Grande interesse ha suscitato il Convegno sul tema «Bioetica, filosofia e teologia. Trascendenza e modelli antropologici per la medicina del XXI secolo», organizzato dal Centro Cattolico di Bioetica e tenutosi sabato 8 giugno, alle ore 9, presso l’Aula Magna della Facoltà Teologica di Torino.
In apertura, porgendo un indirizzo di saluto, l’Arcivescovo di Torino, Monsignor Cesare Nosiglia, ha voluto ricordare il valore del modello bioetico attento alla vita, diretto alla realizzazione di un mondo sempre più giusto e solidale.
Al convegno sono intervenuti il professor Giovanni Fornero, storico della Filosofia e studioso di Bioetica, il professor Sthephan Kampowski, docente di Antropologia presso il Pontificio Istituto «Giovanni Paolo II» di Roma, il professor Gonzalo Miranda, decano della Facoltà di Bioetica Ateneo «Regina Apostolorum» di Roma, il professor Giorgio Palestro, presidente del Centro Cattolico di Bioetica e infine, in qualità di moderatore, il professor Enrico Larghero, responsabile del Master universitario in Bioetica presso la Facoltà Teologica di Torino.
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Convegno Bioetica, Filosofia e Teologia, Aula Magna Facoltà Teologica, Torino, 8 giugno 2013 – foto © Andrea Biscàro
Il professor Giorgio Palestro ha presentato le tematiche del convegno con una ricca introduzione, affermando che:
Siamo tutti testimoni del fatto che i dibattiti internazionali che hanno segnato la seconda metà del secolo scorso hanno avuto come area centrale della cultura gli orizzonti epistemologici della biomedicina. E proprio da quest’area, nel mondo occidentale, sono partite le sfide più stimolanti sul piano scientifico-tecnologico, con l’obiettivo di definire i criteri etico-antropologici per fronteggiarle.
La bioetica, che non va intesa genericamente e letteralmente come “etica della vita”, pur nel coinvolgimento di ambiti culturali di conoscenza e professionalità diversi, presenta una comune prospettiva etica che consiste, da un lato nel definire i diritti e i doveri di ciascuno sia sul piano del codice deontologico della medicina, sia sotto il profilo delle risorse economiche disponibili, e dall’altro lato si occupa – come afferma la filosofa e giurista Laura Palazzani – «[…] di giustificare i confini tra lecito e illecito di fronte alle nuove possibilità di intervento dischiuse dall’avanzamento delle conoscenze scientifiche e delle applicazioni tecnologiche sulla vita umana e non umana.
Inoltre, sempre il professor Palestro, nella sua argomentazione introduce il grande tema del rapporto tra filosofia e teologia in ambito bioetico. Nel confronto con la bioetica, quale contributo può offrire la filosofia?
Non tutti gli esperti ritengono la filosofia come disciplina adatta a offrire contributi di utilità per la costruzione di una adeguata bioetica risolutiva. La filosofa Anne Maclean sostiene, ad esempio, che i filosofi, esperti di etica applicata, non sarebbero in grado di fornire contributi in ambito sanitario in quanto privi di conoscenze e competenze specifiche. A questo nichilismo epistemologico si oppongono altri, come David Lamb, i quali sostengono che, proprio a causa della mancanza di univocità di risposte morali nell’ambito delle decisioni che riguardano la vita e la morte, non è possibile escludere a priori una utilità dell’indagine etica da parte della filosofia.
Infine, nella questione dei rapporti tra filosofia e teologia, in ambito bioetico, è sostanziale il concetto delle due razionalità a cui fa riferimento Benedetto XVI e cioè: «quella della ragione aperta alla trascendenza o quella della ragione chiusa nell’immanenza. Si è di fronte a un aut aut decisivo». Come annota il prof. Paolo Merlo: «il fare teologia, comporta l’assunzione di qualcosa che eccede totalmente le possibilità dell’indagine filosofica, ancorata all’esperibile…Ad esigere un livello distinto da quello filosofico è pertanto la peculiarità di quanto è oggetto di conoscenza teologica, il mistero della vita stessa di Dio, a noi partecipata da Cristo».
Il professor Giovanni Fornero ha invece trattato il tema «Trascendenza e laicità. Quali prospettive in bioetica». Ha esordito ricordando come Benedetto XVI, nell’enciclica Caritas in veritate, affermi “l’esistenza di due umanesimi strutturalmente differenti: uno che spiega l’uomo con l’uomo e l’altro che spiega l’uomo con Dio, reputando che la persona sia tale solo in virtù del suo rapporto con l’Assoluto (inteso come causa, fine e orizzonte di senso della persona).”
La prima posizione – ha sottolineato lo studioso – è tipica della cultura laica (anche se, ha aggiunto, esistono credenti che su questo punto procedono, almeno a livello teorico-metodologico, come i laici). La seconda posizione è tipica della tradizione cattolica ed è sintetizzata dalla tesi, ribadita dal Concilio Vaticano II, secondo cui la creatura risulta comprensibile solo in relazione al Creatore.
Da ciò l’esistenza di una spaccatura profonda tra coloro che vivono e pensano etsi Deus non daretur, come se Dio non ci fosse, e coloro che vivono e pensano etsi Deus daretur, come se Dio ci fosse.
Secondo Fornero, trovare dei punti d’incontro in queste due posizioni non è impresa facile. Un modo per avvicinarle è comunque il riconoscimento della ineliminabilità della domanda su Dio:
Il problema di Dio, comunque venga risolto, rappresenta qualcosa che ogni uomo non può fare a meno di porsi. Tanto più che tale problema fa tutt’uno con la domanda sul senso ultimo della vita e della morte. “Senso” che la presenza del male e della sofferenza rende ancora più ineludibile Da ciò la possibilità di un dialogo rispettoso tra chi ha cercato e ritiene di aver trovato e tra chi ha cercato e ritiene di non aver trovato.
Anche in quel cruciale settore che è la bioetica nasce il problema di un possibile avvicinamento fra le diverse e contrastanti posizioni. Secondo Fornero, che ha ribadito questo concetto anche nel dibattito, la prima condizione del dialogo è l’onestà intellettuale, ossia la franca esplicitazione dei presupposti e delle precomprensioni che stanno a monte del diverso modo di affrontare i problemi, in particolare quei problemi decisivi dell’umanità odierna che sono i problemi d’inizio e fine vita.
Il professor Sthephan Kampowski ha affrontato una trattazione su «La bioetica e la ragione illuminata dalla fede». Il testo di riferimento è ancora una volta l’enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritate. Una scienza autoreferenziale rischia di oscurare la categoria di relazione interpersonale, mettendo in pericolo l’uomo e l’umano. Quando l’uomo si priva di un’apertura al trascendente, rinuncia a uno “sviluppo umano integrale”. Questo è il problema fondamentale affrontato dalla bioetica che vuole cogliere il giusto percorso per arrivare all’uomo, in quanto creatura di Dio.
Il professor Kampowski ha affermato infatti che la questione fondamentale è «se l’uomo si sia prodotto da se stesso» oppure «se egli dipenda da Dio».
Il modo di portare all’estremo la tendenza della biotecnologia di intendere l’uomo come prodotto da sé stesso è il cosiddetto transumanesimo. Citando le parole di Benedetto XVI in Caritas in veritate n. 74, egli spiega che
le scoperte scientifiche e le possibilità di intervento tecnico ci impongono una «scelta tra le due razionalità»: «la ragione aperta alla trascendenza», «la ragione chiusa nell’immanenza». L’idea dell’opposizione di queste due razionalità si trova già nell’opera di Joseph Ratzinger. In Introduzione al cristianesimo, seguendo Heidegger, Ratzinger distingue tra «il pensiero riflettente», che si chiede del senso e del valore e «il pensiero calcolante», che si chiede del saper- fare tecnico. Papa Benedetto suggerisce che la novità del razionale rispetto all’irrazionale può solo essere pensata come risultato di un atto di creazione.
Una ragione positivista, chiusa nell’immanenza, non riesce a cogliere il fenomeno della vita. Ad un bioeticista positivista scappa il bios nella bioetica. Gli scappa anche l’ethos nella bioetica, in quanto l’etica si chiede della vita buona, che presuppone dei criteri. Il positivismo vede solo ciò che è misurabile adesso. Vede solo il presente (è fuori il tempo) e non riesce a vedere le dinamiche e tendenze inerenti ad un essere.
Occorre credere in Dio per poter cogliere il fenomeno della vita, per poter ammettere che ci siano scopi ed interessi, per poter vedere che c’è una differenza tra generazione e produzione? Queste convinzioni hanno una loro evidenza interna ed immediata nell’esperienza. Per la maggior parte, basta aprire gli occhi a queste evidenze. Lo sguardo oggettivante del positivista non ci è naturale. Allo stesso tempo, tutto questo ha un presupposto teologico profondo, cioè, che la nostra ragione sia aperta al senso, che essa possa andare oltre al misurabile. Per dirla con Benedetto XVI: la nostra ragione è aperta al senso solo se è vera la convinzione fondamentale del cristianesimo: in principio erat Verbum.
Viene così confermato il ruolo della bioetica, il terreno fecondo sul quale, come definisce Benedetto XVI, «si gioca radicalmente la possibilità stessa di uno sviluppo umano integrale».
Ha chiuso il convegno l’intervento del professor Gonzalo Miranda, parlando di «Bioetica e Trascendenza: un’esperienza». Il teologo Miranda ha affrontato la questione legata alla bioetica cattolica e all’importanza del Magistero. La relazione del professore, ricca di spunti di riflessione, viene esposta attraverso una serie di domande che l’uomo di fede si pone.
Un cattolico può fare bioetica? Il credente cattolico che si affida al Magistero può fare bioetica e come? La bioetica è nata da personaggi convinti di ispirazione cattolica. Si chiamava etica medica. La bioetica laica esclude il dato della fede, mentre la bioetica cattolica è “et fides, et ratio”. La razionalità è un dono, la libertà è espressione della razionalità. Da lì nasce il libero arbitrio.
All’interno di un orizzonte assoluto in cui l’uomo possa accettare o rifiutare attraverso la libertà e la ragione, come capacità di conoscere il reale. La morale cattolica è di carattere realistico, cioè si parte sempre dal reale. La prima cosa è confrontarsi con la realtà, la realtà dura. La bioetica cattolica si lascia illuminare dalla fede, ma a partire dalla comprensione della realtà. Dice infatti Gonzalo Miranda:
La bioetica cattolica non è aut aut, non è fede o ragione, ma è et et, come è spiegato nell’enciclica Fides et Ratio di Giovanni Paolo II:
«La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità. E Dio ad aver posto nel cuore dell’uomo il desiderio di conoscere la verità e, in definitiva, di conoscere Lui perché, conoscendolo e amandolo, possa giungere anche alla piena verità su se stesso».
Questa visione cattolica è una visione che accoglie la razionalità, anzi, la riconosce come uno dei doni più grandi che il Creatore ha fatto all’essere umano. Ci ha dato la libertà e la razionalità. Anzi, la libertà in realtà è espressione della razionalità. La ragione è in grado di vedere non solo l’apparire, ma essa tenta di capire l’essenza delle cose nonché il singolo in rapporto all’insieme di tutti gli esseri viventi, all’interno di un orizzonte infinito.
Da qui nasce il libero arbitrio: non sono costretto a volere ciò che i miei sensi mi presentano ed i miei impulsi tendono a realizzare, ma vedo il tutto all’interno di un orizzonte assoluto che mi permette di dire «sì, questo è bello, è utile», ma in questo orizzonte posso scegliere altrimenti e rinunciare, grazie alla libertà. Libertà e razionalità sono due caratteristiche che noi cristiani cattolici riconosciamo come dono prezioso, eccelso del Creatore. Non rifiutiamo questo dono, non lo svalutiamo! Crediamo d’essere chiamati a realizzarci pienamente in senso razionale, ad usare la nostra ragione e ad usarla bene, non in senso meramente formale, ma la ragione intesa quale capacità di conoscere il reale. C’è questa vocazione nella tradizione cattolica, che per secoli ha difeso il concetto di fides et ratio, evitando di cadere nel fideismo, nell’irrazionalità, nel rifiuto della ragione.
L’accostamento alla bioetica da cattolico impone la domanda: Che ruolo ha la mia fede? C’è un punto di partenza: l’ispirazione che è l’ identità cattolica di un credente e di questa tradizione del pensiero della Chiesa. Ispirazione dove conta soprattutto l’antropologia: la comprensione della realtà, dell’essere umano singolo in rapporto con la società e con Dio.
Autonomia o rispetto della vita? Emerge la dignità della persona, la sua autonomia e la sua vita. Ma rispettare l’autonomia e uccidere, togliere la vita, non è più il rispetto della persona. Rispettare, accogliere, amare ogni essere umano, perché siamo figli dello stesso Padre, siamo anche fratelli e credenti dello stesso Cristo che è morto e risorto per noi. Questa visione non la si può negare perché è dentro di noi. Dice ancora padre Gonzalo Miranda:
È fondamentale dialogare su questo tema, nettamente, francamente. Porrei, per esempio, una serie di domande sul perché si debba rispettare l’autonomia, sul perché si commette un’azione negativa se si uccide un essere umano. In materia etica è basilare chiedersi sempre il perché, non dare mai nulla per scontato. Mai dire «non si uccide» unicamente per via del Decalogo.
Il dibattito sui vari «perché?» condurrà ad un confronto sul concetto di rispetto dell’autonomia della decisione libera dell’altro. «Bisogna rispettare la decisione autonoma del singolo». Perché? «Perché, non rispettando la decisione autonoma, offendo la persona e la sua dignità». Ed ecco emergere il discorso sulla dignità della persona e sul rispetto della vita. «Perché devo rispettare la vita?» Non si tratta di rispettare la vita in quanto tale: le piante e gli animali, che sono vivi, li mangiamo. Essi sono vita, non la vita.
Emerge così il concetto della dignitas, della sublimitas dell’essere umano. Ecco perché devo rispettare l’autonomia ed ecco perché devo rispettare la vita. Da qui, la domanda: «ma se per rispettare l’autonomia uccido la persona, la rispetto?» Secondo me no perché, uccidendola, l’annullo. E quindi, anche se questa persona me lo chiede, ritengo di mancarle di rispetto ponendo fine alla sua vita. Pertanto, bisogna rispettare l’autonomia e allo stesso tempo rispettare la vita. E non potrò rispettare l’autonomia se uccido la persona.
Infine il Magistero non è una “camicia di forza” che impedisce di fare bioetica, è una luce che Dio ha donato a tutti i cattolici, un dono importante alla comunità credente in Cristo, affinché gli uomini non siano fragili, incoerenti. È un dono come guida, proprio per aiutarci dove noi non riusciamo ad arrivare. Il professore conclude la sua relazione affermando che:
Proprio per questa nostra fragilità, Cristo ha voluto dare alla sua Chiesa un dono, il Magistero. Esso ci aiuta laddove, da soli, non ci arriviamo, anche per via del condizionamento dovuto alla cultura nella quale siamo calati. Affidiamoci al dono di Cristo, al suo Magistero.
L’unione tra la fede, il Magistero – doni di Cristo – e la razionalità – che parte dalla realtà scientifica, razionale, filosofica – è espressione del patrimonio cattolico. Questo è il modo in cui noi tentiamo di fare bioetica.
L’intento del Convegno è stato quello di favorire una riflessione sicura, come occasione di discernimento, per raggiungere una verità oggettiva sui temi della bioetica a confronto con la filosofia e la teologia. Come scrive Benedetto XVI, “senza Dio l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia”.
L’uomo della Fede cammina verso Dio e con occhi nuovi apre orizzonti nuovi.
© Bioetica News Torino, Luglio 2013 - Riproduzione Vietata