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89 Giugno 2022
Speciale L'Arte al servizio della vita

Etica ed estetica: le modalità dell’esperienza estetica e del processo creativo

Non ho mai pensato che dipingere abbia
niente a che vedere con l’espressione di sé. È
una comunicazione sul mondo a qualcun
altro […]. Ogni insegnamento incentrato
sull’espressione di sé in arte è sbagliato e ha
a che vedere piuttosto con la terapia.
Conoscere se stessi è prezioso affinché il sé
possa essere rimosso dal processo. Insisto su
questo punto perché è ancora diffusa l’idea
secondo cui il processo stesso
dell’espressione di sé comporti molti pregi.
Ma produrre un’opera d’arte è un’altra questione.
M. ROTHKO, Scritti sull’arte

La citazione di Rothko è interessante: ci permette di superare, di decostruire una visione tutto sommato «consolante e narcisistica» della creazione artistica, che concepisce il processo creativo come espressione di un’interiorità «tutto piena» (da cui il noto lessico: intuizione, ispirazione, espressione, emozione, empatia…), per elaborare una concezione dell’arte come luogo privilegiato per l’osservazione dell’esperienza del soggetto, nel senso di un essere umano contemporaneamente soggetto alla/della propria esperienza. A questo scopo si seguirà la riflessione tracciata da alcune recenti pubblicazioni di Silvano Petrosino.

La comprensione «ingenua» o «immediata» del fenomeno dell’espressione rischia oggi di essere influenzata da una visione riduttiva della scena dell’esperienza; paradigmi come quello informazionale, infatti, scandiscono il processo comunicativo attraverso vari stadi, lungo i quali il messaggio emesso dalla sorgente, passando per il codificatore, il canale (in cui si espone al rischio del rumore) e il decodificatore, raggiunge infine il destinatario.

Un simile paradigma, indubbiamente efficace e scientificamente fecondo, rischia tuttavia di non cogliere la complessità della scena dell’esperienza del soggetto: l’essere umano, infatti, sperimenta la propria capacità di espressione sia come certezza e possesso («Io parlo!»), che contemporaneamente come questione e interrogativo («Ma come dovrò parlare?»). Ogni atto comunicativo, nella misura in cui è frutto della soggettività, non può prescindere dalla definizione del soggetto destinatore, del destinatario della comunicazione e della realtà oggetto del messaggio (in ogni sua espressione, il soggetto non può fare a meno di definire, implicitamente, chi è lui, chi è per lui il destinatario cui si rivolge e cos’è la realtà di cui si tratta nel messaggio).

Possiamo pertanto distinguere un primo paradigma, definibile come «ordine del reagire», in base al quale a parità di antecedenti seguono i medesimi conseguenti (modello macchinico, algoritmico e calcolatorio), da quello che potremmo individuare come «economia del rispondere»: qui la scena si complica, diviene «drammatica», dal momento che al «colpo» dell’oggetto che entra nella sfera dell’esperienza corrisponde il «contraccolpo» del soggetto che a sua volta si dirige verso di lui, configurando come inevitabilmente soggettiva (ma non per questo soggettivistica, relativistica) la scena della sua esperienza.

Servendoci di due metafore tratte dalla sfera della visione e della luce, potremmo paragonare il primo modello al «riflettere»: un raggio di luce che incontra una superficie riflettente viene deviato nella sua traiettoria, senza tuttavia subire alterazioni nella propria natura; nel secondo caso (modello del «rifrangere») un raggio che attraversa un prisma sprigiona i colori dello spettro luminoso: qui la natura del prisma interviene quale fattore ineliminabile della scena. Allo stesso modo, l’esperienza umana si colloca all’incrocio tra l’«andare» della cosa e il «venire» del soggetto: essa è sempre una messa in opera della soggettività, la quale è un fattore ineliminabile, come diviene chiaro nell’esperienza artistica.

La scena dell’esperienza non può essere separata dalla dimensione dell’esposizione o gettatezza: ogni vivente, infatti, è esposto all’altro, è in relazione con l’altro (si pensi al predatore e alla preda); soltanto l’essere umano, invece, non si limita a essere in relazione con l’altro, bensì sperimenta l’alterità in quanto alterità, vale a dire come elemento che si sottrae costitutivamente al suo potere, al suo sapere e al suo godimento. L’esperienza artistica trova qui la propria origine: prima di essere l’espressione di un’interiorità traboccante di senso, essa è il tentativo di rispondere all’alterità del reale che mi sorprende superando strutturalmente la mia misura; è il tentativo di fare i conti (di «venire alle mani») con l’eccedenza della realtà che continua a interpellarmi «provocando» la mia risposta singolare. Così, a differenza del predatore che caccia la gazzella vedendo in essa semplicemente la preda, l’uomo primitivo scorge nell’animale una dimensione irriducibile alla «predabilità», e tenta di rendere ragione di tale dimensione attraverso la raffigurazione artistica (si pensi alle pitture rupestri).

Infine, nella misura in cui l’esperienza non si riduce alla registrazione di fattori esterni, al «subire» quanto mi raggiunge a partire dal mondo, essa è sempre anche messa in opera del soggetto; è sempre un suo «comportamento», e possiede quindi sempre una dimensione morale nella misura in cui è il frutto di una sua presa di posizione nei confronti dell’alterità che lo interpella. Così, se l’esperienza della distruzione rivela che il soggetto non è in grado di sopportare l’inquietante alterità che irrompe sempre dall’interno della sua esperienza, impedendogli di «chiudere i conti» una volta per sempre, l’accoglienza, quale è propria dell’arte, è la possibilità di cogliere questo elemento che perennemente sfugge non solo o non per forza come peso o debito, ma anche come dono da accogliere; in tal modo, il soggetto non è condannato a subire la propria finitudine come limite, bensì quale occasione della propria avventura singolare.

Bibliografia

 

S. PETROSINO,  L’esperienza della parola. Testo, moralità e scrittura, Vita & Pensiero,  Milano 2009

ID.,  Abitare l’arte. Heidegger, la Bibbia, Rothko, Interlinea, Novara 2011

ID.,  La scena umana. Grazie a Levinas e Derrida, Jaca Book, Milano 2016

ID., Piccola metafisica della luce. Una teoria dello sguardo, Vita e Pensiero, Milano 2021.

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