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68 Maggio 2020
Monografia Covid-19. Quale futuro dopo la pandemia?

Intervista al Prof. Salvino LEONE: Covid-19. Riflessioni personali

É medico specialista in Ostetricia e Ginecologia. Riveste la carica di Presidente dell’Istituto di Studi Bioetici «Salvatore Privitera» (1945-2004) presso affiliato alla Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia in Palermo, nel cui Istituto dirige e presso la quale insegna Teologia morale e Bioetica. È direttore del Master in Bioetica dello stesso Istituto e della rivista «Bio-ethos» da lui fondata nel 2007. Con Salvatore Privitera ha fondato e condiretto nel 1991 la rivista «Bioetica e Cultura». È  presidente della Commissione Europea di Bioetica dei Fatebenefratelli e del Comitato Etico Palermo1.

Tiene corsi di Bioetica all’Università degli Studi di Palermo. Attivo conferenziere di Bioetica in Italia e a livello internazionale ha una pubblicistica sull’argomento di più di duecento titoli tra riviste italiane ed estere, monografie e collettanee. Tra le monografie più recenti, di quest’anno il manuale di Bioetica e Medical Humanities, Bioetica e Persona (Cittadella Editrice 2020, pp. 656) e, poi, tra i tanti scritti Il rinnovamento dell’etica sessuale  (EDB, 2017), Il confine e l’orizzonte (EDB 2015), La relazione medico-paziente per la salute della donna (CIC, 2015), Sessualità e persona (Dehoniane, 2012), Bioetica in pediatria scritto con Lo Giudice M. (Tecniche Nuove, 2012), Cellule staminali: aspetti scientifici e implicanze etiche (Cittadella, 2010), Accanimento terapeutico: cura, terapia o futilità (Cittadella, 2009).

Intervista al Prof. Salvino Leone

Salvino Leone_ Bioetica News Torino 2020
Salvino LEONE © Bioetica News Torino

Agli inizi di gennaio dalla sua città di Palermo, dove dirige e insegna presso il prestigioso Istituto di Studi Bioetici “Salvatore Privitera” della Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia (www.studibioetici.it) è salito a Torino, in veste di Teologo morale per una lezione accademica ai discenti del Corso di Bioetica Avanzata della Facoltà Teologica, presieduto dal prof. Franco Ciravegna. Aveva allora trattato, in una prospettiva scientifica, in quanto medico, una riflessione sulle implicanze etiche che i diversi campi della biomedicina, dalla medicina rigenerativa all’epigenetica alla robotica alle neuroscienze sollecitano con la progressiva conoscenza dell’essere umano ponendo nuovi paradigmi culturali.

Non è passato un mese da allora che l’arrivo del “virus” il Sars-covid-2, ha cambiato le nostre vite tra isolamento e distanza sociale, ha preso di sorpresa il mondo scientifico disarmandolo e cercando affannosamente appropriate terapie e una corsa al vaccino in una collaborazione internazionale e ad esprimere pareri, destando l’attenzione mediatica, nelle decisioni politiche dinanzi a questa epidemia da Covid-19. Siamo appena entrati nella fase 2 del cammino di ripresa verso la “normalità”.
Cosa pensa possa lasciarci questa esperienza, tra l’altro dolorosa in cui sono “cadute” quasi trenta mila vittime fino ad oggi, secondo la sua personale opinione, di cittadino, di medico o di teologo?

Certamente deve ritenersi prematuro un bilancio: dovremmo attendere un po’ per una più pacata riflessione. Come diceva un mio amico: “in preda all’emozione non ci si sposa e non ci si fa frati”. Tuttavia possiamo fin da adesso avanzare alcune piste di riflessione.

Come cittadino credo di dover essere, se non vogliamo dire proprio “orgoglioso”, quantomeno soddisfatto e contento di come ci siamo comportati. Tranne alcune sporadiche eccezioni abbiamo accettato provvedimenti necessari che hanno stravolto la nostra vita, le nostre relazioni familiari, il nostro lavoro, le nostre risorse economiche e siamo stati costretti a coinvolgere in tutto questo le persone più fragili come bambini e anziani. Lo abbiamo fatto con responsabilità e dignità. Come italiani siamo stati di gran lunga migliori di come spesso ci consideriamo. Stiamo a vedere cosa succederà adesso. Certamente siamo tutti molto stanchi e l’inevitabile, necessario, allargamento delle maglie porterà a valutare con maggiore insofferenza le limitazioni ancora presenti. Si accentueranno e strumentalizzeranno le divisioni politiche, si frammenteranno le interpretazioni di norme e decreti. Insomma si andrà incontro a una dimensione molto meno equilibrata e compatta della cosiddetta prima fase. Un po’ come in guerra alla tragedia del conflitto seguirà lo sbandamento per la ricostruzione.

Proprio per questo al di là delle legittime diversificazioni politiche non accetto l’atteggiamento di chi va contro, colui che, colto da un’improvvisa emergenza sta cercando di prodigarsi al meglio non per il suo interesse ma per quello del Paese. Con alcuni errori certo. Ma nell’assoluta consapevolezza di dovere fronteggiare un nemico imprevisto e sconosciuto.

Come medico di fronte alla solitudine dei malati e delle persone decedute, sottratte al conforto dei propri cari e alle classiche figure di prossimità, come quella del sacerdote, il personale sanitario si è trovato investito di compiti assolutamente determinanti per assistere le persone affette. Certo è il nostro lavoro. Qualcuno ci ha chiamati “eroi” ma siamo stati solo servi inutili che hanno fatto quanto dovevano. Cioè tanto, anzitutto.

Il personale sanitario lo ha fatto senza pensarci su due volte anche se con l’animo lacerato per il rischio di contrarre l’infezione (come purtroppo si è verificato portando molti alla morte) ma anche per il confitto di doveri svolgendo un ruolo che metteva in pericolo la loro vita con la possibilità di sottrarla ai propri familiari.
Lo hanno fatto senza riflettere sull’assenza di sistemi di protezione, grave pecca organizzativa certo, solo parzialmente giustificabile per l’improvvisa e massiccia presenza dell’infezione. Molti si sono ingegnati a farseli da soli, molti si sono approvvigionati all’estero, quasi tutti, almeno nella fase iniziale, lo hanno fatto a proprie spese ma non si sono tirati indietro. E chi non li aveva non ha esitato a continuare il proprio lavoro. Un tempo li avremmo additati come persone esemplari che si erano distinte per l’assistenza agli appestati. Lo hanno fatto anche oggi, a migliaia, il più delle volte nell’anonimato.

Lo hanno fatto divenendo i veri angeli del conforto laddove nessun altro poteva raggiungere queste persone, essendo per loro l’unico volto amico, spesso l’ultimo che avrebbero potuto contemplare.

Come teologo tutto questo mi porta a riflettere con serenità su inusitati aspetti della fede cristiana e su alcune pecularità specificamente teologiche.
Innanzitutto sull’”etica dell’imprevisto” un capitolo certamente nuovo e inedito della teologia morale che spinge a riflettere sulla validità dei consolidati assunti etici o se non sia opportuno elaborare con coraggio e prudenza, nuovi paradigmi.
E poi ancora sulla teologia della storia la stessa chiamata in causa nel passato di fronte alla Shoah. Dov’è Dio in tutto questo? In che modo dirige i destini dell’uomo? È passivo spettatore o attivo artefice? Perché non ferma tutto questo? Va bene “accettare” nel libero arbitrio il male dell’uomo ma quello proveniente da questo minuscolo e letale essere?

Sul piano liturgico tutto questo ci ha portato a riflettere sul senso stesso della liturgia, sulle modalità forse inesplorate e inusitate di una nuova spiritualità assai più mediatica di molte celebrazioni di presenza. È stata più toccante e coinvolgente la benedizione solitaria del Papa su piazza san Pietro deserta o una messa domenicale affollata, chiassosa e distratta? Forse realmente tutti, per la prima volta, hanno pregato convinti per un fine comune: il superamento della pandemia, il personale sanitario, le famiglie colpite e i loro familiari.

Come triste corollario a tutto questo sono emerse tuttavia alcune linee di pensiero, consentitemi di dire “minore” da parte di chi, sia pure nell’assoluta buonafede di andare incontro al popolo di Dio, ha usato toni inusitati contro i provvedimenti sostitutivi di un pacato, sereno e opportuno confronto dialogico. Peraltro in aperto contrasto con alcune linee indicate dal Papa e quindi rinfocolando sottostanti spaccature e riaccendendo le battaglie delle ali più conservatrici e retrograde della Chiesa.

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