Cena in Emmaus, Michelangelo Merisi da Caravaggio
Il dono costituisce uno degli argomenti più affascinanti e controversi da cui il genere umano sia stato ammaliato in tutte le epoche. La specificità del dono, possiede, per definizione, il suo fine nel donatario, dove il donare è rappresentato dal bene altrui.
Il dono rappresenta un movimento continuo, che si ferma e ci avvolge: è un movimento ed allo stesso tempo un dolce indugiare di cui non possiamo fare a meno, anzi di cui abbiamo assoluta necessità.
Nel tempo del narcisismo e dell’autoaffezione risulta particolarmente difficile parlare di dono. Nel contesto storico contemporaneo, ci siamo trovati a dover considerare l’amore e la relazione come un sentimento, mentre per i primi cristiani, l’amore costituiva un lavoro necessario a costruire la comunità e la famiglia. Eppure, nonostante tutto, la forma del dono si manifesta come criterio di molte relazioni ed esperienze.
Mark Anspach, antropologo americano, nella definizione di dono, offre un contributo illuminante aprendo alla visione di reciprocità: essa distingue il dono dal mero e sterile scambio. La reciprocità infatti è sempre radicale, o esiste ed è positiva, o non esiste ed è negativa; non può esistere la reciproca indifferenza né la neutralità benevola. L’etica del dono risiede non nel pagare un prezzo per ciò che si riceve, ma nel non spezzare quella catena che rappresenta relazione e porterà a donare a nostra volta in un secondo momento. Infatti chi dona diventa inconsapevolmente un modello da seguire.
Nella pratica medico-sanitaria, il dono è visto alla luce della solidarietà come un reale farsi prossimo nella sofferenza: a loro volta solidarietà e reciprocità sono condizioni indispensabili nell’arte della vicinanza al malato nel momento del bisogno. Il dolore che tende ad isolare, fa nascere l’invocazione all’altro, il quale all’interno della relazione con la sofferenza, risponde con il dono di sé nella compassione.
L’insegnamento ed il pensiero guida delle Missioni della Consolata viene traslato sull’operato di strutture sanitarie, quali l’Ospedale Koelliker, attraverso l’idea della compassione all’interno della relazione con il malato, quale attitudine essenziale di medici ed operatori sanitari. La compassione è una forma fondamentale di incontro con l’altro, nel dono di se stesso e della consapevole vulnerabilità di colui che dona, poiché essa nasce in chi accetta di farsi ferire e colpire dalla sofferenza dell’altro.
Far diventare parte di se stessi il concetto di dono significa quindi accogliere la relazionalità del bene. Il dono proprio grazie alla sua forza, diviene il motore che può far tramutare il nemico in amico; infatti il dono segna anche il momento della fine di un conflitto, il passaggio dalla guerra alla pace implica sempre un reciproco donare. L’uomo, nell’agire concreto della vita, alterna momenti in cui dona per il piacere di dare, chiede giustizia o oscilla tra pace e disputa.
Il dono dovrebbe quindi infonderci la speranza di superare le scissioni, di valicare la distanza e la confusione operata dal nostro tempo tra amore, giustizia e compassione.
© Bioetica News Torino, Dicembre 2012 - Riproduzione Vietata