La società contemporanea ha in larga parte (e da tempo) espresso il suo sentito sostegno verso quelle pratiche − avverse ai religiosi più convinti − che consentono di porre fine alla vita dei malati più gravi assecondando le loro volontà, dal momento che è a loro preclusa ogni speranza di guarigione. Un “diritto alla disperazione” da molti considerato pericoloso, poiché portatore di valori autodistruttivi che, lungi dal protendersi verso la loro finalità originaria, si ritorcono contro i loro stessi promotori.
I temi più bollenti, a tal proposito, sono senza dubbio l’eutanasia e il suicidio assistito, trattati in modo approfondito nel nuovo libro Feriti dalla Malattia, Accarezzati dalla Speranza di Melissa Maioni, ricercatrice e docente di Bioetica e Diritti Umani presso l’Università Campus Bio-Medico di Roma, per la collana «La Cura e la Religione», diretta da Paolo Angelo Bonini.
«In questo contesto storico», scrive Maioni, «la riflessione bioetica contemporanea si è spesso limitata a dare giudizi e a definire la liceità o la non liceità delle azioni scientifiche o sedicenti tali, senza però proporre soluzioni a questa paura specificatamente umana. Dare ragione della non liceità dell’eutanasia o del suicidio assistito non è sufficiente».
Il dibattito prende vita attorno allo spinoso tema dell’autonomia decisionale − che, secondo la Maioni, sarebbe ben poco definita o comunque fraintesa − del paziente il quale, trovandosi solo dinanzi alla morte e colto dal timore della solitudine e del dolore, sceglie l’unica via che gli sembra percorribile per placare la sua sofferenza. Scrive l’Autrice: «l’apparente carattere assertivo di queste proposte morali e giuridiche in realtà cela in sé la grande paura che l’uomo ha di riconoscersi come essere limitato, fragile, e in un certo senso solo nell’affrontare la propria storia personale, non sempre facile da gestire e comunque necessariamente destinata alla morte. Di fronte al dolore e alla sofferenza, l’uomo si trova disorientato e cerca disperatamente la felicità, cogliendo invece la propria finitudine, e invece che rivolgersi a un altro, o a un Altro, fa affidamento alle sole forze che gli restano, rivendicando una solitudine che detesta ma che continua a scegliere».
La Maioni fa luce, in seguito, sulla bioetica personalista, disciplina filosofica che si compone di tre momenti: il momento descrittivo, in cui si espongono le qualità scientifiche di un atto medico, il momento ermeneutico, di matrice filosofica e antropologica, e il momento prescrittivo, che riconosce e definisce i valori presenti all’interno di una società delineando i comportamenti che li rispecchiano. Naturalmente, specifica Maioni, non ci si deve limitare alla semplice proibizione di azioni contrarie ai valori comuni, ma è necessario fornire alternative concrete, in grado di orientare le scelte in situazioni ambigue soggette a diverse interpretazioni e di indicare non solo ciò che non si deve fare ma anche ciò che si può fare.
Alla luce di ciò, l’Autrice propone un’alternativa alla decisione eutanasica: «tale proposta consiste nel riconoscimento di una “speranza” già connaturata al nostro essere (e quindi ontologica), che dobbiamo conoscere, riscoprire, vivere e coltivare (come virtù), in grado di dare senso alla vita, anche in quelle circostanze in cui questo senso sfugge nell’immediato».
La risposta cattolica all’eutanasia parrebbe dunque essere la riscoperta di una speranza dimenticata, capace di regalare forza nei momenti più duri, ma ben diversa da quella tradizionale promossa dalla letteratura ebraico-cristiana o dalla mitologia greca: «questo lavoro si configura come innovativo in un contesto attuale in cui la speranza viene confusa nei termini e nelle premesse, in una società impregnata di vittimismo che ha radici culturali e storiche molto consolidate, caratterizzate da un forte autocompatimento, prettamente auto-referenziale e individualista per definizione. Parlare oggi di “speranza”, infatti, appare quantomeno scandaloso», afferma l’Autrice. Prendendo, quindi, le distanze da ogni forma di compassionevole vittimismo, la Maioni intende verificare se tale forma di speranza “riformata” e al passo coi tempi possa davvero risollevare le sorti di malati in gravi condizioni, come quelli in terapia oncologica.
Ci si chiede: «Un paziente definito “senza speranza” può sperare?» La ricerca transdisciplinare proposta dell’Autrice pone in relazione discipline talvolta molto diverse eppure confrontabili, provando a delineare una nuova definizione di speranza, pur senza esaurirne la complessità.
Nella prima parte del volume si scandaglia il tema della speranza in un’ottica prettamente medico/infermieristica nonché psicologica; la seconda parte raccoglie i risultati di uno studio sperimentale condotto presso il policlinico universitario Campus Bio-Medico di Roma, che fornisce nuovi spunti sulla speranza in ambito clinico; il terzo capitolo considera invece la speranza da un punto di vista antropologico/metafisico, senza tralasciare l’ambito teologico, e prova a illustrare al lettore come la speranza possa rappresentare una risposta convincente al mistero della solitudine originaria dell’uomo.
Scrive Maioni: «il nostro lavoro ha tentato di dare qualche spunto per la riflessione sulla speranza, sia attraverso i risultati ottenuti dalla medicina, dalle scienze infermieristiche e dalla psicologia, che vanno a definirla sia in termini di cognizione, che di emozione, sia attraverso lo studio della speranza nei pazienti oncologici intervistati, che non raccontano la malattia e la speranza, ma la vivono in prima persona, e ne testimoniano la possibilità anche in circostanze avverse, sia grazie alla riflessione filosofica che ci ha dato elementi fondamentali per cogliere l’essenza del mistero speranza, alla luce dell’amore, della libertà, della felicità, della pazienza e della relazione con l’altro».
Feriti dalla malattia, accarezzati dalla speranza
La dimensione della speranza nei pazienti oncologici. Prospettive bioetiche e cliniche
CISU, Roma 2020, pp. 240
€ 24,80
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