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79 Maggio - Giugno 2021
Speciale Giovani e sport Dalla cura del corpo alla sua esaltazione

Lo sport, realtà valoriale dell’uomo

Vi invito a mettervi in gioco nella vita come nello sport.
Mettervi in gioco nella ricerca del bene, nella Chiesa e nella società, senza paura, con coraggio e entusiasmo.
Mettervi in gioco con gli altri e con Dio; non accontentarsi di un “pareggio” mediocre,
dare il meglio di se stessi, spendendo la vita per ciò che davvero vale e che dura per sempre
Papa Francesco, Dare il meglio di sé
Documento sulla visione cristiana dello sport e della persona

Introduzione


Nella Babele dei linguaggi da cui siamo quotidianamente sommersi, ricorriamo troppo spesso a parole e concetti, di cui sovente non conosciamo più il significato autentico. Questo vale, ad esempio, anche quando discutiamo di sport. 
 
Sport, termine inglese (derivato a sua volta dal francese antico desport, cioè svago),  indica l’insieme di esercizi fisici che, nel rispetto di determinate regole, sono praticati in forma di competizione individuale o collettiva. Un’attività fisica può definirsi “sportiva” quando è costituita da tre elementi: il movimento, la componente ludica (J. Huizinga, L’Homo ludens) ed infine l’agonismo. Senza queste tre direttrici, ognuna delle quali ricca parimenti di valori e di problematiche, non possiamo parlare correttamente di sport.   
 
Le prime grandi celebrazioni sportive risalgono al 776 a.C., data in cui in Grecia, ad Olimpia ebbero inizio con cadenza quadriennale le Olimpiadi, in occasione delle quali venivano sospese addirittura le guerre. Sebbene strettamente legati al rito religioso in quanto espressione di devozione a Zeus o ad altre divinità, i giochi panellenici introdussero la concezione dell’esercizio fisico come culto del corpo, dimostrazione di coraggio e di lealtà, ricerca del bello, manifestazione di puro agonismo; il tutto separato da contingenti necessità di sopravvivenza e indipendente da finalità di lucro. Per primeggiare nello sport sono necessarie alcune virtù, quali la costanza, lo spirito di sacrificio, il coraggio, l’abnegazione, che costituiscono una grande metafora delle virtù necessarie  per eccellere nella vita (lealtà, altruismo, correttezza…).

Le Olimpiadi, ritenute spettacolo immorale e pagano dall’imperatore Teodosio, vennero proibite nel 393 d.C. e ripresero solo 1500 anni più tardi, nel 1896, anno delle prime Olimpiadi dell’era moderna. Oggi, favorito dal crescente miglioramento delle generali condizioni di vita e da un’attenzione alla salute e all’efficienza, lo sport costituisce ormai un fenomeno sociale. A quello di vertice si affianca, intersecandosi, il concetto dello “sport per tutti”, che vuole riconoscere ai cittadini il diritto di praticare un’attività fisica più confacente alle loro attitudini.

Sport e salute: prevenzione, doping ed estetica

Secondo il Center for Disease Control di Atlanta, uno dei centri di punta al mondo che si occupa di prevenzione, un adulto dovrebbe fare 30 minuti al giorno di attività fisica moderata per almeno cinque giorni a settimana, per esempio camminando a passo svelto, e 20 minuti di attività fisica intensa, come correre, per almeno tre giorni a settimana.
Il movimento corporeo e – ancora meglio – la pratica di un allenamento costante sono considerati una vera e propria terapia preventiva da parte dell’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità; è ormai assodato che lo sport svolge un ruolo di primo piano nel contrastare l’insorgenza di diverse tipologie di malattie, come i problemi cardiovascolari, il diabete, l’obesità e persino il cancro. Già dopo un breve periodo di attività fisica regolare assistiamo ad un miglioramento dell’organismo e la nostra aspettativa di vita aumenta fino a 4 anni di più.

I mass media, da parte loro, hanno reso lo sport non solo linguaggio capace di far convivere ed applicare medesimi regolamenti alle culture e alle tradizioni più diverse, ma hanno contribuito a rendere popolari personaggi e campioni di ogni dove, facendoli sentire tessere indispensabili nel mosaico del vivere quotidiano. Un fenomeno di tali dimensioni non può ovviamente essere esente da implicazioni economiche tutt’altro che trascurabili e da influenze, non sempre positive e di vasta portata, sul costume della società contemporanea. Il processo di globalizzazione, se da un lato ha permesso di superare gli angusti limiti del nazionalismo più deteriore, dall’altro ha esasperato le pratiche sportive, spesso impoverendole di ideali. L’attenzione dedicata allo sport è ormai eccessiva e determina, nell’ambiente che circonda gli eventi agonistici, aspettative e tensioni che, purtroppo degenerano spesso in violenza.

La logica del business e l’ingerenza degli sponsor hanno indotto molti atleti, ambiziosi di fama e di denaro, a pratiche illecite, quali il doping. A tal proposito, non è sempre facile distinguere, come dimostra il famoso controllo anti-doping, tra farmaci di impiego comune e doping. Le sostanze utilizzate, infatti, sono molteplici: stimolanti psicomotori come anfetamine, efedrina, stimolanti del sistema nervoso centrale, analgesici, narcotici di tipo morfinico, eritropoietina, ormoni, quali nandrolone e testosterone.

Purtroppo il desiderio di emergere  serpeggia anche tra gli sportivi non professionisti. troppo il desiderio di emergere  serpeggia anche tra gli sportivi non professionisti. È cronaca di tutti i giorni la scoperta tra i “dilettanti” e gli “amatori” (anche giovanissimi) di abuso di sostanze stupefacenti e di farmaci al fine di migliorare la prestazione fisica ed il rendimento. Tali pratiche illecite non sono esenti da rischi: malattie cardiocircolatorie come l’infarto, tumori, in particolare a carico del fegato e del pancreas, effetti antiestetici, quali calvizie, irsutismo, virilizzazione ed infine infertilità.

 Lo sport, il gioco, la ricerca talora esasperata di benessere, oltre che fenomeni sociali sono, anche e soprattutto, un fatto culturale, intimamente connesso all’agire umano. Conservare la bellezza, rendere meno vistosi difetti o inestetismi, ridurre o contenere le inevitabili ricadute dell’invecchiamento, o dare semplicemente una certa immagine di sé, è diventato ormai un dovere, cui nessuno che voglia vivere e farsi accettare negli ambienti “che contano” può sottrarsi. Entrano in gioco il ruolo del corpo e della corporeità, intesi però non soltanto come insieme di funzioni organiche, ma come base necessaria della relazione con i propri simili. La mediazione della corporeità rende possibile ogni altra forma di comunicazione e di linguaggio.   Una vasta gamma di interventi amplia il ventaglio dei trattamenti estetici: chirurgia, diete, ginnastica (body building, stretching, yoga, aerobica, dance therapy), lampade abbronzanti, magnetoterapia, shiatsu, saune, idromassaggi,  linfodrenaggio, tatuaggi, peeling. Sorgono ovunque beauty farm.

La rinnovata attenzione per la corporeità si incentra sulla mitizzazione della triade: corpo bello, corpo sano, corpo forte.  Tutto ciò comporta un fondamentale spostamento di orizzonti: non è più sufficiente “vivere”, ma occorre “vivere bene”. L’appagamento dei bisogni primari si sposta verso la conquista di un sempre maggiore “benessere”, verso una cosiddetta eccellente qualità della vita, privilegiando l’avere sull’essere. È importante sentirsi attraenti, a qualsiasi età, e la medicina è sempre più sollecitata da coloro che chiedono di migliorare l’aspetto per una ricerca di gratificazione e di apparente sicurezza.

Il culto del corpo, tuttavia, ha anche i suoi limiti e le sue ambiguità: come ogni  edonismo rischia di ridursi ad una forma di egocentrismo infantile e di spontaneismo contribuendo a diffondere una mentalità superficiale e poco responsabile. Anche la sessualità, ormai colta nei suoi aspetti ludici e ridotta a mero gesto atletico, è puramente finalizzata ad un’ostinata ricerca effimera del piacere. L’ideale estetico greco sembra riemergere nella nostra epoca, ma tale analogia è solo apparente. Il contesto è profondamente mutato e le differenze rispetto al passato sono profonde e sostanziali. Corpi palestrati e scultorei rischiano oggi di divenire immagini patinate che nascondono una profonda fragilità interiore, una perdita dei valori morali e spirituali di riferimento. Un ulteriore esempio del relativismo etico che ci circonda.
Inoltre, l’esasperazione dell’esteriorità ha purtroppo le sue vittime. I disordini alimentari, quali anoressia e bulimia, così frequenti, e non solo tra gli adolescenti, sono l’esempio più clamoroso di un rapporto conflittuale con il proprio corpo e con il proprio look, rilevando sovente una povertà ed un vuoto esistenziale. Quando i modelli di riferimento sono irraggiungibili, il disagio sconfina in un lento “lasciarsi morire”.

Tutti questi equivoci suggeriscono un ripensamento del significato del corpo in relazione all’elaborazione di un’etica del corpo stesso. L’uomo è un essere calato nella cultura del suo tempo, al punto che tutti i bisogni del corpo ne sono inevitabilmente condizionati, stimolati e filtrati. La sfida della modernità consiste nella formazione di una personalità equilibrata che abbia saputo costruire un giusto rapporto di sé, imparando a convivere serenamente con i propri difetti e con il processo fisiologico dell’invecchiamento.

Sport, palestra di valori ed esercizio di virtù

Il peso enorme assunto dalla pubblicità, che utilizza le tecniche più sofisticate per far sorgere e pilotare le scelte di mercato, non deve far dimenticare la drammaticità dei problemi. Fino a che la coscienza collettiva non acquisirà un sano spirito critico di fronte a modelli imposti dall’esterno, il consumismo sarà norma etica di riferimento per chiunque, incidendo profondamente soprattutto sulle giovani generazioni. La definizione del Consiglio di Europa concepisce giustamente la salute come «una qualità della vita che comporta una dimensione sociale, mentale, morale e affettiva, oltre che fisica. È un bene instabile che bisogna acquisire, difendere e ricostruire costantemente, lungo il corso della vita».
 
L’educazione alla salute abbraccia un orizzonte più vasto della semplice educazione sanitaria e mira allo sviluppo integrale dell’individuo e al suo vivere bene con se stesso, con gli altri e il creato. Vivere in salute significa coltivare un sano equilibrio a livello fisico, psicologico, mentale, sociale e spirituale. È un processo dinamico ed evolutivo che accompagna la storia di ognuno.   Il mito, oggi così diffuso, della “spontaneità corporeista”, è smentito proprio dal corpo stesso: la forza, la salute, la bellezza, l’armonia e l’espressività sono frutto di rinunce e di disciplina; la vita umana non è creatività pura, gioco senza regole e senza costi. Se lo sport, anche quello olimpico, non educa, non vi è ragione sufficiente perché in esso si investano potenti risorse ed energie; sarà soltanto uno svago per i dilettanti ed un mestiere per i professionisti al pari di tante altre attività che non fanno notizia.
 
Esso non ha il dovere di essere soprattutto spettacolo; meglio che si attrezzi ad essere educazione, occasione di crescita autentica e completa, palestra di valori ed esercizio di virtù. Credere nello sport in tal senso significa disporsi ad una novità di pensieri, di atteggiamenti e di azioni non comuni.  Significa – scrive Aldo Rabino – diventare noi stessi uomini nuovi, capaci di rigenerare dal di dentro le infinite potenzialità che il mondo sportivo non sempre riesce ad esprimere e di renderci attenti e disponibili alla vocazione totale dell’uomo, anche attraverso lo sport.

È giunto pertanto il momento di cercare una nuova coerenza educativa, prendendo le distanze da concezioni obsolete e false idolatrie, cercando piuttosto di sviluppare le componenti morali, culturali e sociali del rapporto tra corpo e salute.  Il punto di partenza va ricercato nel concetto di unità sostanziale dell’uomo, in cui ogni gesto, ogni comportamento, ogni azione coinvolge tutto l’“io”. Il corpo non va più visto come “altro” rispetto all’uomo, magari come una prigione per lo spirito, ma, come diceva G. Marcel «L’uomo non ha un corpo; è il suo corpo».

Conclusioni

Vivere in salute significa coltivare un sano equilibrio a livello fisico, psicologico, mentale, sociale e spirituale. È’ un processo dinamico ed evolutivo che accompagna la storia di ognuno.  
 
Se lo sport, anche quello olimpico, non educa, non vi è ragione sufficiente perché in esso si investano potenti risorse ed energie; sarà soltanto uno svago per i dilettanti ed un mestiere per i professionisti al pari di tante altre attività che non fanno notizia.  Esso non ha il dovere di essere soprattutto spettacolo; meglio che si attrezzi ad essere educazione, occasione di crescita autentica e completa, palestra di valori ed esercizio di virtù. 

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