Introduzione a cura di Enrico Larghero
Da dove partire per rifondare il rapporto tra l’uomo e la Terra, per dare corso alla cosiddetta svolta green? La rivoluzione culturale di Papa Francesco ribalta antichi paradigmi e punta il dito sulla persona che, con nuovi stili di vita e progettualità, deve rimodulare la relazione con il mondo che lo circonda. Oggi è infatti richiesta una visione nuova, un ribaltamento in grado di ricollocare l’uomo nel Cosmo. Non vi sarà una vera e autentica svolta se non ripartendo da tali presupposti, ovvero, giocando sulle parole, sino a quando non sarà l’uomo a “tingersi di verde”.
In passato, la scoperta dell’energia atomica aveva ribaltato il dualismo uomo-natura. Per la prima volta nella storia dell’umanità erano state poste le condizioni per la sua autodistruzione. Tale pericolo, seppure in forme diverse, è ritornato prepotentemente di attualità. Lo sviluppo per essere sostenibile, in grado di garantire un futuro ai nostri figli, dovrà coniugarsi con il principio di responsabilità.
Le parole di Andrea Ponta, studioso della disciplina, richiamano ed approfondiscono questi concetti, cardini su cui si dovrà reggere la nostra società se vorrà avere ancora un domani.
Cominciamo da uno sguardo al passato
Sono convinto che occorra approcciarsi alle questioni ambientali e alla crisi ecologica che stiamo vivendo “in punta di piedi”: infatti, al termine “ecologia” assegniamo normalmente un significato molto più ampio di quello che ha dal punto di vista scientifico associando ad esso le tematiche ambientali, i cambiamenti climatici, l’inquinamento, lo sviluppo sostenibile e indirettamente molti altri “discorsi” sulla nostra casa comune (il nostro pianeta). Sappiamo bene ― e in questo periodo di pandemia lo abbiamo sperimentato con dolore ― che tutto è “connesso”, tutto è in “relazione con ogni cosa”, anche i problemi.
Oggi assistiamo ad un continuo deterioramento dei rapporti tra l’uomo, tra noi uomini, la natura e l’ambiente con la conseguenza di una rottura degli equilibri che per millenni hanno consentito la nascita e lo sviluppo della vita sul nostro pianeta.
Questa rottura ha conseguenze disastrose che possiamo riassumere nel termine “crisi ecologica”, ma che sintetizza una serie di “mali” di cui tutti stiamo soffrendo e che lasceremo in eredità ai nostri figli. Su questi temi molto è stato scritto, da personaggi più o meno autorevoli e a tutte le latitudini del mondo, ma ad essere onesti, uno dei leader ambientalisti più riconosciuto a livello mondiale è papa Francesco con l’enciclica Laudato Si’. Il Papa ha proposto a tutti gli uomini (credenti e non) una nuova concezione di ecologia “integrale”, che consideri cioè l’ambiente e la sua difesa non come un valore assoluto, ma sempre in relazione al bene delle persone e alla difesa dei più deboli.
Come possiamo essere ottimisti e credere in una prospettiva con colori diversi dalle tinte fosche e cupe? Dobbiamo anzitutto conciliarci con il nostro passato e guardare con onestà e intelligenza alla nostra storia e a quello che è successo negli ultimi tre secoli, contrassegnati da ben quattro rivoluzioni industriali che hanno determinato e condizionano tuttora il nostro stile di vita, la nostra crescita di tipo esponenziale (demografica, economica, di consumo e inquinamento) e il nostro sviluppo. Non possiamo pretendere di cambiare tutto (in meglio) con un colpo di bacchetta magica o con una “inversione a U”, ma con pazienza e determinazione dobbiamo lavorare anzitutto ad un “rallentamento”.
Riconciliarsi con la natura: i primi passi
Il mondo ha le risorse tecnologiche e finanziarie per “cambiare rotta”, ma non lo stiamo facendo. Perché? La storia del Titanic – la nave “inaffondabile” – può insegnarci qualcosa. Uno dei motivi per cui non ha potuto evitare l’iceberg che ne ha causato l’affondamento è che stava andando “troppo veloce”, in una zona non sicura. Abbiamo quindi una chance, di essere ricordati dalle generazioni future per «quelli che hanno saputo rallentare». Senza avere la presunzione di “invertire la rotta”, ma di creare le condizioni, per chi verrà dopo di noi, per un vero e radicale cambiamento a favore dell’ambiente.
Un secondo passo è prendere consapevolezza che non siamo “nella stessa barca” (modo per dire che se abbiamo tutti lo stesso problema questo è meno grave), ma nella stessa tempesta (crisi ecologica) che affrontiamo con “barche” diverse. Oramai anche gli scienziati non parlano più solo di “mitigazione” dei fenomeni legati ai cambiamenti climatici (alcuni di essi ormai irreversibili), ma anche e soprattutto di “adattamento”. Però c’è chi ha i mezzi per adattarsi tranquillamente, con poco sforzo, e chi invece subisce le conseguenze gravi dell’inquinamento e dei cambiamenti climatici, in molti casi senza mezzi, andando incontro a morte sicura. Una vera “persona sostenibile”, allora, deve lottare per queste ingiustizie, ma come?
Quali comportamenti assumere per essere persone “sostenibili”?
Servono uomini che sanno guardare lontano e che abbiamo ben compreso che la sostenibilità si poggia “solidamente” su quattro gambe. Oltre alle tre già note e declinate in molti testi (sostenibilità ambientale, economica e sociale) occorre non dimenticare la quarta, la sostenibilità “relazionale”, che racchiude e sintetizza tutte le altre, che esprime come un distillato il paradigma dell’ecologia integrale proposta da papa Francesco nella Laudato Si’.
Possiamo e dobbiamo cominciare dalle piccole cose. Per dare qualche spunto in forma sintetica si potrebbe concentrare il nostro agire in dieci regole:
- Conoscere (informarsi, formarsi, no fake news)
- Alzare lo sguardo (avere una motivazione profonda nel nostro agire)
- Rallentare
- Bruciare poco poco poco
- Ridurre
- Riusare
- Riciclare
- Pulire
- Camminare insieme (da soli non si va lontano)
- Produrre bellezza
Probabilmente sono tutti aspetti noti e un po’ scontati, tranne forse l’ultimo. Produrre bellezza: siamo chiamati a collaborare con Chi ha creato il mondo non solo per pulirlo e ripararlo con nostri stili di vita più sostenibili, ma a farlo “più bello”. Allora trova un senso anche mettere dei fiori alla finestra, pulire l’aiuola sotto casa (anche se toccherebbe al Comune o al vicino di casa), raccogliere le carte da terra (non importa chi le ha gettate) ecc.
C’è un proverbio in Italia che dice: «Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare» per sottolineare la difficoltà di mettere in pratica quello che ci proponiamo con le buone intenzioni. Lo possiamo cambiare in, «Tra il dire e il fare c’è di mezzo il dare» per ricordarci che possiamo fare ogni cosa se cominciamo con il mettere in gioco noi stessi.
Si ringrazia il direttore Alberto Riccadonna per la pubblicazione dell’articolo, già uscito ne La Voce e il Tempo, 2 ottobre 2022, pp.27
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