forme della compassione, della commozione e della dannazione, o dell’eroismo in grado di superare il limite, qui il corpo incompleto si fa monumento, è perfezione, ed il limite biologico è assunto a simbolo di vitalità e maternità.

Rimanda alla bellezza della materia nella molteplicità di espressioni in cui siamo modellati. Questa ostentazione delle forme introduce attraverso le regole e il logos dell’arte alle leggi che regolano e governano l’organizzazione del corpo umano e ne svelano la bellezza. Forma e formosa in latino hanno la stessa origine, evidenzia lo storico dell’arte Jean Clair, e si potrebbe aggiungere suggeriscono un percorso che staccandosi dagli stereotipi e dai canoni mutevoli esteriori segue nel visibile la legge della Bellezza in tutte le sue manifestazioni di forma e di essere, nel nome della radice comune. La bellezza dei corpi nella loro varietà e diversità, la perfezione che si fonda nella vita, l’efficienza e l’armonia che si modellano sui valori dell’essere.

Il respiro – Breath – di Alison che sostiene e sorregge l’opera fuori scala è anche il nostro, è rivendicazione e celebrazione della vita, del suo mistero, dei sui limiti trasformati in forma e quindi in Bellezza. Quella bellezza delle forme che si anima attraverso il soffio della vita nel corpo, comunque esso sia, e generatore di vita.


Note bibliografiche 

 L’opera Breath (2012)  introduce la personale dell’autore, curata da Germano CELANT, alla Fondazione Giorgio Cini onlus (29 maggio – 29 settembre 2013).  Si veda URL: Fondazione Giorgio  Cini onlus <http://www.cini.it/events/marc-quinn> (internet 03.09.2013)

 L’opera di dimensioni monumentali, calco in marmo di Carrara, fu installata a Londra tra il 2005 e il 2007 in Trafalgar Square, nella piazza delle statue dedicate a Giorgio IV e all’ammiraglio Nelson. Fa parte della serie «The complete Marbles», in cui persone con malformazioni fisiche sono rappresentate come naturali discendenti dei modelli delle sculture classiche

URL: London.Gov.Uk (Internet 03.09.2013) <http://www.london.gov.uk/priorities/arts-culture/fourth-plinth/commissions/marc-quinn>  : Interview 2005: «Alison’s statue could represent a new model of female heroism. In the past, heroes such us Nelson conquered the outside worlds. Now it seems to me they conquer their own circumstances and the prejudices of others, and I believe that Alison’s portrait will symbolise this […] Her pregnancy also makes this a monument to the possibilities of the future» 

4 Marc Quinn: «[…] The work is a triumph of life and an example of human resilience […] », cit. in KOSLOW MILLER F. , Triumph of Life. An interview with Marc Quinn,  «Art in America», 10  june 2013

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12 Settembre 2013 Supplemento Medicina narrativa e letteratura