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92 Ottobre 2022
Speciale Sviluppo sostenibile e green economy Tra luci e ombre

Cure palliative in pediatria

Abstract

In una società tecnologicamente avanzata, dove i piccoli imparano a smanettare cellulari prima che a camminare, diventa davvero molto difficile convivere con un malato affetto da una malattia inguaribile, soprattutto se si tratta di un bambino. Sembra impossibile che la medicina, sempre più avanzata e attrezzata tecnologicamente, non abbia strumenti di cura efficaci. Così la sottile linea di demarcazione tra cura proporzionata, accanimento terapeutico e aiuto a morire diventa di difficile interpretazione soprattutto per chi non è un professionista sanitario. Per questo può essere utile condividere qualche riflessione sulle cure palliative in pediatria e perinatologia. Cosa dice la normativa vigente? Quali proposte ci possono essere per una cura e un’assistenza adeguate? È possibile migliorare formazione professionale e soprattutto incidere sul clima culturale che vorrebbe una medicina onnipotente?

Introduzione

Prima di iniziare la nostra riflessione sull’atto clinico di palliazione in ambito pediatrico  (CPP) dobbiamo chiarire cosa sono le cure palliative (CP), quelle pediatriche in particolare. La prima legge al riguardo è la legge n.38 del 2010, che all’art.3.2 sancisce l’accesso alle CPP e alla terapia del dolore.

Ogni essere umano è un mondo a sé, forgiato dalla vita e dall’ambiente in cui è inserito, dunque è fondamentale per il clinico sapersi rapportare ad ogni singolo malato e alla sua famiglia. È indispensabile che possieda, oltre alle competenze tecniche specifiche, anche l’arte di saper ascoltare e comunicare, di confrontarsi in modo attivo per diventare reale guida sanitaria. La comunicazione nella clinica è così importante che il tempo della comunicazione è ritenuto tempo di cura – Legge n.219/2017. In pediatria comporta saper ascoltare il bambino, riconoscerne il linguaggio del corpo, particolarmente importante per capire cosa lo fa maggiormente soffrire e alleviare questa sua sensazione ed emozione, soprattutto saperne tener conto nel dialogo con i genitori ai quali, in quanto tutori del minore, spetta l’ultima parola nella decisione clinica.

Se il primo interlocutore è il paziente, sia pure supportato dai familiari, il caso del bambino è molto particolare perché bisogna ascoltarlo, guidarlo nella scelta, accertarsi che abbia veramente capito e accogliere, oltre alla sua volontà, anche quella dei genitori o tutore. Quando queste risposte non coincidono, la situazione è particolarmente delicata.

Nel caso di neonati e bimbi in età prescolare si rende necessario porre attenzione ad ogni loro piccolo gesto, espressione, mugolio, smorfietta, elementi fondamentali per capirne bisogni, paure, aspettative. Il bambino piccolo, persino il neonato, avverte il dolore fisico, quello un po’ più grandicello (dall’età dell’asilo in poi) percepisce anche il dolore emotivo se pure in modo a lui non del tutto chiaro.

Cure palliative pediatriche: dal grembo materno all’età dell’infanzia

Con la possibilità dei nuovi strumenti diagnostici, sempre più precisi e sofisticati, si è affermata la nuova branca di cure palliative pediatriche, la medicina fetale o perinatologia, per controllare i problemi che affiorano prima, durante e subito dopo la gravidanza. È praticata da ostetrici e ginecologi specializzati nelle gravidanze a rischio elevato per la vita della madre e dei feti con difetti congeniti.

Le cure palliative perinatali (CPPN) sono gestite da un’équipe multidisciplinare (ginecologo, ostetrica, pediatra neonatologo, genetista, palliativista, bioeticista, psicologo, infermiere, eventuale consulente spirituale) per garantire il necessario supporto alla famiglia durante tutto il periodo perinatale, attraverso la consulenza prenatale e la pianificazione delle cure che comprendono la gestione della gravidanza, la nascita, il ricovero in terapia intensiva neonatale, la dimissione a domicilio o presso l’Hospice pediatrico, fino all’eventuale decesso.

Di qui l’importanza di progettazione e attuazione di percorsi di CPPN basati su multidisciplinarietà e formazione ad hoc, per garantire la presa in carico della diade madre-bambino e di tutto il nucleo familiare ed eventualmente degli Operatori Sanitari coinvolti.

Formazione nei corsi formativi e nella Scuola di specializzazione in Pediatria

L’OMS definisce le CPP come «l’attiva presa in carico globale del corpo, della mente e dello spirito del bambino e della sua famiglia». Le cure palliative iniziano al momento della diagnosi, anche se a volte si pensa siano trattamenti legati alla terminalità della malattia e all’accompagnamento alla morte, sono reale strumento di cura che, per questo, fa parte della formazione clinica di base.

La legge n. 77 del 17 luglio 2020 inserisce il corso di cure palliative pediatriche nei corsi obbligatori in tutte le Scuole di Specializzazione in Pediatria e il decreto 28 settembre 2021 istituisce la Scuola di Specializzazione in Medicina e Cure Palliative comprendente il Corso obbligatorio di Cure Palliative Pediatriche nelle Scuole di Specializzazione in Pediatria. Grande passo avanti perché significa riconoscere la palliazione atto clinico a tutti gli effetti e reale strumento di cura.

A Torino è attivo il progetto triennale Pediatria 2020 destinato ai medici specializzandi in pediatria, nella consapevolezza che «A volte una frase sbagliata può fare tanti danni e una giusta può aiutare guarigione e dimissioni di un paziente».

La piena attivazione di tale competenza professionale necessita di una rete di CPP, cosa saggiamente intuita nel nostro Paese ― primo in Europa ― quando, nel 2017 prende il via il Progetto bambino.

Estendere le cure palliative all’ambito pediatrico è un passo che richiede non solo la formazione delle competenze professionali ma anche un cambiamento socio-culturale per superare l’idea errata che la palliazione riguardi solo il momento di fine vita.

Le CCP e l’hospice pediatrico

L’hospice pediatrico è un luogo sanitario in cui si insegna ai familiari, grazie ad un’assistenza specialistica,  come vivere con il proprio bambino diverso da quello che era o che si sognava. La storia dell’hospice pediatrico in Italia inizia a Padova quando nel 1989 apre il primo Centro Rete di Cure Palliative e Hospice Pediatrico. Nel 2005 si struttura la Casa del Bambino inaugurata ufficialmente nel 2007 con le parole del Ministero della Salute che auspica una rete domiciliare e un hospice in ogni regione d’Italia.

A Milano il 27 marzo 2019 apre l’hospice Casa Sollievo Bimbi, ponte ideale tra ospedale e domicilio per facilitare il dialogo fra queste due realtà e abituare i genitori anche agli strumenti di cura. La pandemia Covid ha contribuito a portare a domicilio prestazioni che prima erano fornite solo in ospedale e  questa esperienza potrebbe accelerare la domiciliazione delle cure.

Nell’agosto 2022 la presenza di minori bisognosi di cure palliative in Italia è stimata intorno ai 30.000, eppure una notizia Ansa avverte che «Gli hospice ad oggi attivi per il ricovero dei bambini sono sei, a Genova, Torino, Milano, Napoli, Padova e uno in Basilicata».

Molti sono stati i convegni su questo tema, fin da quello tenutosi a Roma il 3 febbraio 2012, quasi in risposta alla legge n. 38/15 marzo 2010, in cui si ribadisce che le cure palliative non sono solo un accompagnamento alla morte, ma iniziano con la diagnosi, proseguono per tutto il periodo della malattia e accompagnano i familiari anche dopo la morte del piccolo.

Il 13 settembre 2022 l’Accademia Nazionale dei Lincei organizza il convegno Il bambino con malattia inguaribile. Riflessioni bioetiche e cure palliative. Un tema interno a questo convegno mi ha colpita: «Il bambino con malattia inguaribile. Che può fare la società?». Punto importante, perché credo che veramente la società possa fare molto. Varie difficoltà dell’assistenza clinica derivano da pregiudizi socialmente condivisi: la consapevolezza dei grandi progressi in medicina rende difficile accettare che non tutto si può guarire.

L’approccio bioetico

Un aspetto delicato in ambito di CPP è il ruolo del bambino nelle decisioni cliniche. Dobbiamo riconoscere che, se pure il bambino ha sogni, speranze, paure, desideri, come ogni altra persona, spesso noi adulti li teniamo in scarsa considerazione rendendo più difficile al minore essere soggetto attivo nel percorso di cura. Solo sapendone accogliere le emozioni riusciremo ad aiutarlo, ad essergli compagni nel suo delicato cammino.

La bioetica può essere un importante aiuto in quanto è nata dall’esigenza di meglio comprendere le complesse questioni  morali, sociali e giuridiche che l’evoluzione della medicina pone in evidenza. La percezione della delicata responsabilità di scegliere trattamenti curativi, come nel caso delle CPP, ha reso la bioetica strumento clinico e sociale che permette di affrontare le questioni che riguardano piccoli pazienti con diagnosi e prognosi negativa e magari necessitano di interventi pesanti. I dibattiti mediatici, se ben gestiti, possono essere importante strumento di formazione pubblica per evitare il rischio di conflitti genitori-curanti com’è successo nei noti casi dei piccoli Alfie Evans, Marwa Kilani, Charlie Gard.

La Carta di Roma, 2008 dichiara: «… Se ci rendesse conto dell’inutilità degli sforzi terapeutici, bisogna evitare ad ogni costo che le cure intensive possano trasformarsi in accanimento terapeutico» e  la legge 194/78, art.7 c.3, afferma che se il feto sopravvivesse alla pratiche abortive dovrebbe essere «assistito adeguatamente».  Buona cura, non ostinazione.

Dunque l’adeguatezza della cura è il principio clinico, etico, e bioetico che deve guidare le scelte di ogni soggetto coinvolto in situazioni di CPP.

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