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33 Giugno 2016
Bioetica News Torino Giugno 2016

Presentazione dell’enciclica di Papa Francesco «Laudato si’»

Introduzione

Abbiamo già constatato leggendo i 288 paragrafi dell’Evangelii gaudium che Papa Francesco non ha timore a redigere documenti molto ampi e articolati. L’enciclica Laudato si’ (LS) ne ha una quarantina in meno. Sono infatti in tutto 246. È comunque molto probabilmente l’Enciclica più lunga fin ora pubblicata da un pontefice. Ha avuto una gestazione molto laboriosa ed articolata. Lo ha confermato nel corso della Conferenza Stampa di presentazione il Card. Peter Kodwo Appiah TURKSON, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, asserendo che il Papa  «ha fatto affidamento su un’ampia serie di contributi. Alcuni, in particolare quelli di molte conferenze episcopali di tutti i Continenti, sono indicati nelle note. I nomi di altri che hanno partecipato alle diverse fasi di questo lavoro, sino a quella, sempre complessa, della traduzione e della stampa, rimangono nell’ombra. Il Signore saprà ricompensare la loro generosità e dedizione».

È prassi che ogni Papa scelga dei collaboratori che lo coadiuvino nella stesura di un documento magisteriale. In questo caso la novità sta nel fatto che si è condotto un ampio ed integrato lavoro di squadra. Lo aveva confermato il 15 gennaio 2015 lo stesso Papa sull’aereo che lo stava conducendo a Manila. Parlando ai giornalisti osservò in quell’occasione: «La prima bozza l’ha fatta il cardinale Turkson insieme alla sua équipe. Poi io, con l’aiuto di alcuni, ho preso questa stesura e ci ho lavorato. Con alcuni teologi ho poi redatto una terza bozza: ne ho inviato una copia alla Congregazione per la Dottrina della Fede, una alla Seconda Sezione della Segreteria di Stato e una al Teologo della Casa Pontificia […]. Tre settimane fa ho ricevuto le risposte […], tutte costruttive. E adesso mi prenderò una intera settimana di marzo per finirla. Credo che alla fine di marzo sarà terminata e andrà ai traduttori. Penso che se il lavoro di traduzione andrà bene […], a giugno o luglio potrà uscire». I traduttori però furono più rapidi del previsto e il documento fu pubblicato il 24 maggio 2015.

L’ambiente in cui viviamo

Addentrandoci nella presentazione del testo possiamo prima di tutto notare che prende il nome dal Cantico delle creature di Francesco d’Assisi, santo più volte citato nel corso del documento e indicato espressamente come «l’esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità […] In lui si riscontra fino a che punto sono inseparabili la preoccupazione per la natura, la giustizia verso i poveri, l’impegno nella società e la pace interiore» (LS 10).

Fin dai primi due paragrafi si evidenzia che San FRANCESCO ricordava nel Cantico che

la nostra casa comune è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia. Questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi. Per questo, fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra, che “geme e soffre le doglie del parto” (Rm 8,22). Dimentichiamo che noi stessi siamo terra (cfr Gen 2,7). Il nostro stesso corpo è costituito dagli elementi del pianeta, la sua aria è quella che ci dà il respiro e la sua acqua ci vivifica e ristora.

Questa preoccupazione era già stata mossa dal Papa nella sua prima enciclica, la Lumen fidei. Al paragrafo 55 aveva infatti asserito: «La fede nel rivelarci l’amore di Dio creatore, ci fa rispettare maggiormente la natura, facendoci riconoscere in essa una grammatica da lui scritta e una dimora a noi affidata, perché sia coltivata e custodita; ci aiuta a trovare modelli di sviluppo che non si basino solo sull’utilità e il profitto, ma che considerino il creato come dono, cui tutti siamo debitori».
Questa attenzione non era peraltro nuova. Rispondeva ad un precisa attenzione già presente in alcuni scritti dei primi secoli dell’era cristiana ed era stata ampiamente riconsiderata in questi ultimi decenni. In questa linea, risulta centrale nella LS una domanda che troviamo al paragrafo 160: «Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che ora stanno crescendo?». Il Papa aggiunge:

«Occorre rendersi conto che quello che c’è in gioco è la dignità di noi stessi»

Questa domanda non riguarda solo l’ambiente in modo isolato, perché non si può porre la questione in maniera parziale. Quando ci interroghiamo circa il mondo che vogliamo lasciare ci riferiamo soprattutto al suo orientamento generale, al suo senso, ai suoi valori. Se non pulsa in esse questa domanda di fondo, non credo che le nostre preoccupazioni ecologiche possano ottenere effetti importanti. Ma se questa domanda viene posta con coraggio, ci conduce inesorabilmente ad altri interrogativi molto diretti: A che scopo passiamo da questo mondo? Per quale fine siamo venuti in questa vita? Per che scopo lavoriamo e lottiamo? Perché questa terra ha bisogno di noi? Pertanto, non basta più dire che dobbiamo preoccuparci per le future generazioni. Occorre rendersi conto che quello che c’è in gioco è la dignità di noi stessi. Siamo noi i primi interessati a trasmettere un pianeta abitabile per l’umanità che verrà dopo di noi. È un dramma per noi stessi, perché ciò chiama in causa il significato del nostro passaggio su questa terra.

Nei due paragrafi successivi il Papa precisa:

«Potremmo lasciare alle prossime generazioni troppe macerie, deserti e sporcizia»

Le previsioni catastrofiche ormai non si possono più guardare con disprezzo e ironia. Potremmo lasciare alle prossime generazioni troppe macerie, deserti e sporcizia. Il ritmo di consumo, di spreco e di alterazione dell’ambiente ha superato le possibilità del pianeta, in maniera tale che lo stile di vita attuale, essendo insostenibile, può sfociare solamente in catastrofi, come di fatto sta già avvenendo periodicamente in diverse regioni. L’attenuazione degli effetti dell’attuale squilibrio dipende da ciò che facciamo ora, soprattutto se pensiamo alla responsabilità che ci attribuiranno coloro che dovranno sopportare le peggiori conseguenze. La difficoltà a prendere sul serio questa sfida è legata ad un deterioramento etico e culturale, che accompagna quello ecologico. L’uomo e la donna del mondo postmoderno corrono il rischio permanente di diventare profondamente individualisti, e molti problemi sociali attuali sono da porre in relazione con la ricerca egoistica della soddisfazione immediata, con le crisi dei legami familiari e sociali, con le difficoltà a riconoscere l’altro. Molte volte si è di fronte ad un consumo eccessivo e miope dei genitori che danneggia i figli, che trovano sempre più difficoltà ad acquistare una casa propria e a fondare una famiglia. Inoltre, questa incapacità di pensare seriamente alle future generazioni è legata alla nostra incapacità di ampliare l’orizzonte delle nostre preoccupazioni e pensare a quanti rimangono esclusi dallo sviluppo. Non perdiamoci a immaginare i poveri del futuro, è sufficiente che ricordiamo i poveri di oggi, che hanno pochi anni da vivere su questa terra e non possono continuare ad aspettare.

Questa preoccupazione ripercorre in modo organico i sei capitoli di cui consta l’Enciclica. Nel primo infatti si conduce una attenta e scientificamente provata analisi della situazione attuale. Nel secondo, ponendo particolare attenzione ai racconti biblici della creazione e del peccato originale, rileva che nell’insegnamento scritturistico ed ecclesiale è centrale l’insistenza sulla bontà del creato e sul ruolo che l’uomo deve assumere per custodirlo. Il capitolo terzo, in un dialogo con la filosofia e le scienze umane, si occupa delle cause per cui si è giunti alla situazione attuale. Il capitolo successivo tratteggia gli elementi cardine di un’ecologia integrale capace di orientare un nuovo modo di essere dell’uomo nel creato. Il capito quinto, senza presunzione alcuna di sostituirsi alle diverse componenti della società, sostiene la necessità di un rinnovamento capace di coniugare politica ed economia, religioni e scienze, economia e impresa per il bene integrale dell’uomo e di questo nostro mondo globalizzato. Infine l’ultimo capitolo delinea gli elementi essenziali di una spiritualità ecologica nella convinzione che «quando le persone diventano autoreferenziali e si isolano nella loro coscienza, accrescono la propria avidità. Più il cuore della persona è vuoto, più ha bisogno di oggetti da comprare, possedere e consumare. In tale contesto non sembra possibile che qualcuno accetti che la realtà gli ponga un limite. In questo orizzonte non esiste nemmeno un vero bene comune (LS 204).

Fin dai primi paragrafi dell’Enciclica è possibile individuare due argomenti centrali: la contemplazione per la bellezza del creato e il gemito di sofferenza che sgorga dalla creazione e da tante creature ingiustamente vilipese. Papa Francesco li introduce proponendo l’esempio del Poverello d’Assisi che

manifestò un’attenzione particolare verso la creazione di Dio e verso i più poveri e abbandonati. Amava ed era amato per la sua gioia, la sua dedizione generosa, il suo cuore universale. Era un mistico e un pellegrino che viveva con semplicità e in una meravigliosa armonia con Dio, con gli altri, con la natura e con se stesso. In lui si riscontra fino a che punto sono inseparabili la preoccupazione per la natura, la giustizia verso i poveri, l’impegno nella società e la pace interiore (LS 10).

L’ecologia integrale richiede apertura verso categorie che trascendono il linguaggio delle scienze esatte o della biologia e ci collegano con l’essenza dell’umano

«La sua testimonianza – continua il Papa – ci mostra anche che l’ecologia integrale richiede apertura verso categorie che trascendono il linguaggio delle scienze esatte o della biologia e ci collegano con l’essenza dell’umano. Così come succede quando ci innamoriamo di una persona, ogni volta che Francesco guardava il sole, la luna, gli animali più piccoli, la sua reazione era cantare, coinvolgendo nella sua lode tutte le altre creature. Egli entrava in comunicazione con tutto il creato, e predicava persino ai fiori e “li invitava a lodare e amare Iddio, come esseri dotati di ragione”. La sua reazione era molto più che un apprezzamento intellettuale o un calcolo economico, perché per lui qualsiasi creatura era una sorella, unita a lui con vincoli di affetto» (LS 11).
Subito dopo osserva:

Se noi ci accostiamo alla natura e all’ambiente senza questa apertura allo stupore e alla meraviglia, se non parliamo più il linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra relazione con il mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consumatore o del mero sfruttatore delle risorse naturali, incapace di porre un limite ai suoi interessi immediati. Viceversa, se noi ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno in maniera spontanea. La povertà e l’austerità di san Francesco non erano un ascetismo solamente esteriore, ma qualcosa di più radicale: una rinuncia a fare della realtà un mero oggetto di uso e di dominio (LS 11).

 

Agendo in questo modo, si dimostrava «fedele alla Scrittura» che «ci propone di riconoscere la natura come uno splendido libro nel quale Dio ci parla e ci trasmette qualcosa della sua bellezza e della sua bontà: “Difatti dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro autore” (Sap 13,5) e “la sua eterna potenza e divinità vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute” (Rm 1,20)» (LS12).

La bellezza del creato

Il tema della bellezza del creato – ampiamente trattato, con sfumature diverse, da numerosi autori – è caro a Papa Francesco. Ne parlò diffusamente già il 19 marzo 2013 nell’omelia della Messa d’inizio pontificato:

Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato! La vocazione del custodire, però, non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. È il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. È il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. È l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. È il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio!

 

Nella medesima omelia mise in guardia anche dall’Erode che è in noi ricordando che

quando l’uomo viene meno alla responsabilità di custodire, quando non ci prendiamo cura del creato e dei fratelli, allora trova spazio la distruzione e il cuore inaridisce. In ogni epoca della storia, purtroppo, ci sono degli “Erode” che tramano disegni di morte, distruggono e deturpano il volto dell’uomo e della donna. Vorrei chiedere, per favore, a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo “custodi” della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo! Ma per “custodire” dobbiamo anche avere cura di noi stessi! Ricordiamo che l’odio, l’invidia, la superbia sporcano la vita! Custodire vuol dire allora vigilare sui nostri sentimenti, sul nostro cuore, perché è proprio da lì che escono le intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono e quelle che distruggono! Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza! E qui aggiungo, allora, un’ulteriore annotazione: il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza.

Effetti del degrado ambientale, dell’attuale modello di sviluppo e della cultura dello scarto sulla vita delle persone

Le stesse argomentazioni tornano nel primo capitolo del documento, dove sono elencati gli attentati che costantemente il creato subisce: inquinamento, cambiamenti climatici, uso incontrollato dell’acqua e perdita di biodiversità. Per ammissione di numerosi scienziati, queste questioni sono affrontate nell’Enciclica con estrema competenza scientifica. Va precisato che il Papa non enuncia i problemi per condurre un’accusa sterile nei confronti di chi provoca i disastri ambientali. Il suo obiettivo, infatti, è di aiutare a «prendere dolorosa coscienza» della realtà per «osare trasformare in sofferenza personale quello che accade al mondo, e così riconoscere qual è il contributo che ciascuno può portare» (LS 19).
Al paragrafo 22 annota: «questi problemi sono intimamente legati alla cultura dello scarto, che colpisce tanto gli esseri umani esclusi quanto le cose che si trasformano velocemente in spazzatura». Al paragrafo 43 riprende questo discorso rilevando: «se teniamo conto del fatto che anche l’essere umano è una creatura di questo mondo, che ha diritto a vivere e ad essere felice, e inoltre ha una speciale dignità, non possiamo tralasciare di considerare gli effetti del degrado ambientale, dell’attuale modello di sviluppo e della cultura dello scarto sulla vita delle persone». Enuclea subito dopo la disordinata crescita di tante città diventate invivibili (LS 44), la privatizzazione degli spazi verdi (LS 45), «gli effetti occupazionali di alcune innovazioni tecnologiche, l’esclusione sociale, la disuguaglianza nella disponibilità e nel consumo dell’energia e di altri servizi, la frammentazione sociale, l’aumento della violenza e il sorgere di nuove forme di aggressività sociale, il narcotraffico e il consumo crescente di droghe fra i più giovani, la perdita di identità» (LS 46).

Segni di «una silenziosa rottura dei legami di integrazione e di comunione sociale»

È facile notare che volutamente il discorso si sposta dall’ambiente all’uomo per dimostrare «come la crescita degli ultimi due secoli non ha significato in tutti i suoi aspetti un vero progresso integrale e un miglioramento della qualità della vita. Alcuni di questi segni sono allo stesso tempo sintomi di un vero degrado sociale, di una silenziosa rottura dei legami di integrazione e di comunione sociale» (LS 46). Contribuiscono a questo impoverimento molti fattori.

1. Le dinamiche dei media e del mondo digitale che sono sempre più onnipresenti ma «non favoriscono lo sviluppo di una capacità di vivere con sapienza, di pensare in profondità, di amare con generosità» (LS 47).
2. L’iniquità con cui vengono affrontati i drammi dei poveri del mondo visto che «invece di risolvere i problemi dei poveri e pensare a un mondo diverso, alcuni si limitano a proporre una riduzione della natalità. Non mancano pressioni internazionali sui Paesi in via di sviluppo che condizionano gli aiuti economici a determinate politiche di “salute riproduttiva” (LS 50).
3. Il “debito ecologico” tra il Nord e il Sud del mondo determinato dalle «esportazioni di alcune materie prime per soddisfare i mercati nel Nord industrializzato hanno prodotto danni locali, come l’inquinamento da mercurio nelle miniere d’oro o da diossido di zolfo in quelle di rame. In modo particolare c’è da calcolare l’uso dello spazio ambientale di tutto il pianeta per depositare rifiuti gassosi che sono andati accumulandosi durante due secoli e hanno generato una situazione che ora colpisce tutti i Paesi del mondo. Il riscaldamento causato dall’enorme consumo di alcuni Paesi ricchi ha ripercussioni nei luoghi più poveri della terra, specialmente in Africa, dove l’aumento della temperatura unito alla siccità ha effetti disastrosi sul rendimento delle coltivazioni. A questo si uniscono i danni causati dall’esportazione verso i Paesi in via di sviluppo di rifiuti solidi e liquidi tossici e dall’attività inquinante di imprese che fanno nei Paesi meno sviluppati ciò che non possono fare nei Paesi che apportano loro capitale» (LS 51).
4. Lo sfruttamento dei popoli del Terzo Mondo che hanno «le riserve più importanti della biosfera» ma che continuano, loro malgrado, «ad alimentare lo sviluppo dei Paesi più ricchi a prezzo del loro presente e del loro futuro» (LS 52).

Non bisogna arrendersi «La speranza ci invita a riconoscere che c’è sempre una via di uscita»

Queste ingiustizie sono contrastate con reazioni deboli e pressoché insignificanti (LS 53-59) anche perché non si vuole considerarle con la giusta attenzione. «Da un estremo, alcuni sostengono ad ogni costo il mito del progresso e affermano che i problemi ecologici si risolveranno semplicemente con nuove applicazioni tecniche, senza considerazioni etiche né cambiamenti di fondo. Dall’altro estremo, altri ritengono che la specie umana, con qualunque suo intervento, può essere solo una minaccia e compromettere l’ecosistema mondiale, per cui conviene ridurre la sua presenza sul pianeta e impedirle ogni tipo di intervento. Fra questi estremi, la riflessione dovrebbe identificare possibili scenari futuri, perché non c’è un’unica via di soluzione. Questo lascerebbe spazio a una varietà di apporti che potrebbero entrare in dialogo in vista di risposte integrali» (LS 60). Non bisogna arrendersi «La speranza ci invita a riconoscere che c’è sempre una via di uscita, che possiamo sempre cambiare rotta, che possiamo sempre fare qualcosa per risolvere i problemi» (LS 61).

Viviamo in un mondo sovrappopolato?

Papa Francesco evidenzia che alcune correnti ambientaliste da decenni sostengono che il mondo è sull’orlo del baratro a causa della sovrappopolazione. È doveroso rilevare che tra quanti si sono pronunciati con toni allarmistici a proposito della crescita demografica dell’ultimo secolo troviamo anche illustri personaggi. I “rimedi” che propongono per arginare il temuto incremento demografico hanno spesso dell’incredibile.

Gli incredibili “rimedi” per arginare il temuto incremento demografico

Il principe FILIPPO di Edimburgo ad esempio ha dichiarato ad un’agenzia di stampa tedesca: «Nel caso io rinasca, mi piacerebbe essere un virus letale, così da contribuire a risolvere il problema della sovrappopolazione» (Deutsche Press Agentur, agosto 1988).
Konrad LORENZ, noto fondatore dell’etologia e premio Nobel per la medicina nel 1973, ha asserito: «Contro la sovrappopolazione l’umanità non ha mai intrapreso nulla di sensato. Si potrebbe perciò avere una certa simpatia per l’AIDS. È una minaccia che potrebbe decimare l’umanità ed impedirle altre imprese minacciose» (BLONDET M., «Hitler, un si all’aborto che precorre Il Cairo», in Avvenire, 14 Agosto 1994, 4).
Il famoso ambientalista Jacques COUSTEAU, a seguito del tifone che nel 1991 ha devasto il Bangladesh, ha affermato: «Non date la colpa al mare. La vera tragedia del Bangladesh sono gli uomini, una popolazione incontenibile […]. Dovremo essere in 700 milioni in tutto, allora si che la vita sulla Terra diventerebbe paradisiaca. Per stabilizzare la popolazione mondiale, dobbiamo eliminare 350 mila persone al giorno. È una cosa terribile a dirsi, ma è anche peggio non dirla» (F. MALASPINA, «I limiti del sottosviluppo», in Zenit, 8 luglio 2008).
Ancora nel Terzo Millennio sono molti coloro che si mantengono sui binari dell’ideologia catastrofista e auspicano una repentina diminuzione della popolazione. A conferma cito Eric R. PIANKA, zoologo evoluzionista dell’Università di Austin in Texas. È sua convinzione che sulla Terra può vivere decorosamente solo il 10% dell’attuale popolazione. Durante la relazione tenuta al Texas Academy of Science nel marzo del 2006, ha proposto di modificare in laboratorio il virus dell’Ebola per renderlo ancora più contagioso, quindi atto a ridurre drasticamente e in breve tempo gli abitanti del pianeta (WATSON P. J., «Top scientist advocates mass culling of 90% human population», in PrisonPlanet, 3 aprile 2006).
Il 25 novembre 2013 in un editoriale del Corriere della Sera dal titolo «Una modernità fuori misura» il noto politologo Giovanni SARTORI si è sentito in dovere di esporre l’opinione secondo cui «stiamo inquinando l’atmosfera, stiamo avvelenando l’aria che respiriamo e, al contempo, stiamo destabilizzando il clima […]. L’unica cura ancora a nostra disposizione è di ridurre la popolazione e con essa ridurre l’emissione di gas serra e la conseguente concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera».
Molti scienziati hanno raggiunto durante le loro ricerche ben altre consapevolezze. Dati alla mano, osservano con sempre maggiore convinzione che gli squilibri ambientali non sono determinati dalla densità della popolazione, ma dagli inadeguati e ingiusti sistemi sociali vigenti. Menziono tra i tanti che si sono impegnati a sviscerare scientificamente la questione, il premio Nobel per l’economia Angus DEATON. Nel libro La grande fuga, Il Mulino 2015, denota tra l’altro: «A dispetto dei profeti di sventura, l’esplosione della popolazione non ha precipitato il mondo nella carestia e nella miseria più nera. Anzi, l’ultimo mezzo secolo ha visto non solo la riduzione della mortalità che ha prodotto l’esplosione, ma anche una fuga di massa proprio da quella povertà e quelle privazioni che avrebbero dovuto essere causate dall’aumento della popolazione stessa».
Osservazioni simili propone anche Erle C. ELLIS, professore associato di Geografia e Sistemi ambientali presso l’Università del Maryland. In un articolo comparso sul New York Times del 13 settembre 2013 con il titolo «Overpopulation Is Not the Problem» rileva che l’idea secondo cui gli esseri umani stanno superando la capacità di carico naturale della terra è «una sciocchezza. Queste affermazioni dimostrano una profonda incomprensione dell’ecologia dei sistemi umani. Le condizioni che sostengono l’umanità non sono naturali e non lo sono mai state. Fin dalla preistoria, le popolazioni umane hanno usato le tecnologie e gli ecosistemi ingegnerizzati per sostenere le popolazioni ben oltre le capacità degli inalterati ecosistemi “naturali”».
Potrà stupire, ma anche Umberto VERONESI nella rubrica che tiene abitualmente sul settimanale Oggi ha affermato che i catastrofisti sono in malafede «perché grazie alla scienza c’è uno sviluppo “sostenibile” che può consentire la vita a tutti quanti» (VERONESI U., «Un mondo senza fame? Con la scienza si può», in Oggi, 26 settembre 2014).

È importante notare che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite dal settembre scorso ha reso operativi gli “Obiettivi di sviluppo sostenibile” che dovranno essere realizzati entro il 2030 con la collaborazione di Istituzioni statali, organizzazioni della società civile, accademici e scienziati. Secondo la nobile istituzione, sono 17 gli intenti da attuare. Prevedono il ripristino degli ecosistemi, lo sradicamento della povertà, la possibilità di garantire vita sana, pace, educazione, dignità, l’accesso alle fonti energetiche, un adeguato nutrimento e acqua per tutti. Purtroppo però nel documento permane la convinzione che sia necessario ridurre le nascite. Il protocollo ideato prevede pertanto la diffusione della contraccezione e dell’aborto chimico e chirurgico.

Papa FRANCESCO dal canto suo scrive al paragrafo 50 dell’Enciclica:

«Invece di risolvere i problemi dei poveri e pensare a un mondo diverso, alcuni si limitano a proporre una riduzione della natalità»

Invece di risolvere i problemi dei poveri e pensare a un mondo diverso, alcuni si limitano a proporre una riduzione della natalità. Non mancano pressioni internazionali sui Paesi in via di sviluppo che condizionano gli aiuti economici a determinate politiche di “salute riproduttiva”. Però, “se è vero che l’ineguale distribuzione della popolazione e delle risorse disponibili crea ostacoli allo sviluppo e ad un uso sostenibile dell’ambiente, va riconosciuto che la crescita demografica è pienamente compatibile con uno sviluppo integrale e solidale”. Incolpare l’incremento demografico e non il consumismo estremo e selettivo di alcuni, è un modo per non affrontare i problemi. Si pretende così di legittimare l’attuale modello distributivo, in cui una minoranza si crede in diritto di consumare in una proporzione che sarebbe impossibile generalizzare, perché il pianeta non potrebbe nemmeno contenere i rifiuti di un simile consumo. Inoltre, sappiamo che si spreca approssimativamente un terzo degli alimenti che si producono, e “il cibo che si butta via è come se lo si rubasse dalla mensa del povero”. Ad ogni modo, è certo che bisogna prestare attenzione allo squilibrio nella distribuzione della popolazione sul territorio, sia a livello nazionale sia a livello globale, perché l’aumento del consumo porterebbe a situazioni regionali complesse, per le combinazioni di problemi legati all’inquinamento ambientale, ai trasporti, allo smaltimento dei rifiuti, alla perdita di risorse, alla qualità della vita.

 

4 i punti alla FAO per risolvere il problema della fame nel mondo senza arrivare a minacciare la vita nascente

Il 20 novembre 2014, alcuni mesi prima della pubblicazione della Laudato si’, nel discorso tenuto alla sede romana della FAO, aveva dato chiare indicazioni per risolvere il problema della fame nel mondo senza arrivare a minacciare la vita umana nascente. È opportuno rileggere queste sue affermazioni. Le sintetizzo in quattro punti. Possono diventare fonte di meditazione e di verifica del modo di gestire i beni che abbiamo a disposizione.

1. Evitare lo spreco. «C’è cibo per tutti, ma non tutti possono mangiare, mentre lo spreco, lo scarto, il consumo eccessivo e l’uso di alimenti per altri fini sono davanti ai nostri occhi. Questo è il paradosso! Purtroppo questo “paradosso” continua a essere attuale. Ci sono pochi temi sui quali si sfoderano tanti sofismi come su quello della fame; e pochi argomenti tanto suscettibili di essere manipolati dai dati, dalle statistiche, dalle esigenze di sicurezza nazionale, dalla corruzione o da un richiamo doloroso alla crisi economica. Questa è la prima sfida che bisogna superare».

2. Favorire la solidarietà. «La seconda sfida che si deve affrontare è la mancanza di solidarietà. Una parola che abbiamo inconsciamente il sospetto di dover togliere dal dizionario. Le nostre società sono caratterizzate da un crescente individualismo e dalla divisione; ciò finisce col privare i più deboli di una vita degna e con il provocare rivolte contro le istituzioni. Quando manca la solidarietà in un paese, ne risentono tutti. Di fatto, la solidarietà è l’atteggiamento che rende le persone capaci di andare incontro all’altro e di fondare i propri rapporti reciproci su quel sentimento di fratellanza che va al di là delle differenze e dei limiti, e spinge a cercare insieme il bene comune».

3. Rispettarsi reciprocamente. «Gli esseri umani, nella misura in cui prendono coscienza di essere parte responsabile del disegno della creazione, diventano capaci di rispettarsi reciprocamente, invece di combattere tra loro, danneggiando e impoverendo il pianeta. Anche agli Stati, concepiti come comunità di persone e di popoli, viene chiesto di agire di comune accordo, di essere disposti ad aiutarsi gli uni gli altri mediante i principi e le norme che il diritto internazionale mette a loro disposizione. Una fonte inesauribile d’ispirazione è la legge naturale, iscritta nel cuore umano, che parla un linguaggio che tutti possono capire: amore, giustizia, pace, elementi inseparabili tra loro […]».

4. Attenzione ai poveri. «Ogni donna, uomo, bambino, anziano deve poter contare su queste garanzie dovunque. Ed è dovere di ogni Stato, attento al benessere dei suoi cittadini, sottoscriverle senza riserve, e preoccuparsi della loro applicazione. Ciò richiede perseveranza e sostegno. La Chiesa cattolica cerca di offrire anche in questo campo il proprio contributo, mediante un’attenzione costante alla vita dei poveri, dei bisognosi in ogni parte del pianeta; su questa stessa linea si muove il coinvolgimento attivo della Santa Sede nelle organizzazioni internazionali e con i suoi molteplici documenti e dichiarazioni. S’intende in tal modo contribuire a identificare e adottare i criteri che devono realizzare lo sviluppo di un sistema internazionale equo. Sono criteri che, sul piano etico, si basano su pilastri come la verità, la libertà, la giustizia e la solidarietà; allo stesso tempo, in campo giuridico, questi stessi criteri includono la relazione tra il diritto all’alimentazione e il diritto alla vita e a un’esistenza degna».

Il Vangelo della Creazione

Il secondo capitolo della Laudato si’ occupa i paragrafi 62-100 e propone sette piste di riflessione.
Nella prima Papa Francesco ricorda che, anche se ha l’intento di rivolgersi a tutta la famiglia umana, non può esimersi dal proporre una lettura credente della creazione. Lo fa nella consapevolezza che ogni uomo può trarre non solo dalla scienza, ma da ogni saggezza, anche quella religiosa, strumenti utili per individuare soluzioni atte a contrastare la crisi ambientale (LS 63).

Nella seconda specifica che la tradizione biblica indica «motivazioni alte per prendersi cura della natura e dei fratelli e sorelle più fragili» (LS 65). Gli stessi racconti della creazione «contengono, nel loro linguaggio simbolico e narrativo, profondi insegnamenti sull’esistenza umana e la sua realtà storica. Questi racconti suggeriscono che l’esistenza umana si basa su tre relazioni fondamentali strettamente connesse: la relazione con Dio, quella con il prossimo e quella con la terra. Secondo la Bibbia, queste tre relazioni vitali sono rotte, non solo fuori, ma anche dentro di noi. Questa rottura è il peccato. L’armonia tra il Creatore, l’umanità e tutto il creato è stata distrutta per avere noi preteso di prendere il posto di Dio, rifiutando di riconoscerci come creature limitate. Questo fatto ha distorto anche la natura del mandato di soggiogare la terra (cfr Gen 1,28) e di coltivarla e custodirla (cfr Gen 2,15). Come risultato, la relazione originariamente armonica tra essere umano e natura si è trasformata in un conflitto (cfr Gen 3,17-19). Per questo è significativo che l’armonia che san Francesco d’Assisi viveva con tutte le creature sia stata interpretata come una guarigione di tale rottura. San Bonaventura disse che attraverso la riconciliazione universale con tutte le creature in qualche modo Francesco era riportato allo stato di innocenza originaria» (par. 66).

A differenza di quanto spesso si asserisce, la tradizione ebraico-cristiana non invita a sfruttare in modo selvaggio la natura, ma a «”coltivare e custodire” il giardino del mondo (cfr Gen 2,15). Mentre “coltivare” significa arare o lavorare un terreno, “custodire” vuol dire proteggere, curare, preservare, conservare, vigilare. Ciò implica una relazione di reciprocità responsabile tra essere umano e natura. Ogni comunità può prendere dalla bontà della terra ciò di cui ha bisogno per la propria sopravvivenza, ma ha anche il dovere di tutelarla e garantire la continuità della sua fertilità per le generazioni future. In definitiva, “del Signore è la terra” (Sal 24,1), a Lui appartiene “la terra e quanto essa contiene” (Dt 10,14). Perciò Dio nega ogni pretesa di proprietà assoluta: “Le terre non si potranno vendere per sempre, perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti” (Lv 25,23)» (LS 67). Tale responsabilità implica il rispetto

delle leggi della natura e i delicati equilibri tra gli esseri di questo mondo» (LS 68) perché il rifiuto di coltivare e mantenere una relazione corretta con l’ambiente «distrugge la mia relazione interiore con me stesso, con gli altri, con Dio e con la terra. Quando tutte queste relazioni sono trascurate, quando la giustizia non abita più sulla terra, la Bibbia ci dice che tutta la vita è in pericolo. Questo è ciò che ci insegna il racconto di Noè, quando Dio minaccia di spazzare via l’umanità per la sua persistente incapacità di vivere all’altezza delle esigenze della giustizia e della pace (Gen 6,13) (LS 70).

I salmi e gli scritti dei profeti invitano invece ad accogliere l’amore divino che si manifesta nell’armonia del Creato, a lodarlo ed adorarlo (LS 72-73). Se così non fosse, «finiremmo per adorare altre potenze del mondo, o ci collocheremmo al posto del Signore, fino a pretendere di calpestare la realtà creata da Lui senza conoscere limite. Il modo migliore per collocare l’essere umano al suo posto e mettere fine alla sua pretesa di essere un dominatore assoluto della terra, è ritornare a proporre la figura di un Padre creatore e unico padrone del mondo, perché altrimenti l’essere umano tenderà sempre a voler imporre alla realtà le proprie leggi e i propri interessi» (LS 75).

Nella terza pista di riflessione il Papa invita a riconoscere che «per la tradizione giudeo-cristiana, dire “creazione” è più che dire natura, perché ha a che vedere con un progetto dell’amore di Dio, dove ogni creatura ha un valore e un significato. La natura viene spesso intesa come un sistema che si analizza, si comprende e si gestisce, ma la creazione può essere compresa solo come un dono che scaturisce dalla mano aperta del Padre di tutti, come una realtà illuminata dall’amore che ci convoca ad una comunione universale» (LS 76).
Il pensiero ebraico-cristiano inoltre «ha demitizzato la natura. Senza smettere di ammirarla per il suo splendore e la sua immensità, non le ha più attribuito un carattere divino». Ne deriva che «un ritorno alla natura non può essere a scapito della libertà e della responsabilità dell’essere umano, che è parte del mondo con il compito di coltivare le proprie capacità per proteggerlo e svilupparne le potenzialità. Se riconosciamo il valore e la fragilità della natura, e allo stesso tempo le capacità che il Creatore ci ha dato, questo ci permette oggi di porre fine al mito moderno del progresso materiale illimitato. Un mondo fragile, con un essere umano al quale Dio ne affida la cura, interpella la nostra intelligenza per riconoscere come dovremmo orientare, coltivare e limitare il nostro potere» (LS 78). La fiducia che Dio ci ha accordato può anche essere spesa male e «può aggiungere nuovi mali, nuove cause di sofferenza e momenti di vero arretramento» (LS 79). Ciò nonostante egli «vuole agire con noi e contare sulla nostra collaborazione» e trae «qualcosa di buono dai mali che noi compiamo, perché “lo Spirito Santo possiede un’inventiva infinita, propria della mente divina, che sa provvedere a sciogliere i nodi delle vicende umane anche più complesse e impenetrabili”» (LS 80).

Nella quarta pista di riflessione invita a riconoscere che «ogni creatura ha una funzione e nessuna è superflua» (LS 84) ed ogni cosa è segno del progetto amoroso di Dio (LS 86). Questa consapevolezza spinge naturalmente ad «adorare il Signore per tutte le sue creature» come fece san Francesco d’Assisi con il suo bellissimo cantico (LS 87). Ringraziare il Signore però non equivale ad idolatrare le sue creature perché «le cose di questo mondo non possiedono la pienezza di Dio» (LS 88).

Nella quinta pista di riflessione il Papa evidenzia che ogni realtà creata trova il suo senso in Dio e il mancare di rispetto anche ad una sola creatura diventa fonte di degradazione e di perturbazione della dignità per l’uomo. Questa consapevolezza però non deve portare ad «equiparare tutti gli esseri viventi e togliere all’essere umano quel valore peculiare che implica allo stesso tempo una tremenda responsabilità. E nemmeno comporta una divinizzazione della terra, che ci priverebbe della chiamata a collaborare con essa e a proteggere la sua fragilità» (LS 90). La cura che si deve avere per tutti gli esseri viventi non ci deve distogliere quindi dall’impegno a «difendere la pari dignità tra gli esseri umani […]. Ci dovrebbero indignare soprattutto le enormi disuguaglianze che esistono tra di noi […]. Non ci accorgiamo più che alcuni si trascinano in una miseria degradante, senza reali possibilità di miglioramento, mentre altri non sanno nemmeno che farsene di ciò che possiedono, ostentano con vanità una pretesa superiorità e lasciano dietro di sé un livello di spreco tale che sarebbe impossibile generalizzarlo senza distruggere il pianeta. Continuiamo nei fatti ad ammettere che alcuni si sentano più umani di altri, come se fossero nati con maggiori diritti» (LS 90). Il Papa per aiutare a capire questa aporia pone un esempio: «È evidente l’incoerenza di chi lotta contro il traffico di animali a rischio di estinzione, ma rimane del tutto indifferente davanti alla tratta di persone, si disinteressa dei poveri, o è determinato a distruggere un altro essere umano che non gli è gradito. Ciò mette a rischio il senso della lotta per l’ambiente» (LS 91).

Nella sesta pista di riflessione tratta il tema della destinazione comune dei beni, tema tipico della morale sociale. Osserva che la terrà è un bene di tutti «perché Dio ha creato il mondo per tutti» (LS 93). La proprietà pertanto non è un diritto assoluto e intoccabile perché su ogni proprietà «grava sempre un’ipoteca sociale» (LS 93). Chi possiede una parte dell’ambiente deve offrirlo cioè a beneficio di tutti perché «se non lo facciamo, ci carichiamo sulla coscienza il peso di negare l’esistenza degli altri.
Per questo i Vescovi della Nuova Zelanda si sono chiesti che cosa significa il comandamento “non uccidere” quando “un venti per cento della popolazione mondiale consuma risorse in misura tale da rubare alle nazioni povere e alle future generazioni ciò di cui hanno bisogno per sopravvivere”» (LS 95).

La settima ed ultima pista di riflessione invita a porre lo sguardo su Gesù per mezzo del quale tutte le cose sono state create (Col 1,16; Gv 1,1-18). Egli a più riprese ha ricordato che il Padre ama tutte le creature (Lc 12,6; Mt 6,26), ha invitato a contemplare la natura (Gv 4,35) di cui si è dimostrato Signore (Mt 8,27) e non ha mai sostenuto le «filosofie che disprezzavano il corpo, la materia e le realtà di questo mondo» (LS 98). Egli inoltre «lavorava con le sue mani, prendendo contatto quotidiano con la materia creata da Dio per darle forma con la sua abilità di artigiano» (LS 98).
È ancora più notevole costatare che «il Nuovo Testamento non solo ci parla del Gesù terreno e della sua relazione tanto concreta e amorevole con il mondo. Lo mostra anche risorto e glorioso, presente in tutto il creato con la sua signoria universale: “È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli” (Col 1,19-20). Questo ci proietta alla fine dei tempi, quando il Figlio consegnerà al Padre tutte le cose, così che “Dio sia tutto in tutti” (1Cor 15,28). In tal modo, le creature di questo mondo non ci si presentano più come una realtà meramente naturale, perché il Risorto le avvolge misteriosamente e le orienta a un destino di pienezza. Gli stessi fiori del campo e gli uccelli che Egli contemplò ammirato con i suoi occhi umani, ora sono pieni della sua presenza luminosa» (LS 100).

La radice umana della crisi ecologica

«A nulla servirà descrivere i sintomi, se non riconosciamo la radice umana della crisi ecologica»

Il terzo capitolo inizia sostenendo: «A nulla servirà descrivere i sintomi, se non riconosciamo la radice umana della crisi ecologica» (LS 101). Tale crisi è causata dalla tendenza diffusa ad accettare acriticamente lo sviluppo tecnologico. Questo procedere pone l’umanità di fronte ad un bivio. Se da un lato, infatti, non si può non apprezzare gli enormi benefici che la tecnica ha prodotto per il miglioramento del livello della qualità della vita, dall’altro canto risulta evidente che tale incremento può diventare la fonte di un pericoloso dominio.

Sono, infatti, segno di un notevole beneficio per l’umanità le nuove possibilità date dal potenziamento della medicina, dell’ingegneria e delle comunicazioni. È altrettanto importante l’elaborazione di alternative valide per favorire lo sviluppo sostenibile e l’impegno ad incrementare tutto ciò che favorisce la ricerca della bellezza nelle arti e nella cultura.
Non si può però dimenticare che l’energia nucleare, le biotecnologie, l’informatica, la genetica, messe nelle mani di un potere economico-politico senza scrupoli, possono diventare fonte di innumerevoli problemi. Basti ricordare a conferma «le bombe atomiche lanciate in pieno XX secolo, come il grande spiegamento di tecnologia ostentato dal nazismo, dal comunismo e da altri regimi totalitari al servizio dello sterminio di milioni di persone» (LS 104).

«Non si può continuare a sostenere che ogni nuova acquisizione tecnologica costituisca senza riserve una fonte di progresso»

Di fronte a questi rischi, non si può continuare a sostenere che ogni nuova acquisizione tecnologica costituisca senza riserve una fonte di progresso. Molti continuano a pensare così solo perché non sono stati educati al «retto uso della potenza» (LS 105). È evidente che «l’immensa crescita tecnologica non è stata accompagnata da uno sviluppo dell’essere umano per quanto riguarda la responsabilità, i valori e la coscienza […] dei propri limiti» (LS 105) con il conseguente «rischio di faticare a comprendere «la serietà delle sfide che si presentano» (LS 105).
Questa difficoltà, infatti, non è pienamente percepita quando la libertà si consegna «alle forze cieche dell’inconscio, dei bisogni immediati, dell’egoismo, della violenza brutale» (LS 105). Quando ciò accade, l’uomo si trova «nudo ed esposto di fronte al suo stesso potere che continua a crescere, senza avere gli strumenti per controllarlo. Può disporre di meccanismi superficiali, ma possiamo affermare che gli mancano un’etica adeguatamente solida, una cultura e una spiritualità che realmente gli diano un limite e lo contengano entro un lucido dominio di sé» (LS 105).

 

Globalizzazione del paradigma tecnocratico

Il Papa sviluppa questo suo pensiero nelle due parti successive del terzo capitolo. Nella prima (LS 106-114) riflette sulla globalizzazione del paradigma tecnocratico. Nota che è particolarmente problematico il modo ingenuo con il quale l’umanità ha assunto la tecnologia. Da sempre – continua il Papa – l’uomo è intervenuto sulla natura. Nei tempi passati però ha agito con lo scopo «di accompagnare, di assecondare le possibilità offerte dalle cose stesse» (LS 106). Ora, invece, «ciò che interessa è estrarre tutto ciò che è possibile dalle cose attraverso l’imposizione della mano umana» (LS 106).
Alla base di questo procedere c’è l’irrealistica opinione che si debba disporre in modo illimitato dei beni limitati della terra (LS 106). Tale ingenuità ha determinato il fatto che «l’essere umano e le cose hanno cessato di darsi amichevolmente la mano diventando dei contendenti» (LS 106).

Le conseguenze sono notevoli. Assistiamo, infatti, al continuo degrado dell’ambiente, al condizionamento degli stili di vita, al dominio di gruppi di potere capaci di influenzare le scelte economiche e politiche, al consumismo sfrenato occidentale, contrapposto all’estrema povertà dei paesi del Terzo e Quarto Mondo, all’emarginazione della filosofia e dell’etica dalle scelte del vivere sociale (LS 107-110).

Una sana cultura ecologica

È necessario correre al più presto ai ripari con una sana cultura ecologica che non si accontenti di rispondere alle emergenze ambientali, ma che proponga un diverso pensiero politico, un più accorto programma educativo, un nuovo stile di vita capace di favorire «un altro tipo di progresso, più sano, più umano, più sociale e più integrale» (LS 112).
Questa nuova sensibilità si attua già – ricorda il Papa – «quando comunità di piccoli produttori optano per sistemi di produzione meno inquinanti, sostenendo un modello di vita, di felicità e di convivialità non consumistico. O quando la tecnica si orienta prioritariamente a risolvere i problemi concreti degli altri, con l’impegno di aiutarli a vivere con più dignità e meno sofferenze. E ancora quando la ricerca creatrice del bello e la sua contemplazione riescono a superare il potere oggettivante in una sorta di salvezza che si realizza nel bello e nella persona che lo contempla» (LS 112).

Affinché questa mentalità si diffonda, è necessario proporre una «coraggiosa rivoluzione culturale» che non significa «tornare all’epoca delle caverne» ma «rallentare la marcia per guardare la realtà in un altro modo, raccogliere gli sviluppi positivi e sostenibili, e al tempo stesso recuperare i valori e i grandi fini distrutti da una sfrenatezza megalomane» (LS 114).

Eccesso di antropocentrismo che rende autoreferenziali

Nell’ultima parte del capitolo il Papa evidenzia che oggi si sta verificando un eccesso di antropocentrismo che rende autoreferenziali, centrati unicamente sul proprio sé e sul proprio potere (LS 116). Ne deriva una logica dell’«usa e getta» che «produce tanti rifiuti solo per il desiderio disordinato di consumare più di quello di cui realmente si ha bisogno» (LS 123).
In modo ancor più allarmante, lo scarto

spinge una persona ad approfittare di un’altra e a trattarla come un mero oggetto, obbligandola a lavori forzati, o riducendola in schiavitù a causa di un debito. È la stessa logica che porta a sfruttare sessualmente i bambini, o ad abbandonare gli anziani che non servono ai propri interessi. È anche la logica interna di chi afferma: “lasciamo che le forze invisibili del mercato regolino l’economia, perché i loro effetti sulla società e sulla natura sono danni inevitabili”. Se non ci sono verità oggettive né principi stabili, al di fuori della soddisfazione delle proprie aspirazioni e delle necessità immediate, che limiti possono avere la tratta degli esseri umani, la criminalità organizzata, il narcotraffico, il commercio di diamanti insanguinati e di pelli di animali in via di estinzione? Non è la stessa logica relativista quella che giustifica l’acquisto di organi dei poveri allo scopo di venderli o di utilizzarli per la sperimentazione, o lo scarto di bambini perché non rispondono al desiderio dei loro genitori? È la stessa logica “usa e getta” che produce tanti rifiuti solo per il desiderio disordinato di consumare più di quello di cui realmente si ha bisogno. E allora non possiamo pensare che i programmi politici o la forza della legge basteranno ad evitare i comportamenti che colpiscono l’ambiente, perché quando è la cultura che si corrompe e non si riconosce più alcuna verità oggettiva o principi universalmente validi, le leggi verranno intese solo come imposizioni arbitrarie e come ostacoli da evitare (LS 123).

 

Subito dopo sono affrontate due questioni cruciali. La prima riguarda il lavoro. Il Papa sostiene:

«Rinunciare ad investire sulle persone per ottenere un maggior profitto immediato è un pessimo affare per la società»

Non si deve cercare di sostituire sempre più il lavoro umano con il progresso tecnologico: così facendo l’umanità danneggerebbe sé stessa. Il lavoro è una necessità, è parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano e di realizzazione personale. In questo senso, aiutare i poveri con il denaro dev’essere sempre un rimedio provvisorio per fare fronte a delle emergenze. Il vero obiettivo dovrebbe sempre essere di consentire loro una vita degna mediante il lavoro. Tuttavia l’orientamento dell’economia ha favorito un tipo di progresso tecnologico finalizzato a ridurre i costi di produzione in ragione della diminuzione dei posti di lavoro, che vengono sostituiti dalle macchine. È un ulteriore modo in cui l’azione dell’essere umano può volgersi contro sé stesso. La riduzione dei posti di lavoro “ha anche un impatto negativo sul piano economico, attraverso la progressiva erosione del ‘capitale sociale’, ossia di quell’insieme di relazioni di fiducia, di affidabilità, di rispetto delle regole, indispensabili ad ogni convivenza civile”. In definitiva “i costi umani sono sempre anche costi economici e le disfunzioni economiche comportano sempre anche costi umani”. Rinunciare ad investire sulle persone per ottenere un maggior profitto immediato è un pessimo affare per la società (LS 128).

OGM: riflessione su vantaggi e limiti

L’ultima parte del capitolo è dedicata essenzialmente a riflettere sui vantaggi e sui limiti determinati dall’uso degli OGM (LS 132-136). Il Papa precisa che è «una questione di carattere complesso» (par. 135) per cui è particolarmente difficile «dare un giudizio adeguato» (LS 133). In alcuni regioni, infatti, «il loro utilizzo ha prodotto una crescita economica che ha contribuito a risolvere alcuni problemi» (LS 134). Sussistono peraltro significative difficoltà «che non devono essere minimizzate» (LS 134). Prima tra tutte, la «concentrazione di terre produttive nelle mani di pochi» (LS 134). Permane poi il dubbio che possano provocare danni alla salute dell’uomo. Per questo auspica che si favorisca «un dibattito scientifico e sociale che sia responsabile e ampio, in grado di considerare tutta l’informazione disponibile e di chiamare le cose con il loro nome» a partire da «linee di ricerca autonoma e interdisciplinare» (LS 135).

Un’ecologia integrale

Il quarto capitolo dell’Enciclica presenta dal titolo il tema dell’ecologia integrale. Questa espressione ricorre per ben altre nove volte nel documento e rappresenta la prospettiva focale su cui si regge tutto il documento nella convinzione che non possiamo «considerare la natura come qualcosa separato da noi o come una mera cornice della nostra vita» (LS 139).

In un articolo di Giacomo COSTA e Paolo FOGLIZZO, pubblicato sul fascicolo 8-9/2015 di Aggiornamenti Sociali, si legge a proposito:

Papa Francesco assume il termine “ecologia” non nel significato generico e spesso superficiale di una qualche preoccupazione “verde”, ma in quello ben più profondo di approccio a tutti i sistemi complessi la cui comprensione richiede di mettere in primo piano la relazione delle singole parti tra loro e con il tutto. Il riferimento è all’immagine di ecosistema. L’ecologia integrale diventa così il paradigma capace di tenere insieme fenomeni e problemi ambientali (riscaldamento globale, inquinamento, esaurimento delle risorse, deforestazione, ecc.) con questioni che normalmente non sono associate all’agenda ecologica in senso stretto, come la vivibilità e la bellezza degli spazi urbani o il sovraffollamento dei trasporti pubblici. Ancora di più, l’attenzione ai legami e alle relazioni consente di utilizzare l’ecologia integrale anche per leggere il rapporto con il proprio corpo (LS 155), o le dinamiche sociali e istituzionali a tutti i livelli (LS 142). Si può quindi parlare di una dimensione sociale dell’ecologia, o meglio di una vera e propria “ecologia sociale”.

Le sorti dell’umanità e dell’ambiente sono intimamente legate e non è nuova nel magistero recente della Chiesa

Questa prospettiva nasce dalla convinzione che le sorti dell’umanità e dell’ambiente sono intimamente legate e non è nuova nel magistero recente della Chiesa. Già il beato PAOLO VI, nella Octogesima Adveniens pubblicata il 14 maggio 1971, al paragrafo 21 aveva osservato:

Mentre l’orizzonte dell’uomo si modifica, un’altra trasformazione si avverte, conseguenza tanto drammatica dell’attività umana. L’uomo ne prende coscienza bruscamente: attraverso uno sfruttamento sconsiderato della natura, egli rischia di distruggerla e di essere a sua volta vittima di siffatta degradazione. Non soltanto l’ambiente materiale diventa una minaccia permanente: inquinamenti e rifiuti, nuove malattie, potere distruttivo totale; ma è il contesto umano, che l’uomo non padroneggia più, creandosi così per il domani un ambiente che potrà essergli intollerabile: problema sociale di vaste dimensioni che riguarda l’intera famiglia umana. A queste nuove prospettive il cristiano deve dedicare la sua attenzione, per assumere, insieme con gli altri uomini, la responsabilità di un destino diventato ormai comune.

Il 1 giugno 1972, nel messaggio inviato in occasione dell’inaugurazione della Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente, aveva aggiunto: «Tutte le misure tecniche rimangono inefficaci se non vengono applicate con la presa di coscienza della necessità di un cambiamento radicale della mentalità […] secondo le esigenze di una vera etica […] che si basa principalmente sul rapporto tra l’uomo e il suo ambiente» (Insegnamenti X/1972, 608).

San GIOVANNI PAOLO II ha ripreso questo tema in diversi interventi ed in particolare nella Sollecitudo rei socialis (1987) e nella Centesimus annus (1991). Egli ha evidenziato che la questione ecologica ha un profondo legame con la crisi morale che l’umanità attraversa e ha espressamente parlato di “ecologia naturale”, “ecologia umana” e “ecologia sociale”. Particolarmente indicativo è al riguardo il paragrafo 34 della Sollecitudo rei socialis dove si legge: «Il dominio accordato dal Creatore all’uomo non è un potere assoluto, né si può parlare di libertà di “usare e abusare”, o di disporre delle cose come meglio aggrada. La limitazione imposta dallo stesso Creatore fin dal principio, ed espressa simbolicamente con la proibizione di “mangiare il frutto dell’albero” (Gen2,16), mostra con sufficiente chiarezza che, nei confronti della natura visibile, siamo sottomessi a leggi non solo biologiche, ma anche morali, che non si possono impunemente trasgredire». Altrettanto interessante è stato il suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 1990. Nei primi due paragrafi sostenne: «Si avverte ai nostri giorni la crescente consapevolezza che la pace mondiale sia minacciata […] anche dalla mancanza del dovuto rispetto per la natura, dal disordinato sfruttamento delle sue risorse e dal progressivo deterioramento della qualità della vita […]. Di fronte al diffuso degrado ambientale l’umanità si rende ormai conto che non si può continuare ad usare i beni della terra come nel passato […]. Sta così formandosi una coscienza ecologica, che non deve essere mortificata, ma anzi favorita, in modo che si sviluppi e maturi trovando adeguata espressione in programmi ed iniziative concrete. Non pochi valori etici, di fondamentale importanza per lo sviluppo di una società pacifica, hanno una diretta relazione con la questione ambientale»1 .

BENEDETTO XVI ha fatto proprie le istanze del predecessore. Nella Caritas in veritate ha ribadito che la questione ecologica riguarda i cristiani proprio in quanto persone di fede: «La Chiesa ha una responsabilità per il creato e deve far valere questa responsabilità anche in pubblico. E facendolo deve difendere la terra, l’acqua e l’aria come doni della creazione, appartenenti a tutti». Nell’Udienza del 26 agosto 2009 ha aggiunto: «la protezione dell’ambiente, la tutela delle risorse e del clima richiedono che i responsabili internazionali agiscano congiuntamente nel rispetto della legge e della solidarietà, soprattutto nei confronti delle regioni più deboli della terra»2.

Alla luce di questi precedenti pronunciamenti, Papa FRANCESCO inizia il quarto capitolo precisando: «Dal momento che tutto è intimamente relazionato e che gli attuali problemi richiedono uno sguardo che tenga conto di tutti gli aspetti della crisi mondiale, propongo di soffermarci adesso a riflettere sui diversi elementi di una ecologia integrale, che comprenda chiaramente le dimensioni umane e sociali» (LS 137).
Individua subito tre ambiti di riflessione. Il primo riguarda il rapporto che deve intercorrere tra cura dell’ambiente, gestione economica e vita sociale. Il Papa rileva la necessità di «cercare soluzioni integrali, che considerino le interazioni dei sistemi naturali tra loro e con i sistemi sociali. Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura» (LS 139). Ne deriva che «se tutto è in relazione, anche lo stato di salute delle istituzioni di una società comporta conseguenze per l’ambiente e per la qualità della vita umana: “Ogni lesione della solidarietà e dell’amicizia civica provoca danni ambientali”» (LS 142). Ad esempio «il consumo di droghe nelle società opulente provoca una costante o crescente domanda di prodotti che provengono da regioni impoverite, dove si corrompono i comportamenti, si distruggono vite e si finisce col degradare l’ambiente» (LS 142).
A proposito dell’ecologia culturale, segnala che «l’ecologia richiede anche la cura delle ricchezze culturali dell’umanità nel loro significato più ampio. In modo più diretto, chiede di prestare attenzione alle culture locali nel momento in cui si analizzano questioni legate all’ambiente, facendo dialogare il linguaggio tecnico-scientifico con il linguaggio popolare. È la cultura non solo intesa come i monumenti del passato, ma specialmente nel suo senso vivo, dinamico e partecipativo, che non si può escludere nel momento in cui si ripensa la relazione dell’essere umano con l’ambiente» (par. 143). Trattando poi del quotidiano, invita a produrre un miglioramento integrale della vita umana attraverso la cura delle strutture abitative, degli spazi pubblici, dei servizi urbani e rurali perché «gli ambienti in cui viviamo influiscono sul nostro modo di vedere la vita, di sentire e di agire» (LS 147).

A conclusione del capitolo, propone di valorizzare il principio del bene comune, indispensabile per un’armonica vita civile (LS 156). Citando l’insegnamento di Gaudium et spes 26, ricorda che il bene comune è «l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente». Nota che oggi «si riscontrano tante iniquità e sono sempre più numerose le persone che vengono scartate, private dei diritti umani fondamentali» (LS 158). Precisa che impegnarsi per il bene comune significa prima di tutto porre l’opzione preferenziale per i poveri (LS 158). Inoltre invita a pensare anche alle generazioni che verranno perché è iniquo «lasciare alle prossime generazioni troppe macerie, deserti e sporcizia» (LS 161). Evidenzia che «il ritmo di consumo, di spreco e di alterazione dell’ambiente ha superato le possibilità del pianeta, in maniera tale che lo stile di vita attuale, essendo insostenibile, può sfociare solamente in catastrofi, come di fatto sta già avvenendo periodicamente in diverse regioni» (LS 161).
Non è possibile continuare in questa logica perversa perché solo ponendo ora un freno e possibile attenuare gli effetti nefasti degli squilibri ambientali. Per realizzare questo progetto, bisogna contrastare l’individualismo e i tanti problemi sociali derivati dalla «ricerca egoistica della soddisfazione immediata, con le crisi dei legami familiari e sociali, con le difficoltà a riconoscere l’altro. Molte volte si è di fronte ad un consumo eccessivo e miope dei genitori che danneggia i figli, che trovano sempre più difficoltà ad acquistare una casa propria e a fondare una famiglia. Inoltre, questa incapacità di pensare seriamente alle future generazioni è legata alla nostra incapacità di ampliare l’orizzonte delle nostre preoccupazioni e pensare a quanti rimangono esclusi dallo sviluppo» (LS 162).

Alcune linee di orientamento e di azione

Il capitolo quinto offre alcune linee di orientamento e di azione nella consapevolezza che non è sufficiente individuare gli stili di vita dannosi, ma è indispensabile anche tracciare percorsi di dialogo condivisi che «aiutino ad uscire dalla spirale di autodistruzione in cui stiamo affondando» (LS 163). Papa Francesco nota che negli ultimi decenni le questioni ambientali hanno dato origine a un ampio dibattito che ha coinvolto anche istituzioni internazionali (LS 165). Particolarmente rilevanti sono stati il vertice mondiale sull’Ambiente che si è tenuto a Rio de Janeiro nel 1992, la stesura nel 1989 della Convenzione di Basilea sui rifiuti pericolosi, la Conferenza delle Nazioni Unite tenuta nel 2012 e denominata Rio+20. Ciononostante, il lavoro da compiere è ancora notevole anche perché, per mancanza di sufficiente decisione politica, permangono gravi questioni ambientali irrisolte quali le emissioni di gas inquinanti, la governance degli oceani e il riscaldamento globale (LS 175). È necessaria pertanto una diversificata strategia di superamento dell’attuale impasse.

Il Papa indica al riguardo alcune priorità.
1. Nuove politiche nazionali e locali (LS 176-181): spiega che «la società, attraverso organismi non governativi deve obbligare i governi a sviluppare normative, procedure e controlli più rigorosi. Se i cittadini non controllano il potere politico – nazionale, regionale e municipale – neppure è possibile un contrasto dei danni ambientali» (LS 179).

2. Maggiore trasparenza nei processi decisionali (LS 182-188). Ogni iniziativa imprenditoriale dovrebbe essere attuata solo dopo aver condotto un attento discernimento guidato da alcune essenziali domande: «Per quale scopo? Per quale motivo? Dove? Quando? In che modo? A chi è diretto? Quali sono i rischi? A quale costo? Chi paga le spese e come lo farà?» (LS 185).

3. Disponibilità al dialogo tra economia e politica (LS 189-198). È necessario «evitare una concezione magica del mercato, che tende a pensare che i problemi si risolvano solo con la crescita dei profitti delle imprese o degli individui» (LS 190). Abbiamo bisogno – continua il Papa – di una politica che pensi con una visione ampia, e che porti avanti un nuovo approccio integrale, includendo, in un dialogo interdisciplinare, i diversi aspetti della crisi» (LS 198).

4. Dialogo delle religioni con le scienze (LS 199-201). Il Papa al riguardo osserva: «La maggior parte degli abitanti del pianeta si dichiarano credenti, e questo dovrebbe spingere le religioni ad entrare in un dialogo tra loro orientato alla cura della natura, alla difesa dei poveri, alla costruzione di una rete di rispetto e di fraternità. È indispensabile anche un dialogo tra le stesse scienze, dato che ognuna è solita chiudersi nei limiti del proprio linguaggio, e la specializzazione tende a diventare isolamento e assolutizzazione del proprio sapere. Questo impedisce di affrontare in modo adeguato i problemi dell’ambiente. Ugualmente si rende necessario un dialogo aperto e rispettoso tra i diversi movimenti ecologisti, fra i quali non mancano le lotte ideologiche. La gravità della crisi ecologica esige da noi tutti di pensare al bene comune e di andare avanti sulla via del dialogo che richiede pazienza, ascesi e generosità, ricordando sempre che “la realtà è superiore all’idea” (EG, 231)» (LS 201).

Educazione e spiritualità ecologica

Il sesto e ultimo capitolo è molto ricco di spunti pratici per andare oltre al degrado contemporaneo e «ritornare a scegliere il bene e rigenerarsi, al di là di qualsiasi condizionamento psicologico e sociale» (LS 205). Sono necessari – precisa il Papa – nuove convinzioni, nuovi atteggiamenti e nuovi stili di vita atti a promuovere processi di rigenerazione culturale, spirituale ed educativa (LS 202). L’Enciclica propone al riguardo alcuni ineliminabili passaggi.

Nuovi stili di vita, atteggiamenti, convinzioni

1. Educare all’alleanza tra l’umanità e l’ambiente (LS 209-215). Si deve creare una “cittadinanza ecogica” formata da diversi agenti educativi: scuola, famiglia, mezzi di comunicazione, catechesi, politica e associazioni (LS 213-214). In questo contesto – attesta il documento – «non va trascurata […] la relazione che c’è tra un’adeguata educazione estetica e il mantenimento di un ambiente sano» (GIOVANNI PAOLO  II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1990). Prestare attenzione alla bellezza e amarla ci aiuta ad uscire dal pragmatismo utilitaristico. Quando non si impara a fermarsi ad ammirare ed apprezzare il bello, non è strano che ogni cosa si trasformi in oggetto di uso e abuso senza scrupoli. Allo stesso tempo, se si vuole raggiungere dei cambiamenti profondi, bisogna tener presente che i modelli di pensiero influiscono realmente sui comportamenti. L’educazione sarà inefficace e i suoi sforzi saranno sterili se non si preoccupa anche di diffondere un nuovo modello riguardo all’essere umano, alla vita, alla società e alla relazione con la natura. Altrimenti continuerà ad andare avanti il modello consumistico trasmesso dai mezzi di comunicazione e attraverso gli efficaci meccanismi del mercato» (LS 215).

2. Promuovere una conversione ecologica (LS 216-221). Per alimentare la passione per la cura del creato i cristiani devono «lasciar emergere tutte le conseguenze dell’incontro con Gesù nella relazione con il mondo che li circonda» (LS 217). Papa Francesco propone una conversione personale (LS 218) che stimoli a «riconoscere i propri errori, peccati, vizi o negligenze» e una conversione comunitaria (LS 219-221) che unisca le forze per riscoprire il mondo come dono ricevuto, non dimenticare le altre creature, mettere a servizio le capacità di ciascuno, riconoscere l’ordine e il dinamismo inserito da Dio nel mondo e agire in corrispondenza.

3. Vivere nella gioia e nella pace (LS 222-227). Il documento osserva «il costante cumulo di possibilità di consumare distrae il cuore e impedisce di apprezzare ogni cosa e ogni momento. Al contrario, rendersi presenti serenamente davanti ad ogni realtà, per quanto piccola possa essere, ci apre molte più possibilità di comprensione e di realizzazione personale. La spiritualità cristiana propone una crescita nella sobrietà e una capacità di godere con poco. È un ritorno alla semplicità che ci permette di fermarci a gustare le piccole cose, di ringraziare delle possibilità che offre la vita senza attaccarci a ciò che abbiamo né rattristarci per ciò che non possediamo. Questo richiede di evitare la dinamica del dominio e della mera accumulazione di piaceri» (LS 222). Il testo aggiunge che la sobrietà è liberante (LS 224), umile (LS 224), porta pace interiore (LS 225), apre alla lode e al ringraziamento (LS 227).

4. Crescere nell’amore civile e politico (LS 228-232). L’amore per la natura – spiega – non può essere disgiunto dall’amore per gli altri perché «occorre sentire nuovamente che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che abbiamo una responsabilità verso gli altri e verso il mondo, che vale la pena di essere buoni e onesti. Già troppo a lungo siamo stati nel degrado morale, prendendoci gioco dell’etica, della bontà, della fede, dell’onestà, ed è arrivato il momento di riconoscere che questa allegra superficialità ci è servita a poco. Tale distruzione di ogni fondamento della vita sociale finisce col metterci l’uno contro l’altro per difendere i propri interessi, provoca il sorgere di nuove forme di violenza e crudeltà e impedisce lo sviluppo di una vera cultura della cura dell’ambiente» (LS 229). È invece possibile ripercorrere la piccola via dell’amore proposta da santa Teresa di Lisieux perché «un’ecologia integrale è fatta anche di semplici gesti quotidiani nei quali spezziamo la logica della violenza, dello sfruttamento, dell’egoismo» (LS 230).

5. Considerare i segni sacramentali e accogliere l’invito al riposo celebrativo (LS 233-237). Non si deve «passare dall’esteriorità all’interiorità per scoprire l’azione di Dio nell’anima» (LS 233) perché, come insegnava San GIOVANNI DELLA CROCE, «tutto quanto c’è di buono nelle cose e nelle esperienze del mondo “si trova intimamente unito in Dio in maniera infinita”» (LS 234). I sacramenti stessi sono il luogo privilegiato in cui «la natura viene assunta da Dio e trasformata in mediazione della vita soprannaturale […]. L’acqua, l’olio, il fuoco e i colori sono assunti con tutta la loro forza simbolica e si incorporano nella lode» (LS 234). In particolare nell’Eucaristia «il creato trova la sua maggiore elevazione» perché in essa è «già realizzata la pienezza, ed è il centro vitale dell’universo, il centro traboccante di amore e di vita inesauribile. Unito al Figlio incarnato, presente nell’Eucaristia, tutto il cosmo rende grazie a Dio. In effetti l’Eucaristia è di per sé un atto di amore cosmico: “Sì, cosmico! Perché anche quando viene celebrata sul piccolo altare di una chiesa di campagna, l’Eucaristia è sempre celebrata, in certo senso, sull’altare del mondo” (EE, 8). L’Eucaristia unisce il cielo e la terra, abbraccia e penetra tutto il creato» (LS 236).

6. Aprirsi alla lode per la Trinità (parr. 238-240). Credere in un Dio unico per i cristiani significa, inoltre, riconoscere che «tutta la realtà contiene in sé un’impronta propriamente trinitaria» (LS 239).

7. Guardare a Maria, regina del creato perché «nel suo corpo glorificato, insieme a Cristo risorto, parte della creazione ha raggiunto tutta la pienezza della sua bellezza» e a San Giuseppe, custode della Chiesa universale, che «può motivarci a lavorare con generosità e tenerezza per proteggere questo mondo che Dio ci ha affidato» (LS 241).

8. Operare nell’attesa dell’incontro definitivo con il Creatore (LS 243-246). L’Enciclica termina con una considerazione sul compimento ultimo che ci farà incontrare «faccia a faccia con l’infinita bellezza di Dio (cfr 1 Cor 13,12)» e farci «leggere con gioiosa ammirazione il mistero dell’universo, che parteciperà insieme a noi della pienezza senza fine» (LS 243). Perché questo si realizzi, è urgente farsi «carico di questa casa che ci è stata affidata, sapendo che ciò che di buono vi è in essa verrà assunto nella festa del cielo» (LS 244).


Note

Cfr. anche: GIOVANNI PAOLO II, Centesimus annus, 1991: 37-38; Evangelium vitae, 1995: 10.27.42; Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace (1999); Catechismo della Chiesa Cattolica, 1992: 2415; Compendio della Dottrina Sociale della  Chiesa, 2004: 451-487
Cfr anche: BENEDETTO XVI, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace (2007 e 2010); Messaggio per la Giornata Mondiale del Turismo (2008)

 

© Bioetica News Torino, Giugno 2016 - Riproduzione Vietata