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77 Marzo 2021
Inserto Il dolore e la sofferenza nell'arte dal sacro al contemporaneo

Corte Costituzionale: vuoto di tutela del miglior interesse del bambino nato da PMA eterologa e maternità surrogata in coppie omosessuali Commento alle sentenze della Corte Costituzionale: n. 32 e n. 33 in data 28 gennaio e 9 marzo 2021

Con le sentenze rispettivamente numero 32 e numero 33 in data 28 gennaio – 9 marzo 2021 la Corte Costituzionale ha deciso due questioni affini, sollevate dal Tribunale ordinario di Padova, la prima e dalla prima sezione civile della Corte di Cassazione, la seconda.

I fatti

I fatti che hanno dato origine alle pronunce sono i seguenti:

Ⅰ. Sentenza n. 32/2021

Una coppia di donne omosessuali decide di attuare un progetto condiviso di maternità sottoponendo, col consenso di entrambe, una di loro alla procreazione medicalmente assistita eterologa (ovviamente) ed eseguendo l’intervento all’estero, stante l’espresso divieto in Italia. Al termine della gravidanza nascono in Italia due gemelle.

Non risulta che vi sia stata alcuna dichiarazione congiunta davanti all’Ufficiale di Stato Civile in occasione della nascita, sicché l’unico genitore è, ufficialmente, la madre biologica. La convivenza si protrae per quasi cinque anni, benché la coppia non avesse residenza anagrafica comune, e durante questo periodo ciascuna delle componenti la coppia è coinvolta nella cura, nell’educazione e nella crescita delle bambine.

Dopo questo periodo la relazione tra le due donne cessa e cessa, di conseguenza, la convivenza. Il rapporto  genitoriale col c.d. genitore d’intenzione – ossia quello che non ha alcun legame biologico con i figli, ma tale perché si è assunto il compito di mantenerli, educarli, istruirli – prosegue successivamente alla rottura della relazione, per qualche tempo, ma è giuridicamente privo di rilevanza poiché la madre biologica, di fatto affidataria delle bambine, non consente alla madre “d’intenzione” né di riconoscere le figlie né di adottarle ed anzi vieta ogni rapporto con esse.

È così che la madre “d’intenzione” ricorre al Tribunale affinché questo, in principalità, autorizzi l’Ufficiale di Stato Civile a dichiarare che essa ricorrente è genitore, ai sensi dell’art. 8 della legge n. 40 del 2004, ovvero di esser dichiarata tale dallo stesso Tribunale per aver prestato il consenso alla fecondazione eterologa, ai sensi dell’art. 6 della medesima legge. La ricorrente svolge altresì altre domande subordinate – che qui non è il caso di riprendere – tutte miranti a far riconoscere la sua qualità di genitore delle minori, al fine di far attribuire loro il proprio cognome e di emettere gli opportuni provvedimenti in relazione al loro affidamento e mantenimento.

Il Tribunale, allo stato degli atti, non accoglie né respinge la domanda perché ritiene che sussista un difetto di tutela nel garantire gli interessi dei minori: argomentando dagli articoli 8 e 9 della legge n. 40 del 2004 – che dispongono che i nati a seguito di PMA anche di tipo eterologo (fra soggetti di sesso diverso. n.d.r.) hanno lo stato di figli riconosciuti dalla coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche di PMA – giunge alla conclusione che tali norme possano essere interpretate se non nel senso di escludere il riconoscimento dello stato di figli dei nati da PMA praticata (all’estero. n.d.r.) da coppie dello stesso sesso, in violazione dell’articolo 5 della citata legge n. 40 del 2004 (che consente la PMA soltanto a coppie di maggiorenni di sesso diverso).

Analogamente, sostiene ancora il Tribunale, anche l’articolo 250, comma 4, cod. civ. non consente di autorizzare il riconoscimento dello stato di figli dei nati da PMA eterologa, praticata da una coppia dello stesso sesso, da parte della madre “d’intenzione”, superando il dissenso della madre biologica.

Il denunciato vuoto di tutela si risolverebbe, quindi, «nella lesione di diritti costituzionalmente e convenzionalmente garantiti dagli articoli 2, 3, 30 e 117, comma 1, della Costituzione, quest’ultimo articolo in relazione agli articoli 8 e 14  della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, come interpretati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e agli articoli 2, 3, 4, 5, 7, 8 e 9 della Convenzione dei Diritti del Fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata dall’Italia con L. 27 maggio 1991 n. 176».

«In particolare, gli articoli 8 e 9 della legge 40 del 2004 e 250 cod. civ. lascerebbero privo di tutela il diritto inviolabile del minore all’identità garantito dall’articolo 2 della Costituzione, da cui discende l’azionabilità dei suoi diritti nei confronti di chi si è assunto la responsabilità di procreare nell’ambito di una formazione sociale che, benché non riconducibile alla famiglia tradizionale, sarebbe comunque meritevole di tutela. In tal modo sarebbe violato il diritto di ciascun bambino ad avere due persone che si assumono la responsabilità di provvedere al suo mantenimento, alla sua educazione ed istruzione, nei cui confronti poter vantare diritti successori, ma soprattutto agire in caso di inadempimento e di crisi della coppia».

Ⅱ. Sentenza n. 33/2021

Secondo quanto espone la prima sezione civile della Corte di Cassazione che ha sollevato l’incidente di costituzionalità, il caso che ha dato origine al giudizio riguarda un bambino nato nel 2015 in Canada da una donna nella quale era stato impiantato un embrione (il c.d. utero in affitto o maternità surrogata. n.d.r.) formato con i gameti di una donatrice anonima  e di un uomo di cittadinanza italiana, uno dei due componenti la coppia omosessuale, unito in matrimonio in Canada – con atto poi trascritto in Italia nel registro delle unioni civili – con un altro uomo, pure di cittadinanza italiana, con il quale aveva condiviso il progetto genitoriale.

Al momento della nascita del bambino, le autorità canadesi formano un atto di nascita che indica come genitore il solo padre biologico, mentre non menziona né il padre “d’intenzione” né la madre surrogata che ha partorito il bambino, né la donatrice dell’ovocita. Accogliendo il ricorso dei due uomini, nel 2017 la Corte Suprema della British Columbia dichiara che entrambi i ricorrenti devono essere considerati genitori del bambino, e dispone la corrispondente rettifica dell’atto di nascita in Canada.

I due uomini  chiedono all’Ufficiale di Stato Civile italiano di rettificare anche l’atto di nascita del bambino in Italia, sulla base del provvedimento della Corte Suprema della British Columbia. In seguito al rifiuto opposto a tale richiesta, chiedono alla Corte d’appello di Venezia il riconoscimento del provvedimento canadese in Italia ai sensi dell’art. 67 della legge n. 218 del 1995 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato).

Nel 2018 la Corte d’appello di Venezia accoglie il ricorso, riconoscendo l’efficacia in Italia del provvedimento. L’Avvocatura dello Stato tuttavia interpone ricorso per Cassazione nell’interesse del Ministero dell’interno e del Sindaco del Comune ove è trascritto l’originario atto di nascita del minore.

Investita di tale ricorso, la prima sezione civile della Corte di Cassazione prende atto che nel frattempo è stata depositata la sentenza delle Sezioni unite civili della stessa Corte in data 8 maggio 2019, n. 12193, la quale ha affermato il principio secondo cui non può essere riconosciuto nel nostro ordinamento un provvedimento straniero che riconosca il rapporto di genitorialità tra un bambino nato in seguito a maternità surrogata e il genitore “d’intenzione”. Secondo le Sezioni unite, tale riconoscimento trova infatti ostacolo insuperabile nel divieto di surrogazione di maternità, previsto dall’art. 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004, qualificabile come principio di ordine pubblico, in quanto posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità della gestante e l’istituto dell’adozione.

Tuttavia, la detta prima sezione civile dubita della compatibilità di tale principio di ordine pubblico con una pluralità di parametri costituzionali e quindi solleva – in riferimento agli artt. 2, 3, 30, 31 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), agli artt. 2, 3, 7, 8, 9 e 18 della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, e all’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE) – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 6, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), dell’art. 64, comma 1, lettera g), della legge 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato) e dell’art. 18 del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127), «nella parte in cui non consentono, secondo l’interpretazione attuale del diritto vivente, che possa essere riconosciuto e dichiarato esecutivo, per contrasto con l’ordine pubblico, il provvedimento giudiziario straniero relativo all’inserimento nell’atto di stato civile di un minore procreato con le modalità della gestione per altri (altrimenti detta “maternità surrogata”) del c.d. genitore d’intenzione», ossia, come dianzi accennato, la persona che pur non avendo fornito il proprio apporto biologico, ha consensualmente condiviso il progetto genitoriale, assumendosi la responsabilità di allevare, educare, istruire il minore.

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Affinità delle questioni nelle due sentenze

Le questioni sono affini perché, pur differenziandosi nei fatti posti a fondamento delle rispettive domande, riguardano lo stato civile, ivi compreso lo stato giuridico nei confronti del genitore “d’intenzione”, dei nati da procreazione medicalmente assistita, ovvero attraverso la maternità surrogata, in coppie omosessuali, nonché il riconoscimento giuridico del genitore “d’intenzione”.

In entrambi i casi la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni.

Occorre chiarire che le decisioni della Corte possono essere “processuali” o “di merito”; nella prima categoria rientrano anche le decisioni d’inammissibilità, nella seconda le decisioni di rigetto o di accoglimento. La decisione d’inammissibilità è utilizzata dalla Corte quando, per i più svariati motivi, le è precluso l’esame del merito della questione.

Nel caso specifico la Corte ha dichiarato l’inammissibilità delle questioni perché ha riscontrato un vuoto (legislativo) di tutela dell’interesse dei minori nati da PMA e da maternità surrogata e attira l’attenzione del legislatore «su questa materia eticamente sensibile» affinché individui «un ragionevole punto di equilibrio tra i diversi beni costituzionali coinvolti nel rispetto della dignità della persona umana».

Fulcro del ragionamento della Corte è il miglior interesse del minore.

Riprendendo precedenti sentenze, nonché la consolidata giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e richiamati i Trattati e le Convenzioni internazionali, la Corte Costituzionale enuncia il principio che «l’interesse di un bambino accudito sin dalla nascita da una coppia che ha condiviso la decisione di farlo venire al mondo è quello di ottenere un riconoscimento, anche giuridico, dei legami che, nella realtà fattuale, già lo uniscono a entrambi i componenti della coppia»; legami che sono «parte integrante della stessa identità del bambino».

L’adozione in casi particolari disciplinata dall’art. 44, comma 1, lettera d) della legge 4 maggio 1983 n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), prosegue la Corte, non è strumento idoneo perché non attribuisce la genitorialità all’adottante ed è ancora dubbio che l’adozione in casi particolari consenta di stabilire vincoli di parentela tra il bambino e coloro che appaiono socialmente, e lui stesso percepisce, come i propri nonni, zii, ovvero addirittura fratelli e sorelle, nel caso l’adottante abbia già altri figli propri. Essa richiede inoltre per il suo perfezionamento, il necessario consenso del genitore “biologico”, che potrebbe non esser prestato in situazioni di sopravvenuta crisi della coppia.

In conclusione, la Corte rileva l’assenza di una normativa che, nel preminente interesse del minore, regoli queste situazioni e, previa declaratoria d’inammissibilità delle questioni così sottoposte al suo scrutinio, invita il Legislatore affinché appronti una normativa che disciplini la materia – «che potrebbe essere una riscrittura delle previsioni in materia di riconoscimento, ovvero (…) l’introduzione di una nuova tipologia di adozione, che attribuisca, con una procedura tempestiva ed efficace, la pienezza dei diritti connessi alla filiazione» – in modo appropriato e bilanciando i diversi interessi in gioco.

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Commento

La Corte, mettendo al centro delle decisioni in commento il miglior interesse del minore, ha volutamente escluso la considerazione che tanto la PMA praticata da coppie omosessuali che la maternità “surrogata” sono pratiche vietate in Italia e sanzionate, se praticate in Italia, ovviamente.

Allo stato attuale, in attesa delle nuove disposizioni, fermo restando che il nato da una PMA o da una maternità “surrogata” non ha alcuna responsabilità delle scelte operate da chi lo ha chiamato al mondo e, per questo motivo, non può patire alcun pregiudizio eventualmente conseguente a tali scelte, l’unica sanzione di fatto applicabile è il diniego di trascrivere l’atto di nascita formato all’estero o di riconoscere nel detto atto la qualità di genitore al genitore “d’intenzione”.

La strada per i viaggi all’estero rimane aperta, come aperte restano le innumerevoli questioni che la società contemporanea, in particolare l’ingegneria genetica, pongono di giorno in giorno. Pare che si sia all’alba di un mondo nuovo, per dirla con Huxley, dove l’atto procreativo sarà definitivamente disgiunto dall’atto sessuale e quando il fanciullo di adesso, ormai fatto uomo, vorrà conoscere la propria identità biologica, esercitando un diritto che la stessa Corte ha definito inviolabile, dovrà rassegnarsi all’idea che la realtà fattuale deve cedere alla realtà virtuale, voluta da chi lo ha chiamato al mondo.

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