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12 Settembre 2013
Supplemento Medicina narrativa e letteratura

Notizie dall’Italia

1. Dolore. Legge 38, un modello per l’Onu. Ma in Italia restano gap da colmare

1 luglio 2013

La Legge 38/2010 ha posto il nostro Paese all’avanguardia a livello internazionale. In patria, tuttavia, la normativa è ancora distante dai cittadini che dovrebbe tutelare e gli sforzi profusi per darle vita rischiano di essere vanificati, se non si pone rimedio al gap di conoscenze che interessa la maggior parte della classe medica e alle lacune organizzative nell’assistenza al paziente che soffre. Questo il messaggio d’apertura della V edizione di «Impact proactive», gli Stati Generali della lotta alla dolore che l’1 e il 2 luglio, a Firenze, riuniscono Ministero della Salute, Regioni, oltre 65 Società Scientifiche, Associazioni e Fondazioni, per valutare lo stato di attuazione della Legge 38 ma soprattutto per definire le azioni da mettere in campo al fine di garantire ai cittadini cure adeguate ed efficaci su tutto il territorio nazionale.

«Il titolo scelto per l’edizione 2013 di Impact, ‘Closing the gap’, rispecchia l’intenzione di affrontare i nodi problematici irrisolti nella gestione del paziente con dolore, oncologico e non – ha evidenziato Gian Franco Gensini, Presidente del Comitato Scientifico Impact proactive e Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Firenze –  Occorre colmare il gap esistente fra le Regioni che hanno recepito quanto previsto dalla Legge 38 e quelle che invece non lo hanno ancora fatto. È necessario ridurre il divario fra gli esperti della nostra Assemblea di Impact, profondi conoscitori della recente normativa, impegnati per una sua corretta applicazione, e tutti quegli operatori sanitari ‘non responder’.

Molti clinici, pur gestendo patologie con dolore, non eseguono una sua diagnosi appropriata o non si aggiornano sull’argomento con la stessa sollecitudine che dimostrano per altre tematiche. All’interno di diversi reparti ospedalieri si procede alla diagnosi e alla misurazione del dolore, ma solo come vincolo burocratico cui attenersi. Bisogna quindi colmare un ampio gap di conoscenza, sensibilità e coinvolgimento umano-professionale da parte della maggioranza degli operatori sanitari».

Passaggio fondamentale prima di poter discutere che cosa resti ancora da fare, è l’analisi degli ultimi risultati positivi messi a segno. «Un apposito Decreto del Ministro della Salute ha recentemente istituito la disciplina delle cure palliative con le relative materie equipollenti», ha spiegato Guido Fanelli, Presidente della Commissione ministeriale Terapia del Dolore e Cure Palliative, ‘padre’ della Legge 38 e per questo recentemente insignito dalla Presidenza della Repubblica della Medaglia d’argento al merito della Sanità pubblica. «Ciò significa che si potrà finalmente avere un primariato di cure palliative in ambito ospedaliero. Il 13 giugno scorso, inoltre – ha detto – si è svolto il primo tavolo tecnico sulle tariffe per la terapia del dolore e le cure palliative, con la partecipazione di esperti del Ministero della Salute, del Ministero dell’Economia e di rappresentanti delle Regioni appositamente nominati. Altro importante fronte su cui stiamo lavorando è quello delle Schede di Dimissione Ospedaliera (SDO), affinché venga indicato al loro interno se il paziente è stato sottoposto o meno a terapia del dolore e se il trattamento è stato efficace». «Quasi tutte le Regioni – ha proseguito Fanelli – hanno istituito le Commissioni per le reti di terapia del dolore e cure palliative; alcune hanno già recepito l’intesa Stato-Regioni del 25 luglio 2012 sui requisiti minimi per l’accreditamento di Hub e Spoke. Molto significativo che la Lombardia, con delibera regionale dello scorso 31 maggio, abbia stabilito che lo sviluppo della rete di cure palliative all’interno degli ospedali sia uno dei criteri con cui valutare l’operato dei Direttori Generali. Infine, un importante riconoscimento a livello internazionale che ci rende molto orgogliosi: l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine ha preso spunto proprio dalla nostra Legge 38/2010 per la revisione di una Model Law che garantisca l’accesso dei pazienti ai farmaci oppioidi e, al tempo stesso, prevenga i fenomeni di illegalità legati a queste sostanze».

Uno degli argomenti di cui si è discusso nel corso della prima giornata di Impact 2013 è stato proprio il rischio d’abuso legato ai farmaci oppioidi. A questo proposito, dagli Stati Uniti giungono notizie allarmanti, ma in Italia questo rischio è pressoché inesistente.

Anche a livello globale il vero problema è che l’80% della popolazione mondiale, inclusi oltre 5 milioni di pazienti oncologici terminali, non ha accesso a un adeguato trattamento del dolore. Inoltre, in circa 150 Paesi la morfina non è disponibile e il 93% dei consumi di questo farmaco si registra nei Paesi benestanti, ma è nei Paesi in via di sviluppo che avviene il 70% delle morti da cancro.

Il quadro aggiornato del problema lo ha delineato Gilberto Gerra, dell’Ufficio Onu contro la Droga e il Crimine (Unodc), tra i relatori del workshop: «Le Convenzioni Internazionali sui Narcotici e le Sostanze Psicotrope definiscono ‘indispensabili’ i farmaci sotto controllo, quando siano usati in modo appropriato per scopi medici e scientifici. Non si tratta, dunque, di sostanze proibite, ma di medicine sotto controllo medico, essenziali per alleviare la sofferenza. Un gran numero di barriere legali e culturali ha reso questi farmaci indisponibili in molti Paesi e, in contrasto, la mancanza di regole e di stretto monitoraggio ha favorito l’abuso in altre aree del mondo».

Gerra ha illustrato a Impact quanto promosso recentemente dall’Onu su questo fronte: «United Nations Office on Drugs and Crime ha lanciato un nuovo programma atto a promuovere la disponibilità e l’accesso alle sostanze controllate per scopi medici, in particolare i farmaci per la terapia del dolore. L’approccio italiano, realizzato a seguito della Legge 38, è considerato un esempio di strategia ben bilanciata, realmente orientata alla tutela della salute e a evitare ogni forma di abuso. Come riportato dalla letteratura scientifica, a facilitare e indurre aree di abuso e ‘misuso’ per un farmaco controllato è proprio la ridotta o inesistente disponibilità per coloro che ne hanno oggettiva necessità e la mancata assunzione di responsabilità da parte dei medici e del sistema sanitario nel gestire con serietà tale farmaco. La revisione della Model Law per la parte che concerne l’accesso ai farmaci sotto controllo per uso medico è già stata presentata in marzo alla Commission on Narcotic Drugs. Il programma Unodc – ha concluso – prevede anche un progetto pilota di formazione sui farmaci per il dolore in Ghana, in cooperazione con Union for International Cancer Control e la creazione di un comitato a Vienna».

(Fonte: www.quotidianosanita.it)

2. Nature: «Stamina, plagio e dati falsi»

3 luglio 2013

Un plagio e un falso. Questo è secondo «Nature» il «metodo Stamina» che promette di curare gravissime malattie neurologiche. «Nature» va all’attacco della controversa terapia propugnata da Davide Vannoni. Una terapia fin dall’inizio contestata dalla comunità scientifica, perseguita penalmente dal magistrato Raffaele Guariniello, disperatamente reclamata dalle famiglie di bambini malati. E poi concessa in via compassionevole dall’Ospedale di Brescia e infine, a furor di popolo, ammessa alla sperimentazione dal ministro Balduzzi del governo Monti. Decisione pochi giorni fa confermata dal ministro Lorenzin del governo Letta. Tre milioni di euro che i ricercatori ritengono gettati dalla finestra.

È la seconda volta in tre mesi che «Nature» va all’attacco del metodo Stamina. La prima risale alla fine di marzo. Allora si trattò di un articolo di Alison Abbott che dava la rappresentazione di una Italia con poca cultura scientifica e molta demagogia. Era quasi giornalismo di costume. Campeggiava la foto di una ragazza bionda a seno nudo con la scritta «Sì alla vita». Adesso è arrivato l’affondo. La documentazione scientifica presentata da Davide Vannoni per ottenere negli Stati Uniti il brevetto (negato) della cura sarebbe stata costruita con una fotografia rubata da un articolo pubblicato nel 2003 da una ricercatrice russa. Mostra neuroni che sarebbero derivati dalla trasformazione di staminali del midollo osseo. Altro falso. Non è così. Finora nella letteratura scientifica internazionale questa trasformazione non è mai stata provata, mentre è vero che dal midollo osseo sono state ottenute cellule di ossa, cartilagine e pelle. Parola di Elena Cattaneo, ricercatrice di fama internazionale, pioniera degli studi sulle staminali.

Chi ha qualche anno e buona memoria prova un’impressione di déjà-vu. Nel 1997 scoppiava il caso Di Bella: una cura per il cancro che sembrava fare miracoli proposta da un oscuro professore dell’Università di Modena. Non aveva alcun fondamento scientifico. Ma anche allora finì in demagogia. E in talk show condotti da Bruno Vespa e Maurizio Costanzo, con Di Bella nella parte dell’eroe solitario, vittima di una «oncologia ufficiale» interessata e oscurantista. Finché, anche allora, il ministro della Sanità (all’epoca era Rosy Bindi) cedette sotto la pressione delle piazze e partì una sperimentazione, che ovviamente diede risultati negativi. Ma intanto si erano sprecati soldi pubblici e, soprattutto, furono curati con acqua fresca malati che forse sarebbero guariti grazie a farmaci già ben validati.
Di Bella era in buona fede, cosa che forse non si può dire di chi lo circondava. Ho conosciuto Vannoni ben prima del caso Stamina, e so che tutto nasce da una sua esperienza personale. Non è medico, è psicologo con interessi sociologici. Anche qui, buona fede, almeno come punto di partenza. Ma i cittadini si domandano perché nel nostro Paese questioni che dovrebbero essere risolte su base razionale debbano diventare psicodrammi collettivi. Il problema è forse nel meccanismo stesso della comunicazione. Troppo spesso in Italia invece di far parlare dati scientifici condivisi dalla comunità scientifica si imbocca la strada sdrucciolevole dei sentimenti, delle opinioni e infine della demagogia. Quale argomento razionale è sostenibile di fronte a una bella ragazza a seno nudo con la scritta «Sì alla vita? ».

Il fatto è che non bisognerebbe arrivare lì. In un Paese con una cultura scientifica un po’ migliore di quella che abbiamo in Italia, non ci si arriverebbe. I medici saprebbero parlare all’intelligenza dei malati e dei loro pazienti prima e meglio dei profittatori. I giornalisti non farebbero spettacolo di drammi umani. Cervello e pancia non si mescolerebbero. Certo è difficile rivolgersi a genitori di bambini condannati a una fine terribile dalla malattia di Niemann-Pick. La disperazione non ragiona. Ma chi specula su quella disperazione dovrebbe trovarsi isolato. Invece c’è chi è pronto a mettere in scena l’eterno canovaccio: buoni e deboli contro cattivi e potenti, il genio incompreso contro l’ottusità del potere medico. Tre milioni di euro sprecati nella sperimentazione sono il prezzo di qualche sciagurato risparmio nell’istruzione pubblica.

Piero Bianucci
(Fonte: «La Stampa»)

3. Iss: sale consumo farmaci, soprattutto per terapia dolore

5 luglio 2013

In Italia, negli ultimi 10 anni il consumo giornaliero di farmaci, in particolare quelli per trattare il dolore, è aumentato passando da 600 dosi a 1.000 per mille abitanti. Il dato è emerso dal convegno «L’uso dei farmaci dal 2000 a oggi: tra sostenibilità e innovazione possibile», organizzato dall’Istituto superiore di sanità (Iss).

In particolare, ad aver subito un incremento sono i farmaci per la terapia del dolore, il cui consumo è aumentato di 20 volte, anche se la percentuale non è ancora molto alta, seguiti da quelli per l’osteoporosi, con un aumento di 15 volte, e dagli antidepressivi il cui uso è aumentato di quattro volte. Stabili, invece, gli antinfiammatori (Fans) e gli antibiotici, anche se il loro consumo rimane ancora molto alto nel nostro paese. Nel 63% dei casi il consumo di farmaci è attribuibile alla fascia di età superiore ai 65 anni. Complessivamente, la spesa per i farmaci nel nostro Paese ha subito un incremento del 33% dal 2005 al 2012, tanto è  che quello italiano risulta essere il sesto mercato a livello mondiale. Stando ai dati Iss, tale spesa risulta coperta dal Sistema sanitario nazionale per il 75%, e tra quella pubblica e privata, ha un’incidenza sul Pil dell’1,6%.

(Fonte: www.doctor33.it)

4. Enciclica «Lumen Fidei»: l’“apertura” che aiuta la scienza

6 luglio 2013

Andare oltre il tempo e lo spazio. Non è l’ennesima frontiera di una teoria scientifica. È, invece, il richiamo che arriva dall’enciclica «Lumen fidei» quando papa Francesco esorta a non lasciarsi «rubare la speranza» e a non permettere «che sia vanificata con soluzioni e proposte immediate che ci bloccano nel cammino, che frammentano il tempo, trasformandolo in spazio». Un passaggio che, insieme a molti altri, interrogherà gli uomini di scienza. «Lo spazio-tempo della relatività non è più pensabile come entità assoluta e in esso i fenomeni appaiono effettivamente congelati – spiega l’astronomo Piero Benvenuti –. Solo il kairós, il tempo della fede, ci permette di uscire verticalmente dal tunnel spazio-temporale e guardare con speranza a un reale futuro per la persona».

Docente di astrofisica all’Università di Padova, già responsabile scientifico europeo del progetto «Hubble», Benvenuti legge il rapporto fra fede, scienza e tecnologia che emerge dall’enciclica partendo dall’ultimo Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione. «Nei Lineamenta – afferma – scienza e tecnologia erano presentate come una condizione di cui tenere conto nel rinnovato annuncio del Vangelo in Occidente. Qui, invece, diventano elemento insostituibile per evitare che la fede venga relegata in un ambito privato, quasi sentimentale, separato dalla globalità della vita reale».

Secondo l’astronomo, il rapporto fra fede e scienza è trattato nel testo «in modo particolarmente sistematico». «All’inizio, citando Nietzsche, viene sfatato uno storico preconcetto che si riscontra ancora oggi in un certo ateismo, ovvero che il credere si opporrebbe al cercare. Invece senza una “luce grande”, veramente capace di illuminare il futuro, la scienza e la tecnologia rischiano di trasformarsi in idoli che rispondono a necessità immediate e individuali, ma non sanno distinguere il bene dal male. Così il futuro diviene incerto e confuso».

Il tema è ripreso nella parte centrale dove si sottolinea come il ruolo della fede non contrasti col cammino autonomo della scienza. «La scienza, grazie al suo metodo sperimentale, ci assicura che l’interpretazione del reale, attraverso prove di falsificazione e verifiche, procede verso la verità. Una verità che rimane parziale se non si completa, senza però alienarsi, con la verità dell’amore universale. In questo modo la scienza viene stimolata dalla fede a recuperare il senso critico e a non accontentarsi delle formule, ma a vedere con meraviglia, attraverso una razionalità allargata, che la natura è sempre più grande».

Nel paragrafo «La fede e la ricerca di Dio» Benvenuti individua il «passo più innovativo». «È quello in cui si evidenzia come l’aspirazione alla verità che anima gli uomini di scienza sia già ricerca di Dio, anche se a volte inconsapevole. Si tratta di un invito esplicito a tutti gli uomini amanti della verità, credenti o meno, a darsi con fiducia la mano per camminare insieme». E nel passaggio dedicato alla teologia il docente scorge «una raccomandazione ai teologi di non trascurare la scienza. La teologia, intesa come scienza della fede, è l’interlocutore naturale della ricerca scientifica e dovrebbe essere il veicolo attraverso il quale il progredire della conoscenza acquista significato alla luce della fede».

Giacomo Gambassi
(Fonte: «Avvenire»)

5. Il suicidio assistito del giudice D’Amico: «Ma papà stava bene». Il commento di Scienza&Vita

7 luglio 2013

Ore 18,25. 11 aprile 2013. «Pronto, parlo con Francesca D’Amico? Sono la dottoressa Erika Preisig, le comunico che suo padre è venuto varie volte da me per richiedere il suicidio assistito. Oggi è morto, non poteva più vivere, stava troppo male, voleva andare». Un pugno di parole che la tramortiscono. «Forse ha sbagliato persona. Papà due giorni prima aveva parlato al telefono con il mio fidanzato e nulla lasciava presagire un suicidio». La Preisig, con tono deciso, le risponde: «Capisco sia difficile da accettare, ma questa è la realtà, le invierò il certificato di morte, e per volontà di Pietro il suo corpo verrà cremato il 22 aprile. Buonasera».

Francesca è l’unica figlia del sostituto procuratore generale di Catanzaro Pietro D’Amico, 62 anni, indagato e assolto nell’inchiesta Why Not per fuga di notizie. Pietro ha scelto la “morte dolce” per mano della dottoressa Erika Preisig di Basilea. Capelli lunghi, tratti raffinati, laureanda in Medicina: «Papà non era affetto da alcuna malattia inguaribile, non era un malato terminale. È stato aiutato a suicidarsi e l’istigazione o l’aiuto al suicidio è un reato anche in Svizzera». E precisa: «La depressione di papà, come hanno scritto alcuni giornali strumentalmente, non era conseguenza della vicenda giudiziaria: era sereno, sapeva che avrebbe dimostrato la sua estraneità alle accuse, come è avvenuto. Inoltre ho pieno rispetto per chi compie questo gesto estremo, per chi si batte contro l’accanimento terapeutico e per il diritto ad una morte serena, casi ben distinti da questo». Ripensa a quelle parole: «Non poteva più vivere, stava troppo male? Mio padre era ipocondriaco, le malattie semmai le somatizzava, ma aveva il terrore di farsi visitare, perfino di andare dal dentista. Era depresso, a fasi alterne, questo sì, ma non incurabile». Il suo avvocato Gennaro Falco, quindi, si reca a Basilea per bloccare la cremazione e far eseguire l’autopsia.

«Il legale con il collega italo-svizzero Alberto Nanni va a casa poi nello studio della dottoressa Preisig e resta sconvolto dalle sue dichiarazioni e dai luoghi». Un monolocale in cui la Preisig, aiutata dal fratello Ruedi, che filma la scena, istruisce il paziente ad attivare la flebo contenente il farmaco letale.

Profonda Italia chiama il procuratore di Basilea e il medico legale per attestare il decesso. «Una stanza non attrezzata alla rianimazione anche per un’ultima esitazione del paziente». La Preisig all’«Espresso» ha raccontato: «Quando Pietro ha aperto il rubinetto della flebo teneva un crocifisso che mi ha pregato di inviare alla figlia una volta morto. Era affetto da una patologia degenerativa invisibile agli strumenti medici».

Parole che Francesca definisce «agghiaccianti e foto disumane affidate ad un giornale per descrivere quei riservatissimi momenti di papà. Non ho ricevuto alcun crocifisso. Malattia invisibile, certo, papà non aveva prodotto nessun esame diagnostico oltre ai due certificati redatti da medici italiani (per amicizia o in cambio di denaro? Questo dovrà accertarlo la magistratura, ndr) nei quali viene anche descritto incapace di muoversi, di provvedere a se stesso e con la grafia tremante, mentre quel giorno si è recato a Roma, da dove ha preso il treno per Basilea, alla guida della sua auto dopo aver scritto a me e a mia madre una lettera piena d’amore».

Referti che la Dignitas, l’associazione che si occupa di suicidio assistito – 8.500 euro solo per la richiesta anche se non accettata – dove la Preisig lavorava prima di fondare la Lifecircle, ha respinto più volte. «I requisiti provati diagnosticamente sono: malattia inguaribile e stadio terminale, per questo si è rivolto alla Preisig». Come conferma lei stessa nella e-mail, in un italiano incerto, ad un parente del magistrato che l’ha incontrata: «Mi sento molto, molto male che Pietro ha fatto a me… Sono delusa del fatto che mi ha mentito Pietro per tre anni. Era intelligente ed io ancora non riesco a credere che era solo depresso… e lui ha simulato il rapporto del dottore… così buono o anche pagato il dottor… che ha redatto il rapporto. Gli ho chiesto per tre anni per continuare a vivere, non ho potuto dire di no ancora una volta. Io non volevo prenderlo, non sapevo che era così popolare, Pietro ha la sua pace ma mi sento tradita da lui perché mi ha mentito quando ha falsificato tutti questi rapporti… vorrei ancora una volta domandare scusa che non ho verificato se i rapporti sono veri…». Francesca spiega che «non è stato rispettato neanche il regolamento svizzero che impone la produzione di due certificati redatti da medici terzi, perché uno è della Preisig che ha prescritto il farmaco letale».

Ora la famiglia attende un ultimo esito: la prima valutazione dell’autopsia eseguita dall’Institut Für Rechtsmedizinder Universitat di Basilea diretto dal Professor Dr V. Dittmann, alla presenza del medico legale di parte, la dottoressa Bonetti di Modena, «ha escluso che papà fosse affetto dalla malattia descritta sui certificati e da altre patologie incurabili. Papà non avrebbe mai avuto il coraggio di togliersi la vita se non avesse incontrato chi lo ha assecondasse in un momento di difficoltà. Oltre alla mancanza di un approfondimento del quadro clinico con esami strumentali e di laboratorio non vi è stata attenzione nel riconoscere il suo disagio emotivo, considerando che i disturbi di tipo psicologico o psichiatrico di per sé possono indurre alla simulazione di sintomi. Papà andava aiutato a vivere non a morire e la dottoressa Preisig era la persona meno adatta, visto ciò che ha dichiarato a L’Espresso, rispetto al suo vissuto. È incomprensibile anche la tolleranza delle autorità elvetiche per la prassi consolidata – ogni lunedì e giovedì – al termine della quale loro stessi certificano le modalità del decesso».

Francesca D’Amico conclude il racconto più doloroso della sua vita mentre stringe al petto la lettera del padre e ripete che la sua battaglia è appena cominciata.
Sandra Amurri
(Fonte: «Il Fatto quotidiano»)
***

Commento di «Scienza&Vita»:

«La vicenda del magistrato Pietro D’Amico getta l’ennesima ombra inquietante sulle pratiche eutanasiche condotte da medici che alla cura sostituiscono la morte», dichiara l’11 luglio Paola Ricci Sindoni, Presidente nazionale dell’Associazione Scienza & Vita.

«La depressione, il male di vivere del nostro tempo, non è mai una patologia da sottovalutare. La si combatte anche attraverso una maggiore consapevolezza sociale, che si traduce in attenzione medica, in pratiche qualificate di consulenza, anche con un equilibrato approccio farmacologico, ma mai attraverso l’eliminazione del paziente, ossia con l’eutanasia.
La tragica scelta di uomo che intende porre fine alla sua vita con questo terribile protocollo medico, diventa il simbolo doloroso della solitudine del malato e il segnale della resa della società, incapace di ascoltare, accogliere, includere.
È necessario costruire una rete di prevenzione e di assistenza, potenziando gli strumenti a disposizione per aiutare chi soffre di questa patologia a recuperare il bene della salute psichica e quel gusto di vivere che è risorsa personale e sociale. L’eutanasia non è mai la soluzione e questo caso dimostra con chiarezza che, alla fine, è soltanto una sconfitta per tutti».

(Fonte: «Scienza&Vita»)

6. Lorenzin: Stamina non è metodo di cura

9 luglio 2013

«I pazienti non devono pensare a Stamina come un metodo di cura perché non lo è». Così ieri il ministro della Salute Beatrice Lorenzin ai microfoni della trasmissione «Prima di Tutto» su Radio1. «Sbaglia chi, in deroga alle norme vigenti e alla sospensione del Tar per quanto riguarda gli ospedali di Brescia – aggiunge – continua ad autorizzare pazienti a sottoporsi a delle cure che non sono tali. È un grande errore che crea confusione e illusioni nella fascia di popolazione affetta da malattie rare o incurabili».

Il protocollo sarà presentato a inizio agosto da Davide Vannoni, il presidente di Stamina Foundation, al ministero della Salute perché venga sperimentato, ma intanto il ministro Lorenzin precisa: «Ricordo che il trattamento deve ancora essere sperimentato e ancora non è chiaro per quali malattie potrebbe essere efficace, quindi non è una cura». Sulle possibili speculazioni economiche alle spalle di Stamina, Lorenzin sottolinea che «di fronte a vicende come questa che riguardano la sperimentazione di cure per malattie rare con metodologie non ortodosse è evidente che ci possano essere interessi economici in agguato».

(Fonte: www.doctor33.it)

7. I figli adesso sono tutti uguali

10 luglio 2013


Un figlio è un figlio. Non importa più se è nato all’interno del matrimonio, fuori dal matrimonio, oppure è stato adottato. Non ci sarà più nessuna differenza, da ora in poi. Dai nostri codici legislativi, infatti, scompare del tutto ogni distinguo e rimane soltanto un’unica parola: figlio. Con i diritti uguali per tutti, per qualsiasi aspetto dell’esistenza. Una rivoluzione, visto che oggi in Italia un bambino su quattro è nato fuori dal matrimonio. Questa legge, già approvata dai due rami del Parlamento alla fine dello scorso anno, avrà adesso il via libera del governo, al quale spettava il compito di dare attuazione a questa legge delega per la parificazione giuridica dei figli.

Il decreto legislativo, proposto dal presidente del Consiglio insieme con i ministri dell’Interno, della Giustizia, del Lavoro e delle Politiche sociali, d’accordo con il ministero dell’Economia, è stato già esaminato nella riunione del preconsiglio dei ministri che si è svolta il 9 luglio e dovrebbe essere approvato definitivamente nella prossima riunione dell’Esecutivo.

Uno dei punti salienti di questa parificazione è senza dubbio quello che riguarda l’asse ereditario. Da ora in avanti i figli nati fuori dal matrimonio, così come quelli adottati, avranno gli stessi identici diritti dei figli che un tempo venivano definiti legittimi. Ecco quindi che gli effetti successori dei figli di qualsiasi genere varranno nei confronti di tutti i parenti e non soltanto dei genitori. Nella nuova normativa è prevista anche la sostituzione della nozione di «potestà genitoriale» con quella di «responsabilità genitoriale», oltre alla modifica delle disposizioni di diritto internazionale privato, in attuazione del principio di parità tra figli legittimi e naturali.

La maggior parte degli articoli contenuti nel testo di questo decreto legislativo recepiscono la giurisprudenza di questi anni della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione e vanno a modificare diversi articoli del nostro codice civile. Fra questi c’è l’articolo 18 del testo (che modifica l’attuale articolo 244 del codice civile) e riguarda i termini per proporre l’azione di disconoscimento della paternità, per cui l’azione del padre e della madre non può essere intrapresa quando sono trascorsi cinque anni dalla nascita. Dopo questo termine, infatti, la norma fa prevalere sul principio di verità della filiazione l’interesse del figlio alla conservazione dello stato. Poi c’è articolo 53 che non modifica articoli esistenti, ma introduce e disciplina le modalità dell’ascolto dei minori che abbiano compiuto i dodici anni o anche di età inferiore, se capaci di discernimento, all’interno dei procedimenti che li riguardano. In questo caso ci sono state numerose sentenze della Cassazione che hanno sottolineato come «il mancato ascolto dei minori costituisca violazione del principio del contraddittorio e dei principi del giusto processo, salvo che ciò possa arrecare danno ai minori stessi ».

Alessandra Arachi
(Fonte: «Corriere della Sera»)

8. Ogm in Italia, disco rosso del governo: vietata la coltivazione del mais Mon810

12 luglio 2013

Stop agli ogm dal governo. I ministri delle Politiche agricole (Nunzia De Girolamo), dell’Ambiente (Andrea Orlando) e della Salute (Beatrice Lorenzin) il 12 luglio hanno firmato un decreto che vieta la coltivazione del mais Mon810 in Italia. Una decisione che assume un significato più ampio dopo le forti polemiche suscitate dalle coltivazioni illegali di mais transgenico avvenute nei giorni scorsi in Friuli Venezia Giulia. «È un provvedimento che tutela la nostra specificità e salvaguarda l’Italia dall’omologazione», ha dichiarato Nunzia De Girolamo. «La nostra agricoltura si basa sulla biodiversità, sulla qualità e su questo dobbiamo continuare a puntare, senza avventure che anche dal punto di vista economico non ci vedrebbero competitivi. Il decreto di oggi è solo il primo elemento, quello più urgente, di una serie di ulteriori iniziative con le quali definiremo un nuovo assetto nella materia della coltivazione di ogm nel nostro Paese».

La decisione del governo è stata sostenuta dalla Coldiretti («Sono d’accordo 8 italiani su 10») e dalla Confederazione italiana agricoltori («In Italia e in Europa è possibile produrre colture libere da biotech, con beneficio per l’ambiente, la salute e con la possibilità di migliorare il reddito degli agricoltori e degli allevatori», ha dichiarato il presidente Giuseppe Politi).

Contraria la Confagricoltura, che parla di «divieti e bavaglio alla scienza». Mentre Susanna Cenni, parlamentare toscana del Partito democratico e portavoce nazionale degli Ecodem, ribadisce la necessità di proteggere le colture tipiche italiane: «Il nostro Paese è chiaramente orientato a un’agricoltura libera da ogm, ma ci troviamo da troppo tempo di fronte a un groviglio normativo che mette costantemente a rischio il nostro patrimonio agroalimentare: il Governo agisca velocemente per tutelare l’agricoltura dal rischio di contaminazione con i prodotti transgenici».

Il decreto è infatti, come si legge nello stesso testo varato dal governo, solo un primo passo.«Tra i passi successivi ci auguriamo ci sia anche l’adozione della clausola di salvaguardia, il provvedimento previsto dalla normativa europea e già in vigore in vari paesi dell’Unione», aggiunge una nota della Fondazione diritti genetici. «È un provvedimento più volte invocato da varie mozioni parlamentari e dagli 8 mila cittadini che hanno firmato la petizione promossa dalla Fondazione diritti genetici su www.change.org/ogm: sancirebbe lo stop definitivo alle coltivazioni di ogm nel nostro Paese».

Antonio Cianciullo
(Fonte: «la Repubblica»)

9. Al via il glossario ragionato di bioetica on line: le voci sono a cura di Carlo Bellieni, membro della Pontificia Accademia per la Vita

15 luglio 2013


Per comprendere il non sempre immediato linguaggio della bioetica, è stato pensato un glossario ragionato on line (http://glossario.webnode.it/). Curatore delle voci è il professor Carlo Bellieni, neonatologo, bioeticista e membro della Pontificia Accademia per la Vita.
Le voci del glossario ragionato di bioetica, saranno pubblicate settimanalmente su Zenit a partire dal 16 luglio. Per conoscere in anteprima la natura del progetto, Zenit ha intervistato il prof. Bellieni.

Perché proponiamo un glossario ragionato di bioetica?
Bellieni: Perché è la ragione che ci aiuta a capire “il perché” delle cose e delle scelte. Non bastano gli slogan o le definizioni. Come insegna Papa Francesco, dobbiamo imparare ad essere buoni medici dell’etica, e il buon medico non pensa di far sparire i sintomi e basta, ma pensa come far sparire la malattia. Il ragionare sui termini ci induce per forza ad un’azione di attacco alla radice dei problemi.

Non basta dire che il problema è non confondere ciò che è morale con ciò che conviene?
Bellieni: Sì, se non fosse che lo confondiamo anche con una pedissequa e non riflessiva applicazione di norme e leggi. Le norme (la legge) sono importanti, ma la legge principale è una sola: l’amore per l’altro, unito ad un sano realismo e ad un altrettanto sano uso della ragione (che è considerare la realtà secondo la totalità dei suoi fattori). Guardare le cose con passione, ragione e realismo induce poi ad appassionarsi anche alla legge! “Senza amore, la verità diventa fredda, impersonale, oppressiva per la vita concreta della persona” (Enciclica «Lumen Fidei», 27)

Cosa propone in pratica?
Bellieni: Testi brevi e piacevoli a leggersi per aiutare a ragionare, ad immedesimarsi e capire. Bisogna ridare all’etica il vero senso dell’etica, cioè non un “questo si può fare” o “questo non si può fare”, ma capire cosa è morale fare. Non parleremo di norme (altri sanno farlo meglio e a debito momento), ma cercheremo di introdurre al ragionamento chi legge, introducendolo piacevolmente in un campo in apparenza ostico, ma in realtà interessante.

Come si svolge il glossario ragionato?
Bellieni: All’inizio si incontra una definizione sintetica del termine in esame. Sotto la definizione, una breve pagina di aiuto alla comprensione del termine, di cui si considereranno le tre prospettive che abbiamo poco sopra descritto: il realismo (la visione più oggettiva, sapendo che dobbiamo avere l’umiltà di adeguare i nostri pregiudizi all’oggetto), la ragione (come la cosa in questione ha ripercussioni morali o sociali o ripercussioni sui nostri desideri e ideali profondi) e il sentimento(quanto ci interessa davvero la cosa?). In pratica, vogliamo far incontrare l’oggettività della cosa che studiamo con la soggettività della nostra razionalità, ma con la condizione che quello che studiamo ci interessi davvero. Vi sono sia nel testo che a piè di pagina, dei link ad articoli o documenti esterni. Basta cliccarci sopra e si aprono pagine o animazioni interessantissime per approfondire l’argomento.

Dove trovarlo online?
Bellieni: Il link della pagina è: http://glossario.webnode.it/. Settimana dopo settimana presenteremo una alla volta le pagine del glossario per permettere a chi legge di creare un ABC bioetico personale e utile.

(Fonte: «Zenit»)

10. Chiesa e ambiente: partito il progetto “Chiesaecologica”

16 luglio 2013

È partito Chiesaecologica, il primo progetto di ricerca al mondo per capire quanto sono diffusi i concetti della sostenibilità ambientale nelle parrocchie italiane. Tutto parte dal Cesab, il Centro di ricerche interuniversitario in scienze ambientali e biotecnologie, che ha promosso questa attività di studio con l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, l’Università Lumsa, la Pastorale universitaria del Vicariato di Roma, e la partnership di Zenit, la Fondazione Steadfast, le società Tegma e Metaenergia. Proprio Metaenergia devolverà ad ogni nuovo cliente una parte a sostegno del programma di alimentazione scolastica promosso dal World food programme Italia nel mondo.

Grazie al progetto i bambini riceveranno pasti nutrienti per un’intera settimana a scuola, garantendo quindi anche l’educazione. L’iniziativa porta il nome “Bolletta buona, energia per la vita”. Partita questo mese, durerà fino a luglio 2014 e rientra nel progetto Chiesaecologica.

Per saperne di più, Zenit  ha intervistato il professor Ercole Amato, presidente del Cesab

Professor Amato, perché nasce il progetto Chiesaecologica?
Amato: Stimolati dalla dottrina sociale della Chiesa, dalle parole dei papi Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e ora dal pensiero altrettanto illuminato di Papa Francesco abbiamo deciso di studiare, analiticamente, il livello di diffusione tra le comunità parrocchiali dei concetti relativi alla Salvaguardia del Creato e all’Ecologia Umana, secondo gli insegnamenti della Dottrina Sociale della Chiesa, stimolando i parroci ad applicare tali concetti nel concreto attivando processi virtuosi nella gestione dei beni ecclesiastici. Iniziamo da Roma incontrando i parroci del territorio. Andranno da loro alcuni ricercatori che li intervisteranno e cercheranno di studiare l’approccio ai temi dell’ecologia, umana e naturale, e, in generale, della sostenibilità ambientale, da parte dei parroci e del mondo cattolico che ruota attorno alle parrocchie italiane. E’ un progetto che tocca diversi ambiti, dalla comunicazione allo sviluppo ambientale.

Qual è il ruolo del Vicariato di Roma in questo progetto?
Amato: Monsignor Lorenzo Leuzzi, responsabile della Pastorale Universitaria, ha creduto sin da subito a questo progetto. Lo ringraziamo perché testimonia ancora una volta la vivacità, anche sul fronte della ricerca scientifica e accademica, di una istituzione come il vicariato.

Perché partite da Roma in questa ricerca?
Amato: Non potevamo non partire dalla culla della cristianità. Nel progetto sono coinvolti due atenei: uno d’ispirazione cattolica, la Lumsa, l’altro della Santa Sede, il Regina Apostolorum. È proprio la proiezione internazionale dell’Ateneo pontificio che ci porterà ad avere sviluppi futuri interessanti anche all’estero. La Chiesa non ha confini e abbiamo tutto l’interesse a fare in modo che ci siano dati sempre più attendibili sul fronte dello sviluppo sostenibile nei luoghi religiosi.

A quando i primi dati?
Amato: Già a fine anno avremo i primi dati statistici. Li presenteremo in un convegno che realizzeremo all’Ateneo pontificio Regina Apostolorum. Forniremo un utile strumento di studio a quanti, soprattutto del clero, si trovano ogni giorno a consigliare e invitare i propri fedeli a uno stile di vita più cristiano e, dunque, più sostenibile.

Sarà per i parroci un utile vademecum. Anzi, invito chi è interessato a saperne di più a scriverci all’indirizzo email chiesaecologica@cesabricerche.it. Il progetto di ricerca è ben definito ma anche aperto a stimoli continui che possano venire dal mondo della Chiesa.

(Fonte: «Zenit»)

11. Pit salute 2013, in aumento segnalazioni di errori medici

17 luglio 2013

Quasi due cittadini su dieci (il 17,7%) nel 2012 hanno chiamato il Tribunale del malato per casi di presunto errore medico, in crescita di un punto e mezzo rispetto al 2011 (16,3% delle segnalazioni). Il dato emerge dal XVI Rapporto Pit salute del Tribunale per i diritti del malato-Cittadinanzattiva, presentato a Roma il 16 luglio al ministero della Salute, secondo il quale c’è comunque una diminuzione di presunti errori diagnostico-terapeutici, passati dal 62,7% delle segnalazioni del 2011 al 57% del 2012.

Si sbaglia diagnosi, almeno nelle lamentele dei cittadini, soprattutto nell’area oncologica, che rappresenta il 27,3% delle chiamate per presunti errori medici, dato in lieve aumento rispetto al 26,5% del 2011. La seconda area più segnalata per errori o malpractice resta l’ortopedia, che si attesta a un 14,3% (ma rimane in testa per gli errori terapeutici, con il 32,1% delle segnalazioni) e a seguire l’area della ginecologia e ostetricia con il 9,1% delle segnalazioni. E lo scorso anno sono aumentate di molto le segnalazioni riguardanti le condizioni delle strutture sanitarie, passando dal 15% del 2011 al 23% del 2012. È un dato preoccupante, considerato che l’anno scorso avevamo addirittura registrato una lieve flessione, mentre sono “stabili” (intorno al 12%) le segnalazioni sulle disattenzioni del personale sanitario, ovvero tutti quei comportamenti che, pur non avendo causato un danno, rappresentano procedure incongrue e potenzialmente rischiose.

Il Rapporto Pit si è poi soffermato sul problema delle liste di attesa, che ormai sembrano quasi infinite, visto che per fare una mammografia si è costretti ad aspettare fino a 13 mesi. E non va meglio per una visita urologica o pneumologica (un anno), o per un ecodoppler o una colonscopia, per i quali si attende fino a 9 mesi. Le difficoltà relative alle lunghe liste d’attesa sono la prima voce tra le difficoltà riscontrate dai cittadini nell’acceso ai servizi sanitari, il 74,3% del totale (37,2% riguarda le attese per gli esami diagnostici, mentre il 29,8% fa riferimento alle visite specialistiche).

E i tempi di attesa nella sanità pubblica sono in cima alla lista delle lamentele, anche perché da un anno all’altro, la situazione in molti casi, anziché migliorare peggiora: per una mammografia, infatti, nel 2011 si attendavano, mediamente, “appena” 11 mesi; per un ecodoppler 6 mesi; per una visita urologica 11 mesi. Un’altra parte rilevante delle segnalazioni (28,1%) si concentra attorno alle richieste di ricovero per intervento chirurgico, mentre quasi il 5% rappresenta gli accessi per terapie oncologiche, quali chemioterapia e radioterapia. Tra le altre segnalazioni: il maggiore ricorso all’intramoenia a causa proprio dei tempi eccessivi nel pubblico (15,4%) e l’insostenibilità dei costi dei ticket (10,3%).

(Fonte: www.doctor33.it)

12. Il giurista Mauro Ronco: la proposta di legge sull’omofobia va contro la libertà di pensiero

22 luglio 2013

La proposta di legge sull’omofobia estende in modo automatico la “Legge Mancino” del 1993 alle «discriminazioni motivate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere della vittima». Viene così a punire con la reclusione fino a un anno e mezzo chiunque commette discriminazione o istiga a commettere discriminazione per motivi di orientamento sessuale. È prevista altresì nei confronti di chi venga condannato per tale reato la pena accessoria di «prestare una attività non retribuita a favore della collettività per finalità sociali” per un periodo fra tre mesi e un anno. Tra tali attività, è prescritto che vi sia pure “lo svolgimento di lavoro… a favore delle associazioni a tutela delle persone omosessuali».

Il reato di omofobia consiste nel discriminare ovvero nell’istigare a discriminare le persone per motivi di orientamento sessuale. Il testo della proposta di legge chiarisce all’art. 1 che “orientamento sessuale” è «l’attrazione nei confronti di una persona dello stesso sesso, di sesso opposto, o di entrambi i sessi», e che invece “identità di genere” è «la percezione che una persona ha di sé come appartenente al genere femminile o maschile, anche se opposto al proprio sesso biologico». Con questa norma si archivia un diritto penale fondato, per senso di realtà e per garanzia, su dati oggettivi, per affidarsi a elementi soggettivi incerti come la “percezione di sé” quanto al genere, “anche se opposto al proprio sesso biologico” e “l’attrazione” verso il proprio o l’altro o entrambi i sessi.

Una norma così concepita costituisce una inammissibile violazione del principio della libera manifestazione del pensiero, tutelato dall’art. 21 della Costituzione. Tale diritto è inviolabile e insopprimibile, essenziale per la stessa esistenza di un sistema democratico, non modificabile neppure con il procedimento di revisione costituzionale. Si vuole conculcare la libertà di esprimere giudizi critici sulle pratiche omosessuali e, più radicalmente ancora, la libertà di manifestare il pensiero contro la dittatura del relativismo, che pretende l’equiparazione di ogni pratica sessuale, come se tutte avessero gli stessi diritti della famiglia.

La proposta ha buone probabilità di diventare legge, poiché le forze politiche hanno ritenuto di dare priorità ad essa rispetto alla trattazione dei gravissimi problemi oggi sul tappeto, dalla recessione dell’economia alla disoccupazione, dalla tutela della famiglia all’eccessività del carico fiscale sulle imprese e sulle abitazioni.

La portata della norma è difficilmente percepibile da chi non sia esperto di cose giuridiche. Per esemplificarne il senso va detto che, alla stregua di tale proposta, potrebbero essere sottoposti a processo, in quanto incitanti a commettere atti di discriminazione per motivi di identità sessuale, tutti coloro che sollecitassero i parlamentari della Repubblica a non introdurre nella legislazione il “matrimonio” gay e, ancor più, tutti coloro che proponessero di escludere la facoltà di adottare un bambino a coppie omosessuali.
Si possono fare altri due esempi. Esempio n. 1. Il parroco organizza il corso di preparazione al matrimonio. Spiega che la famiglia è quella fondata sull’unione permanente fra un uomo e una donna, che non è immaginabile altro tipo di unione, e aggiunge che non sta bene assecondare l'”attrazione” verso persone dello stesso sesso, o anche di altro sesso se si tratta di persona diversa dalla propria moglie, e infine che non funziona nemmeno la versione bisex. Di più, aggrava la situazione quando, a domanda di un nubendo se ciò di cui parla è materia di peccato, risponde che gli “atti impuri contro natura” costituiscono uno dei quattro peccati che “gridano vendetta al cospetto di Dio” (copyright: Catechismo della Chiesa cattolica).
Esempio n. 2. Il docente di psicologia insegna ai suoi allievi che “la percezione che una persona ha di sé” come appartenente a un genere “opposto al proprio sesso biologico” è qualcosa da affrontare con equilibrio e delicatezza, sapendo che provoca non poco disagio in chi la vive. Ma può essere positivamente risolta, superando situazioni difficili, come in più d’un caso è accaduto. Chi assicura che quel docente potrebbe continuare a tenere lezione, e non costretto a trasferirsi in un luogo più chiuso?
Esempio n. 3. Riguarda chi scrive e chi pubblica considerazioni come quelle che sto tentando di fare. Aggiungo che per il parroco del corso prematrimoniale, per il docente di psicologia e per chi scrive si aprirebbero, chiuse le porte del carcere, in forza della pena accessoria, quelle, per esempio, dell’Arcilesbica ove svolgere qualche mese di lavoro obbligatorio e gratuito, socialmente rieducativo.

Mauro Ronco
(Fonte: http://www.ilsussidiario.net/)

13. Relazione 2013 sullo stato di applicazione della legge 40

25 luglio 2013

Ancora una volta, come accade sin dalla prima rilevazione effettuata dal Registro nazionale della Procreazione medicalmente assistita (Pma) riferita ai dati del 2005, i dati raccolti e analizzati mostrano un aumento, nel nostro Paese, della domanda delle tecniche di riproduzione assistita. I cicli di trattamento effettuati nel 2011 superano i 96.000, circa 6000 in più rispetto all’anno precedente, e i quasi 12.000 bambini nati grazie alla loro applicazione rappresentano il 2,2% dei nati in Italia. Sono alcuni dei dati principali che emergono dalla Relazione 2013 sullo stato di attuazione della legge contenente norme in materia di procreazione medicalmente assistita, relativa alle attività del 2011, e presentata al Parlamento a luglio 2013.

Il Registro nazionale sin dal 2006 raccoglie informazioni sulla totalità delle procedure eseguite nel Paese e su tutte le gravidanze ottenute grazie all’applicazione di queste tecniche, che nel 2011 sono state eseguite in 354 centri di Pma. I centri che applicano solo la tecnica di inseminazione semplice, vengono definiti di “primo livello” e sono 153. Quelli che, invece, oltre l’inseminazione semplice applicano anche tecniche più complesse vengono definiti di “secondo e terzo livello” e sono 201.

Uno sguardo ai dati principali

Il quadro che emerge mostra un Paese con una discreta offerta di cicli di trattamento di Pma di cui una buona quota a carico del Servizio sanitario nazionale (Ssn), anche se si riscontra una elevata eterogeneità territoriale, sia in termini di accesso alle tecniche sia per quanto riguarda la loro rimborsabilità. In generale le tecniche eseguite mostrano una discreta efficacia con risultati non dissimili da quelli di altri Paesi europei.

Per valutare l’efficacia di un trattamento di Pma si possono utilizzare o la percentuale di gravidanze ottenute o la percentuale di parti. La percentuale di gravidanze, che non risente della perdita di informazione relativa agli esiti delle gravidanze stesse, viene calcolata rispetto a momenti diversi nel corso del trattamento. Se l’indicatore viene calcolato rispetto al numero di stimolazioni farmacologiche eseguite, esprime la probabilità di ottenere una gravidanza al principio del ciclo di trattamento. Quando calcolato rispetto ai prelievi di ovociti, o al numero di trasferimenti di embrioni in utero, esprime l’efficacia dei trattamenti nelle successive fasi del ciclo di Pma. Naturalmente tra le diverse fasi un certo numero di cicli viene interrotto, quindi le probabilità di ottenere una gravidanza aumenteranno con il procedere delle fasi del trattamento.

Nel 2011 si è registrata una contrazione dei tassi di gravidanza che, parallelamente alla diminuzione della percentuale di gravidanze gemellari (e soprattutto trigemine), fanno ipotizzare un diverso utilizzo dei protocolli di stimolazione. I tassi di gravidanze ottenute dall’applicazione di tecniche a fresco rispetto ai cicli iniziati sono passati dal 20,9% del 2010 al 19,5% e, rispetto ai trasferimenti di embrioni in utero, dal 27,2% al 25,9%. Per quanto riguarda le percentuali di gravidanza multiple, sempre ottenute dall’applicazione di tecniche a fresco, si è passato dal 20,2% al 18,8% per le gravidanze gemellari e dal 2,3% all’1,8% per ciò che concerne le gravidanze trigemine. Anche le quote di parti gemellari e trigemini fanno registrare una diminuzione. I parti gemellari passano dal 20,4% del 2010 al 19,1% del 2011, mentre quelli trigemini passano dall’1,9% all’1,4%.

Questa diminuzione della percentuale di gravidanze e parti trigemini conferma la tendenza della precedente rilevazione e, in parte, può essere attribuita alla diversa possibilità di applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita che deriva dalla modifica legislativa apportata a maggio 2009 dalla sentenza 151 della Corte costituzionale.

La sentenza ha infatti dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.14 della legge 40/2004 e in particolare la parte che prevedeva il divieto a «creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre» (comma 2) e la parte che non prevedeva che il trasferimento degli embrioni dovesse essere effettuato senza pregiudizio della salute della donna (comma 3).

L’età media delle pazienti è risultata in costante aumento sin dalla prima rilevazione dati effettuata dal Registro nazionale, attestandosi nel 2011 a 36,48 anni. Questo incremento influisce negativamente sulle probabilità di successo delle terapie applicate.

Il grado di accessibilità delle tecniche di Pma (che si valuta con la rilevazione del numero di cicli a eseguiti in un anno rapportati alla popolazione generale residente, a livello nazionale) è ormai ai livelli degli standard di altri Paesi europei, con un offerta di 1050 cicli a fresco l’anno per milione di abitanti. La media europea, riferendoci all’ultimo dato disponibile del 2008, è pari a 947 cicli per milione di abitanti. L’offerta di cicli di Pma, in Italia, risente tuttavia di una grande variabilità a livello regionale. Questa variabilità si esprime anche quando si analizza la disponibilità di offerta di cicli a carico del Sistema sanitario nazionale. Nel nostro Paese, infatti, il 64,7% dei cicli a fresco eseguiti in centri di secondo e terzo livello risulta a carico del Ssn. Tuttavia questa quota in alcune Regioni è decisamente maggiore: in Lombardia e Toscana, per esempio, è pari rispettivamente al 94,8 e al 95,6%. Nelle Regioni del Centro-Sud, spesso questo rapporto si ribalta e la quota di cicli in convenzione con il Ssn risulta notevolmente ridotta. È il caso, ad esempio, della Sicilia, dove solo il 9,4% dei cicli viene eseguito in centri pubblici o privati convenzionati, o del Lazio (15,5%). Ci sono poi situazioni (come in Calabria) in cui la totalità dei cicli è offerto in centri privati.

Una percentuale di perdita di informazione si registra rispetto al monitoraggio delle gravidanze, valore che si è progressivamente ridotto negli anni di attività del Registro. Nel 2005, infatti, si rilevava una quota di gravidanze di cui non si conosceva l’esito pari al 43,2% mentre, in quest’ultima rilevazione, la perdita di informazioni si è ridotta al 13,4%.

Giulia Scaravelli – Registro nazionale Procreazione medico assistita
(Fonte: Ministero della Salute)
(Approfondimenti: http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_1999_allegato.pdf)

Commento di «Scienza&Vita»:

«I dati presentati dall’annuale relazione al Parlamento sulla Legge 40 mettono in evidenza come, a una maggiore liberalizzazione delle tecniche, non corrisponda affatto un miglioramento dei risultati ottenuti e pone all’attenzione di tutti almeno tre aspetti di criticità», commentano Paola Ricci Sindoni e Domenico Coviello, presidente e copresidente nazionali dell’Associazione Scienza & Vita.

«In primo luogo, l’aumento delle coppie che si rivolgono alle tecniche di Pma ripropone in tutta la sua urgenza il problema dell’aumento dell’infertilità maschile e femminile, per risolvere il quale è necessario attuare a monte al più presto politiche sociali e sanitarie, puntando sulla prevenzione, unica vera ed efficace cura per queste problematiche.
In secondo ordine, la diminuzione dei bambini nati da fecondazione in vitro ci segnala l’importanza di un attento e costante monitoraggio dei centri e delle tecniche utilizzate, poiché è in gioco la salute delle donne e dei loro figli.
Infine, è da sottolineare il dato allarmante che viene dall’incontrollato aumento degli embrioni crioconservati, effetto diretto della sentenza della Corte Costituzionale del 2009. Ne sono stati censiti ben 18 mila: l’equivalente di una media città di provincia. E le previsioni in tal senso non possono che prevedere un ulteriore aumento di ‘vite sospese’: esseri umani cui non viene data la possibilità di svilupparsi ma restano crioconservati a tempi indefiniti».

(Fonte: «Scienza&Vita»)

14. Consiglio dei Ministri, approvato Ddl Lorenzin

27 luglio 2013

Il 27 luglio 2013 il Consiglio dei Ministri ha varato un Disegno di legge proposto dal Ministro della Salute Beatrice Lorenzin che rivede, integra e innova molte proposte normative rimaste ferme in Parlamento. Il Ministro ha illustrato il provvedimento nella Conferenza stampa al termine della riunione.
Ecco i principali punti del Ddl Lorenzin:
divieto di fumo nelle scuole anche all’aperto: sarà esteso ai cortili e alle altre aree all’aperto di pertinenza degli edifici scolastici
parto indolore per tutte le donne: il Ddl inserisce nei Livelli essenziali di assistenza la possbilità di ricorrere all’epidurale
sigarette elettroniche: vengono stabiliti i criteri di etichettatura che obbligano fabbricanti o importatori a indicare con caratteri chiari e leggibili la composizione dei liquidi e la concentrazione di nicotina, le informazioni relative alla composizione qualitativa e quantitativa di tutte le sostanze contenute e i sintomi e gli effetti sulla salute. I proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie previste per le violazioni vengono successivamente riassegnate per il potenziamento dell’attività di monitoraggio sugli effetti derivanti dall’uso di sigarette elettroniche e la realizzazione di attività informative finalizzate alla prevenzione del rischio di induzione al tabagismo
riforma della sperimentazione clinica: per rendere l’Italia più competitiva a livello internazionale nel campo della ricerca biomedica, il Ddl contiene una Legge delega per la revisione e razionalizzazione delle norme che si sono stratificate nel tempo
lotta all’abusivismo medico: è previsto un inasprimento delle pene e il sequestro dei beni utilizzati nell’attività illecita. “Solo tra gli odontoiatri ci sono 15mila abusivi”, ha ricordato il ministro Lorenzin
tutela dei pazienti più fragili: previsto un inasprimento delle pene per i maltrattamenti di pazienti ricoverati in strutture sanitarie o presso strutture sociosanitarie residenziali e semiresidenziali. Una misura introdotta a seguito dei controlli effettuati dai Carabinieri dei Nas nella strutture per anziani e disabili
sicurezza alimentare e veterinaria: le norme vogliono rendere più sicuri e trasparenti i processi produttivi italiani, con un sistema di registrazione dei prodotti che li renda ancor più competitivi sui mercati internazionali. In materia di veterinaria, è prevista una delega al governo per la messa a norma di alcune ordinanze emanate negli ultimi anni. Si da’ cornice normativa a tutela dei cani, al randagismo e alla tutela delle vittime. Ci sarà anche un nuovo regolamento per la polizia veterinaria
disciplina degli ordini: poste le basi per la trasformazione degli attuali Ordini delle professioni sanitarie e per la costituzione di nuovi ordini in relazione alle nuove professioni sanitarie. Il Ministero della salute esercita l’alta vigilanza su tutte le professioni sanitarie. La professione di psicologo è ricompresa tra le professioni sanitarie

(Fonte: www.salute.gov.it)

15. Vivisezione: è legge norma Ue che vieta Green Hill

31 luglio 2013

La Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva l’articolo 13 della Legge di delegazione europea che restringe la vivisezione e incentiva il ricorso ai metodi sostituivi di ricerca.
La legge ‘restringi-vivisezione’, che ha subito ricevuto il plauso degli animalisti, vieta in particolare «l’allevamento nel territorio nazionale di cani, gatti e primati non umani destinati alla sperimentazione», norma che comporterà la chiusura definitiva dell’allevamento Green Hill.

Verranno anche vietate alcune pratiche oggi comuni come i test per droghe, alcol, tabacco, armi, didattica e limitati alcuni utilizzi, con l’obbligo di anestesia e analgesia che fino ad oggi non venivano usate in almeno il 20% degli esperimenti sui quasi 900 mila animali che ogni anno vengono utilizzati nei laboratori italiani. L’articolo ‘restringi-vivisezione’, al suo primo punto, impegna il governo a «orientare la ricerca all’impiego di metodi alternativi», imponendo poi di «destinare annualmente una quota nell’ambito di fondi nazionali ed europei finalizzati allo sviluppo e alla convalida di metodi sostitutivi, compatibilmente con gli impegni già assunti a legislazione vigente, a corsi periodici di formazione e aggiornamento per gli operatori degli stabilimenti autorizzati, nonché adottare tutte le misure ritenute opportune al fine di incoraggiare la ricerca in questo settore con l’obbligo per l’autorità competente di comunicare, tramite la banca dei dati nazionali, il recepimento dei metodi alternativi e sostitutivi».

Tra i punti salienti c’è il divieto degli esperimenti e delle procedure che «non prevedono anestesia o analgesia, qualora esse comportino dolore all’animale, ad eccezione dei casi di sperimentazione di anestetici o di analgesici»’. Vietato anche l’utilizzo di animali per gli «esperimenti bellici, per gli xenotrapianti e per le ricerche su sostanze d’abuso, negli ambiti sperimentali e di esercitazioni didattiche ad eccezione della formazione universitaria in medicina veterinaria e dell’alta formazione dei medici e dei veterinari».

Per quanto riguarda la «generazione di ceppi di animali geneticamente modificati», si dovrà tener conto dell’effettiva necessità della manipolazione e del possibile impatto che potrebbe avere sul benessere degli animali, valutando i potenziali rischi per la salute umana e animale e per l’ambiente. Il governo, infine, dovrà definire un quadro sanzionatorio «appropriato e tale da risultare effettivo, proporzionato e dissuasivo».

(Fonte: «ansa»)

Lav, svolta positiva per ricerca etica

«La norma restringi-vivisezione rappresenta la base per una legge realmente migliorativa per i quasi 900 mila animali utilizzati ogni anno in Italia e un futuro concreto per i metodi sostitutivi e la ricerca innovativa nel nostro Paese». Lo afferma in una nota la Lav, sottolineando che tra i punti più importanti approvati c’è «il divieto di allevamento di gatti, primati non umani e cani che porterà alla chiusura definitiva del tristemente noto allevamento ‘Green Hill’, il coronamento di una battaglia di attivisti e associazioni in corso da anni».

Per la Lav l’alternativa all’articolo ‘restringi-vivisezione’ «sarebbe stato un recepimento-fotocopia della direttiva europea e nessun cambiamento alla situazione attuale per cui tutto è possibile fare sugli animali. Per questo la LAV, che ha sostenuto le proposte iniziali assieme alle altre associazioni della Federazione Italiana Diritti Animali e Ambiente, ringrazia i senatori Amati, Cirinnà, De Petris, Fissore, Granaiola, Repetti, Silvestro, Uras e i deputati Brambilla, Di Vita, Mantero e Sbrollini che hanno condotto o sostenuto questa battaglia con il Sì dei Ministri della Salute Lorenzin e delle politiche europee Moavero». «Purtroppo – conclude la Lav – in Parlamento non era all’ordine del giorno il no totale alla vivisezione, il nostro obiettivo, e per questo sosteniamo l’iniziativa europea dei cittadini ‘Stop Vivisection’ che non è in antitesi con questa battaglia, ma questo articolo 13 delle Legge di delegazione europea 2013, rappresenterà una svolta in Italia e un esempio per tanti altri Paesi. Nonostante gli obblighi sovranazionali previsti dalle farmacopee o da altre legislazioni».

(Fonte: «la Stampa»)

16. Caso Stamina, Vannoni consegna i protocolli

1 agosto 2013

Dopo una serie interminabile di polemiche, accuse, ultimatum e ritardi, Davide Vannoni, presidente della onlus Stamina Foundation, ha finalmente consegnato all’Istituto superiore di sanità i protocolli relativi ai metodi di crescita e all’efficacia terapeutica della miscela di cellule staminali che, a suo dire, cura varie malattie neurodegenerative attraverso infusioni dirette nel sangue. Un metodo terapeutico che tuttavia, per ammissione dello stesso Vannoni, «non segue alcuna ricetta».

Non vediamo l’ora, naturalmente, di dare un’occhiata ai protocolli, per esaminare punto per punto la metodica Stamina e capire cosa ne pensa la comunità scientifica. Nel frattempo, per chi se le fosse perse, vi proponiamo un riassunto delle puntate precedenti, mentre la Sicilia si unisce all’Abruzzo nell’aprire le porte al metodo Stamina, garantendolo senza ricorrere ai tribunali.

La lunga storia di Stamina è iniziata nel 2004. Quando Vannoni, professore associato di psicologia all’Università di Udine, viaggia in Ucraina per curare una paralisi facciale con un trapianto di cellule staminali. E, impressionato dal trattamento, decide di importare il trattamento in Italia: ci prova prima a Torino, in una clinica privata; poi, bloccato da una normativa europea, si sposta a San Marino, avvalendosi anche della collaborazione del dottor Marino Andolina, pediatra di Trieste.

Nel 2009, Vannoni fonda la Stamina Foundation Onlus“per sostenere la ricerca sul trapianto di staminali mesenchimali e diffondere in Italia la cultura della medicina rigenerativa”. Poi, tramite Andolina, riesce a stringere un accordo con l’Ospedale Burlo Garofalo di Trieste, conducendo attività di ricerca e iniziando a trattare i primi pazienti, soprattutto bambini affetti da teleparesi spastica, Parkinson e sclerosi multipla. Peccato che nessuno riesca a sapere niente della sua terapia e del protocollo che segue, mai pubblicato in nessuna rivista scientifica né approvato dalle autorità sanitarie (in particolare, Istituto superiore di sanità e Agenzia italiana per il farmaco).

Per questo motivo, sempre nel 2009, Raffaele Guariniello, sostituto procuratore del Tribunale di Torino, apre un’inchiesta sull’attività di Stamina, rinviando a giudizio 12 indagati, tra cui lo stesso Vannoni, per “somministrazione di farmaci imperfetti e pericolosi per la salute pubblica, truffa e associazione a delinquere” (particolare non irrilevante: ogni trattamento di Stamina costava dai 20 ai 30mila euro, più 7 mila per ogni puntura lombare). Tutte le attività al Burlo si bloccano, ma Vannoni non demorde.

Si sposta agli Spedali Riuniti di Brescia e avvia nuove cure a uso compassionevole, cioè su pazienti in fase terminale per cui non esiste altra terapia, sempre basate sul suo misterioso metodo. È in questo momento – siamo nel 2012 – che la storia di Stamina balza agli onori della cronaca, soprattutto grazie a un reportage del programma televisivo Le Iene.

Grane legali a parte, Vannoni ha dovuto fronteggiare anche una serie di accuse scientifiche cui, finora, non è riuscito a dare risposte convincenti. La più grave di queste è arrivata dalla rivista scientifica «Nature», che ha svelato come le immagini allegate alla domanda di brevetto del metodo Stamina siano state copiate da uno studio precedente. Senza mezzi termini, Nature ha parlato di “frode scientifica” bella e buona, dovuta a una grave“manipolazione dei dati”. E Michele De Luca, direttore del Centro di medicina rigenerativa dell’Università di Modena e di Reggio Emilia, ha rincarato la dose, smontando punto per punto le argomentazioni con cui Vannoni aveva cercato di motivare la mancata consegna dei protocolli.

In ogni caso, siamo finalmente arrivati a un punto di svolta. I protocolli sono ora in mano alle autorità e saranno accuratamente esaminati dagli esperti del ministero della Salute, dell’Istituto superiore di sanità e dell’Agenzia italiana del farmaco. Prima che parta la sperimentazione da tre milioni di euro prevista per Stamina, infatti, si deve determinare se il metodo sia veramente efficace e che non abbia effetti collaterali pericolosi. Queste prove, infatti, ancora non esistono per il metodo di Vannoni. In generale, questi protocolli contengono informazioni precise sui modelli teorici alla base dello sviluppo del farmaco e sulla dimostrazione di efficacia, specificando i benefici della terapia proposta rispetto a quella convenzionale. Devono essere poi descritti il metodo di preparazione, la definizione del numero di pazienti che si prevede di sottoporre alla sperimentazione e la descrizione dei primi risultati, cioè i test sugli animali. Che però Stamina non ha mai effettuato. Cos’avrà scritto Vannoni nei documenti, allora?

Sandro Iannaccone
(Fonte: Wired.it)
(Approfondimenti: http://daily.wired.it/news/scienza/2013/07/02/stamina-nature-critica-metodo-231567.html – 12 luglio  di Alice Pace; http://daily.wired.it/news/scienza/2013/07/03/stamina-vannoni-risposta-nature-324567.html – 03 luglio di Alice Pace)

17. Papa: «Vita va difesa dal concepimento»

12 agosto 2013

La vita «deve essere sempre difesa, sin dal grembo materno, riconoscendovi un dono di Dio e garanzia del futuro dell’umanità», è l’affermazione di Papa Francesco in un messaggio in occasione della Settimana nazionale della Famiglia, che si è aperta l’11 agosto in Brasile.

Il Papa, secondo quanto riporta Radio Vaticana, incoraggia i genitori nella «missione nobile ed esigente di essere i primi collaboratori di Dio nell’orientamento fondamentale dell’esistenza e nella garanzia di un buon futuro. Per questo – spiega – è importante che «i genitori coltivino pratiche comuni di fede nella famiglia, che accompagnino la maturazione della fede dei figli». I genitori, prosegue il messaggio, «sono chiamati a trasmettere con le parole e soprattutto con le loro opere, le verità fondamentali sulla vita e l’amore umano, che ricevono una nuova luce dalla Rivelazione di Dio». «In particolare, di fronte alla cultura dello scarto, che relativizza il valore della vita umana – sottolinea Papa Francesco – i genitori sono chiamati a trasmettere ai loro figli la consapevolezza che essa deve essere sempre difesa, sin dal grembo materno, riconoscendovi un dono di Dio e garanzia del futuro dell’umanità, ma anche nella cura degli anziani, specialmente dei nonni, che sono la memoria viva di un popolo e trasmettono la saggezza della vita».

Infine, invocando l’intercessione di Nostra Signora di Aparecida, il Papa auspica che le famiglie possano essere «le più convincenti testimoni della bellezza dell’amore sostenuto e alimentato dalla fede»

(Fonte: «la Repubblica»)

18. Vivisezione, ricercatori contro la nuova legge

12 agosto 2013

Gli animalisti li hanno chiamati “assassini”. Il Parlamento ha approvato una legge che vieta una serie di sperimentazioni sulle cavie. I medici ricercatori questa volta reagiscono, e contro la norma «che mette in pericolo la scienza nel nostro Paese» stanno inondando il governo di lettere di protesta. Alla mobilitazione hanno aderito 3 mila scienziati di Airc (ricerca sul cancro), Telethon (malattie genetiche), Aism (sclerosi multipla), i direttori degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico che si occupano di tumori, l’Alleanza contro il cancro, il Gruppo 2013 (i ricercatori con più pubblicazioni all’attivo), il direttore dell’Istituto farmacologico Mario Negri Silvio Garattini (che ha scritto una lettera aperta al ministro della Ricerca), mentre la virologa e deputata Ilaria Capua, che sequenziò e rese pubblico il genoma del virus dell’aviaria, ha scritto al governo affinché non approvi così com’è la legge delega licenziata dalla Camera il 31 luglio.

La norma – che era già stata approvata dal Senato – recepisce una direttiva europea del 2010, che in quasi 50 pagine regolamenta ogni aspetto dell’uso delle cavie nei laboratori. Il testo di Bruxelles (a sua volta frutto di anni di braccio di ferro fra ricercatori e animalisti) vieta che le procedure sulle cavie siano svolte senza anestesia, fissa gli standard per l’allevamento, chiede che i ricercatori ottengano l’ok di un’autorità competente prima dei test. E vieta ai Paesi membri di imporre norme ancora più restrittive.

Di fronte a quest’ultima clausola il nostro Parlamento ha fatto orecchie da mercante. Il testo varato a fine luglio contiene infatti ulteriori vincoli. Prima di ogni iniezione (come i prelievi di sangue) alle cavie dovrà essere somministrato un sedativo per bocca. Sono vietati allevamento e uso di cani, gatti e primati. Vengono proibiti gli xenotrapianti e le ricerche sulle tossicodipendenze. Al governo, che dovrà prendere la decisione finale, i ricercatori chiedono di tornare al testo di Bruxelles. «Altrimenti siamo pronti ad avviare una procedura di infrazione di fronte all’Ue», annuncia Roberto Caminiti, neurofisiologo della Sapienza.

Se l’uso di cani, gatti e scimmie è già ridotto (nella maggior parte dei test si usano i roditori), a preoccupare di più i ricercatori è il divieto di xenotrapianto. Con questo termine non si intende tanto la sostituzione di organi interi da una specie all’altra. Ma un’altra tecnica assai usata: il trapianto di un piccolo numero di cellule dei tumori dell’uomo nei roditori. Da una dozzina d’anni questo è uno dei metodi più usati per testare i trattamenti oncologici innovativi. «Da sola, quella norma, cancella l’intera ricerca sulle nuove terapie contro il cancro. L’Italia si prepari a chiudere il 60% della sua attività in campo oncologico e tutti gli studi sulle staminali», sintetizza Pier Giuseppe Pelicci, che dirige l’oncologia sperimentale allo Ieo di Milano.

«Gli italiani l’anno scorso ci hanno affidato 100 milioni perché li investissimo in lotta ai tumori»,  spiega Niccolò Contucci, direttore generale dell’Airc. «A chi diamo ora quei fondi? A ricercatori stranieri? La ricerca di base può funzionare con l’informatica e gli studi in vitro. Ma la parte applicativa purtroppo non ha alternative agli animali di laboratorio». Per Giuliano Grignaschi, responsabile dello stabulario del Mario Negri, «Somministrare un analgesico prima di un’iniezione è eccessivo. Non si fa neanche con i bambini. La direttiva è molto equilibrata: l’anestesia è obbligatoria quando il dolore della procedura supera quello di una puntura». Che il testo Ue sia un buon compromesso è convinzione di Francesca Pasinelli, direttrice generale di Telethon: “Il testo ruota attorno a due presupposti. Che la sperimentazione su un essere vivente sia necessaria prima dell’approvazione di una terapia. E che salvare una vita umana sia più importante che salvare una vita animale”. Secondo un’indagine Ipsos dell’anno scorso in Italia il 32% delle persone ritiene la sperimentazione scientifica sugli animali del tutto accettabile, il 24% abbastanza accettabile, il 21% poco accettabile e il 21% per nulla accettabile.

Elena Dusi
(Fonte: «la Repubblica»)

19. Un trucco magnetico e uno “zip” per rilevare la coscienza

19 agosto 2013

Non è ancora chiaro quali aspetti del funzionamento del cervello siano fondamentali per l’emergere della coscienza. Per questo, nella pratica clinica valutiamo il livello di coscienza di un paziente sulla base della sua capacità di reagire a stimoli e comandi come “stringi il pugno”, oppure “apri gli occhi”. Tuttavia, sappiamo che molti pazienti cerebrolesi sono coscienti ma incapaci di rispondere, semplicemente perché non sono in grado di elaborare gli stimoli o perché sono completamente paralizzati.

«Per affrontare questo problema», spiega Marcello Massimini, coordinatore dello studio e professore di neurofisiologia all’Università degli Studi di Milano, «abbiamo cercato di misurare direttamente ciò che, almeno in teoria, rende il cervello così speciale per la coscienza: la sua incredibile capacità di integrare informazione».

In pratica, i ricercatori hanno compresso, o “zippato”, l’informazione generata dall’intero cervello quando questo viene attivato da un forte stimolo magnetico, più o meno come vengono “zippate” le immagini digitali prima di essere inviate per email. «L’idea» spiega ancora Massimini «è che più informazione il cervello genera come un tutto integrato, meno saremo in grado di comprimere le sue risposte a una perturbazione. In estrema sintesi, bussiamo sul cervello e misuriamo la complessità dell’eco che esso produce».

Questa nuova misura è stata messa alla prova dai ricercatori in diverse condizioni fisiologiche, farmacologiche e patologiche in cui la coscienza si riduce, scompare e riappare, come la veglia, il sonno profondo, il sogno, l’anestesia e il recupero dal coma. In tutti i casi in cui la coscienza era ridotta, o abolita, l’eco del cervello era facilmente comprimibile e in tutti i casi in cui la coscienza era presente le risposte erano complesse, e quindi difficili da zippare. In questo modo, gli scienziati sono stati in grado di costruire, per la prima volta, una scala di misura affidabile lungo lo spettro che va dall’incoscienza alla coscienza. Una scala oggettiva che può essere utilizzata per rivelare la presenza di coscienza anche in pazienti che sono totalmente isolati dal mondo esterno.

«Al di là della loro importanza clinica» aggiunge Massimini «questi risultati confermano, per la prima volta, l’ipotesi che la coscienza ha che fare con la capacità del cervello di integrare informazione, ovvero con una quantità incredibile di informazione concentrata in un singolo oggetto. Una cosa più unica che rara nell’universo fisico».

(Fonte: Ufficio Stampa Università degli Studi di Milano; «Science Translational Medicine», August 14th 2013
(Approfondimenti: http://www.eurekalert.org/jrnls/scitransmed)

20. Il Papa promuove un incontro sul traffico degli esseri umani

23 agosto 2013

Un incontro per discutere del triste fenomeno della tratta degli esseri umani. Questo desiderio espresso da Papa Francesco si è tradotto in un appuntamento che si terrà, il 2 e il 3 novembre 2013, presso la Casina Pio IV di Roma, organizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze e la Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, insieme alla FIAMC (Federazione Mondiale delle Associazioni Mediche Cattoliche). Le due accademie vaticane e la federazione – riferisce la Radio Vaticana – si riuniranno per un gruppo di lavoro preparatorio ad analizzare questa moderna forma di schiavitù e stabilirne sia la reale situazione, sia un piano d’azione per combatterla.

Oggi, ha spiegato mons. Marcelo Sánchez Sorondo, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze, «le scienze naturali possono fornire nuovi strumenti da impiegare contro questa nuova forma di schiavitù, quali un registro digitale per confrontare il DNA dei bambini scomparsi non identificati (inclusi i casi di adozione illegale) con quello dei loro familiari che ne hanno denunciato la scomparsa».
Nessuno – prosegue – può negare che “la tratta di esseri umani costituisce un terribile reato contro la dignità umana e una grave violazione dei diritti umani fondamentali” e che, in questo nuovo secolo, funge da acceleratore della creazione di patrimoni criminali. Il Concilio Vaticano II affermava già che “la schiavitù, la prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani, o ancora le ignominiose condizioni di lavoro, con le quali i lavoratori sono trattati come semplici strumenti di guadagno, e non come persone libere e responsabili” sono “vergognose”, “guastano la civiltà umana, disonorano coloro che così si comportano” e “ledono grandemente l’onore del Creatore”.
In uno dei pochi documenti del Magistero dei Papi su questo tema, il Beato Giovanni Paolo II ha aggiunto che “queste situazioni sono un affronto ai valori fondamentali condivisi da tutte le culture e da tutti i popoli, valori radicati nella natura stessa della persona umana”, affermando inoltre che l’argomento è di importanza centrale per le scienze sociali e le scienze naturali nel contesto della globalizzazione. “L’aumento allarmante del commercio di esseri umani è uno dei pressanti problemi economici, sociali e politici associati al processo di globalizzazione. È una grave minaccia per la sicurezza delle singole nazioni e un’improcrastinabile questione di giustizia internazionale” afferma mons. Sorondo.

Secondo il recente Rapporto dell’UNODC 2012 sul Traffico di Esseri Umani – prosegue la Radio Vaticana – l’ONU ha iniziato ad essere consapevole di questo crimine crescente solo nel 2000, insieme con gli effetti emergenti della globalizzazione e ha, successivamente, preparato un Protocollo sulla Prevenzione, Soppressione e Persecuzione del Traffico di Esseri Umani, in particolar modo donne e bambini, adottato congiuntamente alla Convenzione contro la criminalità organizzata transnazionale, firmato da 117 parti.

Secondo il Rapporto 2012, tra il 2002 e il 2010 l’Organizzazione Internazionale del Lavoro stima «che, globalmente, sono 20,9 milioni le vittime del lavoro forzato. Questa stima include anche le vittime della tratta di persone a scopo di manodopera e sfruttamento sessuale». Ogni anno, secondo le stime, circa 2 milioni di persone sono vittime del traffico sessuale, il 60% delle quali sono ragazze. Il traffico di organi umani raggiunge quasi l’1% di questa cifra, colpendo quindi circa 20.000 persone a cui, con diverse forme di inganno, vengono estratti, in maniera illegale, organi come fegato, reni, pancreas, cornea, polmone e persino il cuore, non senza la complicità di medici, infermieri e altro personale, che si sono invece impegnati a seguire il giuramento di Ippocrate: Primum non nocere. Ma queste cifre agghiaccianti «rappresentano solo la punta dell’iceberg, dal momento che i criminali in genere fanno di tutto per non far scoprire le loro attività».

Alcuni osservatori – sottolinea mons. Sorondo – sostengono che, tra pochi anni, la tratta di persone supererà il traffico di droga e di armi, diventando così l’attività criminale più lucrativa del mondo. Tuttavia le tendenze recenti indicano che il traffico di esseri umani abbia già raggiunto il primo posto, perché, lungi dall’essere un crimine sociale in declino, la sua presenza si fa sempre più minacciosa. La tratta internazionale a sfondo sessuale non è limitata alle zone povere e sottosviluppate ma si estende virtualmente a tutte le regioni del mondo. Mentre i paesi con una grande (spesso legale) industria del sesso generano la domanda della tratta di donne, ragazze e bambine, sono i paesi economicamente più depressi quelli che li riforniscono maggiormente. È qui, infatti, che i trafficanti possono reclutare le vittime con maggior facilità. Le regioni d’origine della maggior parte delle vittime dello sfruttamento sessuale sono le ex repubbliche sovietiche, l’Asia e l’America Latina.

A causa dello scandalo umano e morale che incarnano e degli interessi coinvolti, che portano al pessimismo e alla rassegnazione, molte istituzioni internazionali hanno voltato le spalle a questa tragedia, conclude la Radio del Papa. «È quindi importante per la Pontificia Accademia delle Scienze, la Pontificia Accademia delle Scienze Sociali e la Federazione Mondiale delle Associazioni Mediche Cattoliche – prosegue mons. Sorondo – seguire direttamente, sine glossa, il desiderio del Papa». «Dobbiamo quindi essere grati a Papa Francesco di aver individuato uno dei più importanti drammi sociali del nostro tempo e di aver avuto abbastanza fiducia nelle nostre istituzioni cattoliche da chiederci di organizzare questo gruppo di lavoro».

(Fonte: «Zenit»)

21. Caritas: cresce la povertà sanitaria. Urge il ddl donazione farmaci

27 agosto 2013

In Italia dal 2006 al 2013 è aumentata la povertà sanitaria in media del 97%. Sono aumentati i cittadini che hanno difficoltà ad acquistare i medicinali, anche quelli con prescrizione medica. È questo uno dei dati che emerge dal dossier realizzato dalla Fondazione banco farmaceutico onlus e presentato insieme alla Caritas italiana in occasione della XXXIV edizione del Meeting di Rimini. Se prima la crisi colpiva le famiglie costringendole a fare a meno di alimenti, di vestiario e di generi di consumo, oggi è in difficoltà anche la capacità di procurarsi le medicine.

«Un dato allarmante che deve impegnare la politica a dare un segnale concreto di intervento» ha dichiarato d’Ambrosio Lettieri capogruppo Pdl in Commissione igiene e sanità del Senato «tra questi, rientrano senza dubbio l’approvazione in tempi brevi, nella 12esima Commissione sanità del Senato, della proposta di legge che consentirebbe alle aziende farmaceutiche di donare i farmaci e il consolidamento della rete di assistenza che deve fare sempre più squadra. I risultati della ricerca resi noti dalla Fondazione Banco Farmaceutico Onlus e dalla Caritas al Meeting di Rimini, infatti, non lasciano alcuno spazio per indugiare».

Opinione condivisa anche da Paolo Gradnik, presidente della Fondazione banco farmaceutico che ha così commentato i dati: «Assistiamo ad un crescente bisogno di farmaci da parte delle più importanti strutture di assistenza caritative. In alcuni casi si tratta di vera emergenza a causa dell’aumento della crisi economica che colpisce soprattutto le famiglie».

E questo nonostante l’iniziativa, che la Fondazione ripropone puntuale ogni anno, incontri sempre maggior favore presso i cittadini che decidono di acquistare e donare spontaneamente farmaci per il banco farmaceutico. Appare quindi non più prorogabile la richiesta che la Commissione Sanità del Senato approvi in via definitiva la proposta di legge che consentirebbe la donazione di farmaci da parte delle aziende farmaceutiche.

(Fonte: Farmacista33)

22. Molinette primo centro in Europa per trapianti di fegato e per sopravvivenza

27 agosto 2013

Il 26 agosto è stato tagliato lo storico traguardo dei 2500 trapianti di fegato all’ospedale Molinette della Città della Salute e della Scienza di Torino. Un record europeo. Infatti il Centro Trapianto di fegato “Sergio Curtoni”, diretto dal professor Mauro Salizzoni, è ora al vertice in Europa per numero di trapianti effettuati e per dati di sopravvivenza. Sono stati scavalcati i centri inglesi fino a poco tempo fa al top europeo.

Il 26 agosto è stata trapiantata una giovane donna affetta da una malattia rara “l’amiloidosi”, che ha ricevuto la parte destra (o split destro) di un fegato prelevato ad una giovane donna deceduta per emorragia cerebrale all’ospedale Maria Vittoria di Torino. La parte sinistra del fegato (o split sinistro) è stato trapiantato dall’equipe di Palermo su un bambino di 2 anni con una atresia delle vie biliari. Anche gli altri organi, prelevati grazie al gesto di altruismo e solidarietà, sono stati trapiantati con successo: i polmoni dall’equipe del professor Mauro Rinaldi della Cardiochirurgia delle Molinette di Torino ad una giovane donna in attesa di trapianto a causa di un’altra malattia rara “la fibroelastosi idiopatica”. Il rene destro è andato al Policlinico di Milano ad un donna in attesa da più di 10 anni con cui era presente una somiglianza genetica particolare; mentre il rene sinistro è stato trapiantato dall’équipe del dottor Piero Bretto del Centro Molinette di Torino ad una giovane donna che era stata precedentemente sottoposta ad un raro trattamento per rimuovere anticorpi anti-tessuto che avevano finora impedito il trapianto, procedura questa in uso in Italia solo nel centro di Torino per i trapianti di rene da donatore deceduto. Una donazione questa, coordinata dal Centro regionale trapianti piemontese, dunque particolare, per gli abbinamenti che si sono sviluppati, prevalentemente a favore di giovani donne, ognuna con una storia clinica particolare.

Sono passati più di 20 anni dal primo trapianto di fegato eseguito il 10 ottobre del 1990 dall’equipe del professor Salizzoni.
Dei 2500 trapianti
• 120 sono stati di un solo segmento del fegato (o trapianti split), per favorire il trapianto in pazienti pediatrici o giovani adulti, e consentire il trapianto a più pazienti,
• 45 trapianti sono stati eseguiti in combinazione anche con il rene,
• 2 in combinazione con il pancreas,
• 1 assieme al polmone,
• 6 trapianti di tipo domino.
I trapianti di fegato possono essere eccezionalmente eseguiti da donatore vivente: il centro di Torino ne ha eseguiti 14, ed è uno dei pochi centri autorizzati dal Ministero per questo tipo di trapianto. Se è vero che la patologia epatica colpisce prevalentemente soggetti adulti, esistono pur sempre rare malattie congenite o dell’infanzia, per le quali il trapianto rappresenta l’unica alternativa. 133 bambini hanno beneficiato in questi anni di trapianti pediatrici, alcuni dei quali da donatore adulto (cadavere o vivente) tramite la tecnica della resezione di parte del fegato. Molti di loro hanno ricevuto il trapianto a pochi mesi dalla nascita. Ad oggi l’età media dei pazienti trapiantati è di 56 anni ed il 73% è di sesso maschile.

Come sempre, anche nel caso dei trapianti i numeri non sono tutto, occorre chiedersi che beneficio comporta questa terapia ai pazienti che la ricevono. Certo, questi pazienti al momento del trapianto presentano malattie che determinano un danno del fegato non altrimenti curabile, di solito con un’aspettativa di vita di pochi mesi. Una misurazione dell’efficacia del trapianto è data dalla sopravvivenza dei pazienti dopo trapianto. Il Centro di Torino, che occupa la prima posizione per numero di trapianti, dimostra risultati ottimali anche dal punto di vista della sopravvivenza: il 92% dei pazienti adulti è vivo ad un anno dal trapianto, e circa l’80% a 5 anni. Nel caso dei bambini, la sopravvivenza ad un anno è pari a 97,5%. Il tempo di attesa medio prima del trapianto è di circa 2 mesi. In questo momento sono 56 i pazienti in lista di attesa. La maggior parte dei pazienti che viene inserita in lista riceve quindi in breve tempo il trapianto e ciò rende le liste di attesa contenute.

Sono questi risultati eccellenti, nell’ambito di un settore sanitario di particolare valore in tutta la nazione, che colloca l’Italia ed in particolare il Centro delle Molinette ai vertici europei. E se ci si confronta con l’Europa, il centro di Torino condivide una posizione leader solo con una manciata di altri centri: quelli di Birmingham, Londra e Cambridge nel Regno Unito (ma in questa nazione tutti i trapianti sono convogliati in pochi centri) e quello di Hannover in Germania.
Globalmente, l’esito del trapianto di fegato nel centro piemontese si dimostra decisamente superiore se confrontato con i dati dei migliori centri mondiali.
Questo rende l’attività del Centro trapianti di Torino un punto di eccellenza e di riferimento per il mondo trapiantologico.
(Fonte: Città della Scienza e della Salute di Torino)

23.  Elena Cattaneo, neosenatrice a vita, in laboratorio con le staminali embrionali

30 agosto 2013

«È la dimensione politica della Chiesa che affligge la scienza in Italia, non la sua dimensione religiosa, di cui condivido molti principi… Sicuramente c’è bisogno di una dimensione etica della scienza, ma quando alcuni membri della Chiesa cattolica ancora sostengono che la ricerca sulle cellule staminali embrionali non è necessaria, questa è una manipolazione delle prove scientifiche»: così spiegava la neo senatrice a vita [nominata dal Presidente della Repubblica il 30 agosto 2013, insieme al fisico Carlo Rubbia, al maestro Claudio Abbado e all’architetto Renzo Piano, ndr] in un’intervista rilasciata nel 2011, in cui ribadiva posizioni già note.

Elena Cattaneo è una delle più convinte sostenitrici della totale e incondizionata libertà scientifica nella ricerca. Si è sempre dichiarata a favore dell’impiego delle cellule staminali embrionali in laboratorio, considerandole uno strumento insostituibile nella ricerca di cure contro le malattie neurodegenerative. Per questo, nel 2005 si schierò a favore del Referendum per l’abrogazione di alcuni articoli della legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita e sulla ricerca scientifica su embrioni inutilizzati e congelati. «Vietare l’uso degli embrioni congelati, così come prevede la legge 40 – affermò durante la campagna referendaria – è sbagliato, anzi è anti-scientifico». La Cattaneo è co-promotrice del comitato del Congresso mondiale per la libertà di ricerca scientifica, organizzato dall’Associazione Luca Coscioni e dal Partito Radicale.

Cinquantuno anni, Cattaneo si è laureata in Farmacia all’Università di Milano dove ha conseguito il dottorato e dove, dal 2003, insegna come professore ordinario. Ha operato come ricercatrice per tre anni al MIT di Boston nel laboratorio di Ron McKay, dove ha avviato studi su cellule staminali cerebrali. Rientrata in Italia, ha fondato e dirige il Laboratorio di Biologia delle cellule staminali e Farmacologia delle malattie neurodegenerative del Dipartimento di bioscienze dell’Università di Milano, dedicandosi allo studio della Corea di Huntington. Ha coordinato il progetto europeo NeuroStemcell e, da ottobre 2013, coordinerà il progetto NeuroStemcellrepair nell’ambito del 7° Programma Quadro della Ricerca Europa. È stata membro del Comitato Nazionale per la Bioetica, da cui si è dimessa nel 2007.

Recentemente si è espressa contro la validità del metodo Stamina promosso da Davide Vannoni, sottoscrivendo, insieme ad altri studiosi e accademici, la lettera rivolta al ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, per richiedere la pubblicazione del protocollo del metodo al fine di scongiurare la copertura di brevetti e verificare qualità e caratteristiche della controversa sperimentazione.

Emanuela Vinai
(Fonte: «Avvenire»)

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12 Settembre 2013 Supplemento Medicina narrativa e letteratura