Presentato in concorso a Cannes e meritevole di (ben) 8 candidature ai Nastri d’Argento, Il sol dell’avvenire è l’ultima opera cinematografica di un Nanni Moretti che non perde la sua verve nonostante l’età.
In scena un dramma psicologico oltre che sociale, che riporta fedelmente la profonda insofferenza di un regista poco avvezzo (e tollerante) al cinema in stile ‘blockbuster’ moderno. Al centro de Il sol dell’avvenire c’è Giovanni, un regista tormentato sull’orlo del divorzio (la moglie è la splendida e quasi commovente Margherita Buy) che si trova a girare un film ambientato nel 1956 su un intellettuale comunista ungherese.
La realtà si scontra continuamente con la fantasia, l’una si mescola con l’altra in modo inscindibile. Il risultato è un’ode commovente al cinema, a quello vero e genuino a cui Moretti è da sempre affezionatissimo. Il regista non riesce a non fare continui parallelismi al cinema d’autore, soprattutto a quello di Fellini, di cui riporta con cura le atmosfere grottesche e talvolta inquietanti. Moretti infarcisce il tutto con il suo sarcasmo pungente, molto più evidente rispetto al suo precedente lavoro, Tre piani. Evidente il feeling tra il suo personaggio e quello della Buy, che riescono a rendere la storia credibile e dolorosamente reale.
La nostalgia è l’elemento predominante nella pellicola: quella pura e cruda nostalgia di un’epoca in cui il film era arte e non prodotto da vendere. Ottime performance anche quelle del sempre impeccabile Silvio Orlando e dell’intensa Barbara Bobulova. Un film da vedere, anche solo per dare una seconda occhiata a quel glorioso cinema d’autore che ha rappresentato la produzione italiana per decenni all’estero. E che non è stato dimenticato.
© Bioetica News Torino, Giugno 2023 - Riproduzione Vietata