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61 Settembre 2019
Speciale Tutelare la salute nel mondo di domani: Una riflessione tra Sanità, Società ed Etica

Riflessioni dell’Associazione Religiosa Istituti Socio Sanitari (ARIS)

L’A.R.I.S. (Associazione Religiosa Istituti Socio Sanitari) della Regione Piemonte, è un’associazione privata di fedeli che riunisce religiosi e laici, in rappresentanza di opere di assistenza sanitaria senza fini di lucro. Opera in conformità al Magistero della Chiesa, in particolare per quanto riguarda la tutela della vita e la dignità della persona in tutte le sue manifestazioni.
Essa agisce sotto la vigilanza dell’autorità ecclesiastica (Conferenza Episcopale Italiana) ai sensi dei cann. 298 – 299 – 305 – 321 – 322 – 325 del Codice di Diritto Canonico, alla quale fornisce anno per anno una relazione sullo svolgimento delle attività istituzionali.

Josè Parrella, Presidente Associazione Istituti Religiosi Socio-Sanitari (ARIS), Tutelare la salute nel mondo di domani, 15 giugno 2019 Torino
Josè Parrella, Presidente Associazione Istituti Religiosi Socio-Sanitari (ARIS) Piemonte – Valle d’Aosta, Tutelare la salute nel mondo di domani, 15 giugno 2019 Torino ©Bioetica News Torino

L’associazione si propone di:

− contribuire al costante rinnovamento spirituale–pastorale e all’aggiornamento professionale degli operatori dei servizi sanitari;
−  promuovere lo sviluppo delle istituzioni od opere associate per il costante adeguamento alle istanze sociali del Paese, secondo il comune intento di testimonianza;
−  concorrere ad affermare il valore inalienabile della vita e la dignità della persona;
−  operare affinché tutte le istituzioni associate rispondano alla domanda di salute, soprattutto dei meno abbienti, per testimoniare il Vangelo attraverso una cura competente ed integrale della persona sofferente, alla luce del Magistero Pontificio, per una rinnovata fedeltà alla dottrina cattolica e al carisma fondazionale delle istituzioni sanitarie che ne fanno parte.

L’Associazione, tenuto conto degli oltre 60 anni di vita e di attività, si è attenuta fedelmente a tali principi. Le Istituzioni che non si sono attenute o hanno dimostrato non corrispondenza con i valori indicati sono state allontanate o si sono dissociate.

Personalmente sono stato attore dal lontano 1979, anno del mio ingresso nel mondo della Sanità, con l’assunzione anche del ruolo di Segretario regionale, ho vissuto tutta l’evoluzione o involuzione della riforma sanitaria (Legge 833/78). I primi anni di applicazione della Legge sono stati significativi per gli Istituti religiosi, con la possibilità di ottenere l’equiparazione al pubblico servizio in virtù dell’art. 43 della legge medesima.  Il primo Presidio Ospedaliero che venne riconosciuto come tale fu il Gradenigo, ancora prima dell’emanazione del piano sanitario regionale del 1985, programmazione fondamentale per ottenere tale target. Successivamente, agli inizi degli anni ‘90, sono stati equiparati presidi pubblici, istituzioni quali San Camillo, Ausiliatrice, Fatebenefratelli e Cottolengo. In quegli anni ho potuto collaborare anche con la tavola Valdese (associata A.R.I.S.) riguardo all’Ospedale «La Betania» di Ponticelli di Napoli, in qualità di Commissario e D.A.

I primi anni dell’applicazione della Legge n. 833 sono da considerarsi problematici perché il governo delle U.S.L. era affidato ad un comitato di gestione che allora si trovava in una situazione non congrua. L’esperienza dei comitati di gestione, ovvero della U.S.L. così come configurata, ha prodotto da una parte una “esplosione” dei servizi, e dall’altra una “esplosione” in senso negativo dei bilanci. Tale effetto ha costretto lo Stato a mettere mano alla riforma, ovvero riformare la riforma, emanando la Legge 502 e 517 e trasformando le U.S.L. in Aziende Sanitarie ed in Aziende Ospedaliere e decentrando anche il potere finanziario alle singole Regioni. Il finanziamento veniva assicurato dallo Stato in forma capitaria, una cifra unica moltiplicata per il numero dei residenti, con i doverosi aggiustamenti a seconda della regione in cui gli abitanti vivevano. Ciononostante il Servizio Sanitario Nazionale ha manifestato alcune difficoltà di governance, tant’è che è stata indispensabile mettere nuovamente mano agli atti normativi ed emanare la 517, ovvero la cosiddetta riforma Bindi. Il cambiamento così come sopra descritto va valutato positivamente, ma nello stesso tempo ha generato di fatto la costituzione di 21 servizi sanitari regionali, che per fortuna, ancora oggi sono coordinati dal Ministero della Salute a livello nazionale, anche se la spinta politica è di proporre sempre maggiore autonomia alle Regioni, in particolare quelle che hanno una redditività significativa, quali ad esempio la Lombardia, il Veneto e l’Emilia Romagna.

Tali  considerazioni ci portano a riflettere su quello che sarà il futuro della Sanità italiana. L’A.R.I.S., senza volersi schierare apertamente, ritiene che i principi ispiratori della 833/78 non possano e  non debbano esser modificati, poiché significherebbe mettere in discussione la solidarietà universale. È vero anche che alcuni correttivi sono e saranno necessari anche perché i costi della sanità sono almeno in questi ultimi anni a carico del cittadino e delle loro famiglie, se è vero come è vero che gli italiani concorrono per 33 miliardi circa della spesa sanitaria, oltre il fondo assegnato. Lo sviluppo della sanità garantita dalle Assicurazioni sarà un prelievo aggiuntivo dalle tasche degli italiani.

Personalmente sono e rimango dell’idea che occorre sottrarre il governo della sanità ai Partiti politici, costituendo autonome fondazioni in grado di assumere tutta la responsabilità dell’Azienda a loro affidata. Mi rendo conto che questa è un’utopia, ma è un’idea che ho più volte rappresentato agli esponenti di governo, in particolare a coloro i quali hanno fatto parte soprattutto negli anni ‘90 alla realizzazione della Legge 502, mentre la parte sociale deve rimanere in carico al Comune o al Consorzio di Comuni, creando quindi una netta separazione tra sanità e servizi socio- assistenziali, anche in previsione dell’incremento significativo della popolazione anziana in Italia.

Ma al di là delle considerazioni espresse, mi pare evidente che noi abbiamo l’obbligo di tutelare e salvaguardare le significative esperienze fatte con l’applicazione della 833/78 e  della normativa successiva. Nel bene e nel male il Servizio Sanitario Nazionale ha comunque garantito e assicurato a tutti i cittadini italiani un buon livello assistenziale ed una discreta rispondenza ai bisogni di salute. Il problema vero è che lo Stato non ha più le risorse necessarie per soddisfare tutte le esigenze rappresentate dai cittadini, anche perché la programmazione per quanto riguarda gli operatori sanitari, in modo specifico la formazione dei medici, non sempre ha tenuto conto della reale situazione del Paese e dell’invecchiamento in prospettiva degli operatori della sanità. Infatti non è un caso che allo stato attuale siamo costretti ad assicurare i servizi sanitari o attraverso il richiamo in servizio di medici già in quiescenza oppure usando, come in Molise, medici della sanità militare.

Non possiamo e dobbiamo disperare perché sono convinto che la guida morale che la 833 ci ha lasciato in eredità non può essere messa in discussione, né può modificare uno status −ovvero un diritto acquisito – quale la tutela della salute da parte dei cittadini italiani.

Mai come in questo momento le forze che si riconoscono nel Magistero Ecclesiastico devono fare fronte comune per tutelare il Servizio Sanitario Nazionale, anche e soprattutto a tutela della salute e della dignità di ogni cittadino.

© Bioetica News Torino, Settembre 2019 - Riproduzione Vietata