(Seconda parte della relazione sul tema della morte nell’analisi del rapporto Bioetica e mass media)
Per la prima parte si rimanda al numero di Aprile di Bioetica News Torino
Verso una nuova “notiziabilità” della Bioetica
Come un ago ipodermico, attraverso messaggi di grande forza emotiva, i Mass Media possono veicolare sottopelle atteggiamenti e convinzioni.
Avviene per la morte, enfatizzata o negata sui mezzi di informazione, messa in cornice come fenomeno esterno al contesto sociale (come è stata analizzato nel numero precedente) la cui spettacolarizzazione riesce a condizionare le opinioni sul fine vita. Avviene per altre questioni bioetiche sempre più in primo piano.
I comportamenti umani sono il risultato della relazione stimolo-risposta secondo riflessi pavliani, afferma la teoria comportamentista e, determinati messaggi emotivi inducono a reazioni diverse. Il tema della fecondazione artificiale può provocare un’immediata benevolenza se presentato attraverso immagini di bambini sorridenti, mentre il volto sofferente e contratto di un malato induce ad un’immedesimazione nel dolore altrui che porta alla convinzione di voler scegliere di morire piuttosto che sopportare tali sofferenze.
Ancora, i mass media possono contribuire a creare determinate mentalità, come descrive Giuliano Guzzo in Eutanasia, mass media e consenso sociale elencando i punti di forza della strategia “pro eutanasia”. Almeno sei gli elementi che concorrono a formarla:
Confusione dei termini di eutanasia e accanimento terapeutico, strumentalizzazione mediatica del caso pietoso, ricorso sistematico e abuso di sondaggi, consenso sul diritto a morire di personaggi noti, necessità del riconoscimento giuridico, individuazione del nemico nella Chiesa Cattolica
Tra gli effetti sociali dei Mass media anche quello di poter costruire un mondo di riferimento che non esiste: un’ idea, per quanto possa essere di una minoranza, se opportunamente amplificata è in grado di assurgere al ruolo di opinione pubblica. I lettori hanno così la tendenza ad uniformarsi a questo pensiero dominante temendo di essere emarginati. Alla fine si viene a credere ciò che si pensa gli altri credano. Lo dice la teoria della “spirale del silenzio di Noelle-Neumann”, secondo la quale le idee, le visioni dominanti tendono a diffondersi di più, creando un effetto a spirale verso il silenzio per idee ed opinioni condivise da pochi. Una teoria che può aiutare a capire (Mario Palmaro, Filosofo del diritto, Facoltà di Bioetica Upra di Roma) ciò che è avvenuto negli anni ’70 per il processo di legalizzazione dell’aborto. Allora l’opinione pubblica era contraria alla pratica e alla sua depenalizzazione, ma movimenti minoritari ben rappresentati all’interno dei media sono riusciti ad innescare quel meccanismo e a far virare l’opinione di associazioni culturali, forze politiche nella direzione della legalizzazione.
Non tutti gli argomenti diventano visibili sui mezzi di informazione. La teoria dell’”agenda setting” o della priorità ipotizza l’influenza dei mass-media sull’audience in base alla scelta delle notizie considerate notiziabili. Essa stabilirebbe la corrispondenza tra la rilevanza che i «mezzi di informazioni danno alle diverse questioni della realtà sociale e la gerarchia delle preoccupazioni (o priorità) percepita dagli utenti».
Secondo Jacques Ellul (il fenomeno della propaganda) l’uomo contemporaneo riceve troppe informazioni, che gli rendono incomprensibile la realtà. Nasce un bisogno di una verità semplice e sicura, spiegazioni facili senza contenuti metafisici: un regime discorsivo che è però strutturalmente incompatibile con il dibattito bioetico.
I mezzi di informazione tendono a schiacciare la complessità della Bioetica, con contrapposizioni alternative: o questo o quello, polarizzando le posizioni. Portano ad opinioni contrapposte in relazione alla utilità e funzionalità. Una divisione che genera spesso polemica e quindi audience. Non la creazione di un contesto ambientale per riflettere sui vari temi alla ricerca di una verità che non è mai immediata
C’è grande interesse nell’opinione pubblica per questa disciplina, perché parla della vita umana, della salute, del futuro. È un argomento da prima pagina dal 1997, da quando sulla rivista «Nature» si parlò di clonazione della pecora Dolly. Da allora i temi di scienza e vita entrano nelle case, spesso con storie dolorose legate alla malattia e alla morte dei loro protagonisti (Terry Schiavo, Piergiorgio Welby, Eluana Englaro).
I media sono per molte persone oggi, l’unica fonte di informazione sulle questioni attinenti la Bioetica. Lo ha misurato la ricerca del Forum per la Ricerca biomedica-Censis, che ha esaminato gli argomenti principali dei tre inserti “Salute” di «Corriere della Sera», «Repubblica» e «Sole 24 Ore» e in televisione. La più gettonata è la Biomedicina. Alimentazione, benessere, medicina clinica, farmaci, psichiatria, neuroscienze e bioetica coprono da sole il 55% dell’informazione scientifica sui giornali e ben il 64% di quella televisiva. Conquistano meno pagine (il 10,7%) i fattori umani legati alla malattia, ansie, frustrazioni, isolamento emotivo, rapporto medico-paziente. Interventi chirurgici, nuove tecnologie, progressi della ricerca e gli altri “aspetti operativi” della pratica medica sono trattati, invece nell’87,4%. Scarsa attenzione per le conseguenze sociali della malattia, qualità di vita, assistenza.
La Bioetica contiene in sé caratteristiche da prima pagina, è di per sé spettacolare. Fa audience. Ma è esposta a rischi di distorsione.
Come tutte le notizie può essere strumentalizzata «Non è mai possibile dare tutte le notizie su di un certo fatto – analizza Mariella Lombardi Ricci nel suo testo Mass Media e Bioetica – la selezione degli elementi è sempre indispensabile. L’azione-filtro privilegerà certi aspetti, tra quelli che costituiscono la totalità del fatto, piuttosto di altri meno funzionali allo scopo, per muovere curiosità, attirare l’attenzione presentando una visione spettacolare della vita, poco importa se essa tradisce la realtà del vissuto, per concentrare tutto sul presente immediato: parlare di un problema che non abbia soluzione immediata non è spendibile in TV».
Informare può essere anche ricerca di consenso sociale, in molti ambiti anche per procedere nella ricerca scientifica finanziata da denaro pubblico.
Si fa del “doping informativo” su queste notizie, come definisce Nadia Bettazzoli ne La bioetica nei media analizzandone il rapporto problematico minato da una serie di errori: errori terminologici e confusioni concettuali; incompletezza, frammentarietà nella trasmissione delle informazioni; equivocità intorno ai fatti comunicati. Ma c’è anche una scarsa attenzione alla dimensione cognitiva del lettore e approcci divulgativi spesso non scientifici o di tipo ideologico (politico, religioso) giocati in alcuni casi, in modo strumentale, su suggestioni psicologiche. Informazioni false che possono radicarsi nelle persone danneggiandole nelle scelte pubbliche e private come nel dibattito sociale.
Oggi sembra più facile comunicare la scienza che la vita, afferma in una sua lectio magistralis, Monsignor Domenico Pompili: «Scienza e tecnica diventano notizie dal carattere trionfale presentate come vittorie dell’uomo sulla natura e sulla propria finitezza, in cui le scoperte scientifiche diventano conquiste perché superano i limiti invalicabili». La scienza è considerata l’unico paradigma del sapere. «Ma non c’è equivalenza tra sapere e conoscenza scientifica. La scienza conosce ma il sapere ha qualcosa in più: non è fatto di contenuti sperimentali ma di senso. Alla scienza resta opaco proprio ciò che per l’uomo è importante: il senso della propria vita».
Un contesto di comunicazione così delicato come quello della salute, della vita dell’uomo, con sanzioni praticamente inesistenti per chi le trasgredisce, diventa fondamentale la necessità di un’etica della comunicazione, che riguardi il “come dirlo” e il “cosa dire”. Sostiene il professor Giorgio Palestro: la ricerca dell’effetto spesso deforma la notizia e porta a generare ansia, apprensione e sfiducia. Cioè è particolarmente vero per notizie di “malasanità” che in molti casi si rivelano di “malainformazione”. I mass media non seguono la medicina della quotidianità, più facilmente sulle pagine dei giornali finiscono le notizie clamorose: i successi o i fallimenti, le grandi scoperte e la malasanità. La salute fa notizia ma è anche un grande business, il cui marketing ha la necessità di far ricorso alla pubblicità, la cosiddetta comunicazione persuasiva. Di qui il dovere per il giornalista di riconoscerla, per pesare e valutare l’attendibilità delle notizie che diffonde.
Ma chi lavora nelle redazioni è spesso solo e poco preparato per affrontare determinati contenuti e non sempre ha la preparazione scientifica necessaria per la valutazione di una fonte. Inoltre mancano i tempi per queste verifiche in un sistema informativo rapido e globale, dove la priorità rimane dare la notizia avanti a tutti. Anche l’approccio psicologico del giornalista che è persona, magari con esperienze di malattia in famiglia può determinare nei confronti del fatto un diverso atteggiamento, che sbilancia la neutralità: ipercritico talora, quasi fideistico in caso opposto.
Occorre trovare una nuova notiziabilità della Bioetica, dove sia messa al bando l’informazione spettacolo, il “doping” con il quale è servita, riducendo gli errori e la strumentalizzazione.
Occorre una preparazione specifica per formare bravi giornalisti che si occupino di Bioetica, sempre più presente nel dibattito contemporaneo. Come esiste il giornalista economico o di moda, c’è la necessità di una preparazione ad hoc e di un aggiornamento dei codici etici della categoria, per dare un sistema etico e procedurale di riferimento.
Un master di specializzazione è la proposta della tesi, all’interno del quale nasca un terreno di confronto tra i professionisti legato alla deontologia professionale, ai fondamenti morali del giornalismo nella società contemporanea. Che risponda ad una serie di domande sull’etica e rafforzi il concetto della responsabilità etica della professione, in una attualità in cui i Mass media sono il riferimento informativo principe sui temi della medicina e della salute.
Un giornalismo che riesca a fare diventare la comunità più consapevole e preparata sulla scienza legata alla vita dell’uomo. Per dire non solo cose vere ma aiutare a comprendere le motivazioni, il contenuto, il caso dai vari punti di vista.
A partire dalla prima sfida: la legittimazione di un linguaggio per tradurre la realtà scientifica, affrontando il primo problema morale: quello di come variazioni lessicali possono indurre atteggiamenti diversi. Il linguaggio può annientare infatti l’umanità dell’uomo o riconoscere la sua dignità.
Un master di specializzazione che ha tra gli obiettivi quello di arrivare ad un tavolo di lavoro, per redigere una “Carta bioetica” con articoli specifici sui comportamenti deontologicamente ed eticamente corretti e che aiutino i professionisti a trattare le principali questioni bioetiche della medicina, biologia, sviluppo scientifico, in rapporto all’uomo, al rispetto e dignità della sua vita e morte, andando oltre la semplificazione di cosa è lecito o non è lecito.
Per andare oltre notizia.
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