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87 Aprile 2022
Speciale Neuroscienze Le nuove frontiere della medicina

Coscienza e memoria

Introduzione

a cura di Enrico Larghero

La prima enunciazione scientifica che mette in relazione il cervello con la coscienza si deve a Ippocrate e risale al V secolo a.C. Lo studioso riteneva che la mente, creata dal cervello, morisse lentamente, di pari passo con la degenerazione dell’organo. Gli uomini devono sapere, sosteneva il padre della Medicina che dal cervello, e solo da esso, nasce il piacere che proviamo, così come l’allegria, la tristezza, il dolore e le lacrime.
Per secoli tuttavia la coscienza è stata considerata un argomento al di fuori della portata della scienza. Solo negli ultimi decenni i progressi della biologia e delle neuroscienze promettono di gettare una nuova luce sulla disciplina. Ulteriori approfondimenti hanno in seguito permesso di elaborare la dinamica delle connessioni neurali che racchiudono il nostro passato, ovvero la memoria, cioè la capacità di ricordare le nostre esperienze pregresse ed imparare dai vissuti.
I momenti del passato – scriveva Marcel Proust – non restano immobili, ma trattengono nella nostra memoria il movimento che ci ha lanciati verso il futuro.  Gran parte di ciò che ci rende umani si trova nel nostro cervello, ben consapevoli che rappresentiamo il più grande mistero dell’Universo.

Come si percepisce la realtà?

Che cosa, esattamente, è “la coscienza”? Siamo di fronte a un mistero antico: come è possibile che, dall’assemblaggio di una massa di cellule e dai meccanismi del cervello emerga la nostra coscienza immateriale ―- ovvero ciò che sta alla base del senso stesso della nostra esistenza e della nostra identità personale.

Quali sono esattamente i meccanismi neurali che generano la consapevolezza di noi stessi in costante interazione con l’ambiente? Il cervello è la sede fisica della coscienza, ed esiste una stretta connessione della coscienza con la memoria: nel suo rapporto con la memoria, la coscienza è l’organo che percepisce lo scorrere del tempo.

Il cervello è l’organo interposto (il confine) tra il mondo esterno e l’ambiente interno del corpo. Il cervello è connesso al mondo esterno attraverso gli organi di senso (apparato sensoriale) e agiamo su di esso (apparato senso-motorio).

Dall’esterno arrivano le informazioni attraverso gli organi di senso che terminano nelle cortecce primarie (o di “proiezione”) e da queste vengono ridirette alle cortecce associative dopo essere state integrate con impulsi provenienti da altre modalità. Il sistema di riconoscimento degli oggetti nella corteccia associativa può giungere alla fine a riconoscere, per esempio, un cane sulla base sia dell’informazione visiva sia di quella uditiva sia infine di quella tattile. Ciò viene raggiunto attraverso la costruzione di un “indirizzario” (directory) neurale, che ha la funzione di creare legami reciproci tra tutti i diversi elementi rilevanti contenuti in un dato stimolo.

All’interno della corteccia associativa vengono trascritti i ricordi: il sistema riconosce e immagazzina le conoscenze relative al mondo esterno. L’esposizione incessante a una serie di esperienze percettive permette lo sviluppo e il consolidamento delle memorie.

Sulla base di molte esperienze, gradualmente si costruisce al nostro interno un’immagine affidabile e stabile del mondo esterno (un cane) così come lo percepiamo noi. L’esposizione incessante a una serie di esperienze percettive permette lo sviluppo e il consolidamento delle memorie.

Sulla base delle esperienze precedenti (consolidate nella memoria), i lobi prefrontali ricevono informazioni dalle cortecce associative sullo stato del mondo esterno e viene programmato un “possibile” programma d’azione. L’azione vien poi avviata nei lobi frontali che formano il sistema di attivazione primaria per i muscoli del corpo.

Tali programmi d’azione sono guidati esattamente allo stesso modo dalle influenze derivanti dall’ambiente interno del corpo. Gli stimoli interni vengono registrati dall’ipotalamo, per venire poi associati ad altre informazioni che giungono dal sistema limbico, prima di essere convogliati alla corteccia frontale.

Questa via rappresenta la fonte delle nostre motivazioni profonde, intimamente connesse con la memoria personale, le emozioni e la coscienza. In tal modo il sistema prefrontale possiede tutto l’equipaggiamento necessario per guidare il comportamento, sulla base non solo delle condizioni contingenti (esterne e interne), ma anche dalle esperienze precedenti.

Nel caso in cui uno dei sistemi che influenzano i lobi prefrontali cessasse di funzionare: ne risulterebbe uno scompenso del funzionamento armonico di queste strutture e dei loro rapporti reciproci. Un individuo così “squilibrato” potrebbe essere portato a seguire in modo acritico i propri impulsi: un comportamento di tipo compulsivo, ossia proiettato a soluzioni del tutto estemporanee, non adattativo rispetto al mondo esterno.

Viceversa, un danno alle vie che portano le informazioni che ci giungono dal mondo interno potrebbe condurre a situazioni di inerzia o di incapacità a modificare il proprio comportamento sulla base dei segnali emozionali provenienti dalle proprie esperienze.

Nei soggetti con lesioni della corteccia prefrontale ventro-mediale, viene meno la modulazione delle emozioni, cioè l’integrazione della parte emotiva con quella cognitiva (razionale). il processo decisionale è derivato dall’elaborazione complessa di più aree del cervello che integrano la componente emotiva con la componente cognitiva e in particolare nelle scelte morali le emozioni si rivelano d’importanza fondamentale nel rendere l’osservanza di una norma un processo spontaneo e ricco di significati anziché una formale e vuota osservanza.

Conclusione

Possiamo, quindi, sintetizzare il processo della coscienza: le informazioni del mondo esterno, raccolte dai diversi organi di senso, vengono poste in relazione: con le percezioni del nostro corpo, con i nostri ricordi, con i sentimenti che proviamo, con i pensieri che formuliamo e con le decisioni che prendiamo. La coscienza tende ad unificare in uno svolgimento temporale ininterrotto i frammenti di esperienze di cui sono composte le nostre vite.

Quindi, la proprietà di offrire continuità alla coscienza che si accumula nel divenire temporale della vita umana pone la coscienza in stretta connessione con la memoria: nel suo rapporto con la memoria, la coscienza diviene l’organo che percepisce lo scorrere del tempo.

Il rapporto coscienza/memoria determina: il senso di unità dell’esperienza immediata; il senso di unità/identità di sé attraverso il divenire temporale; garantisce l’esperienza di continuità dei processi mentali.

La memoria condiziona il nostro passato, perché come disse il neuroscienziato Eric Kandel: «la memoria è la colla che tiene insieme i frammenti della nostra vita, e senza la memoria saremo senza speranza e non avremmo uno scopo nella nostra esistenza».

«Chi dice spirito dice coscienza, scrive Henri Bergson, e la coscienza significa innanzitutto memoria. Sta fra ciò che è stato e ciò che sarà, anticipando il futuro. Quello che percepiamo è una durata che si compone del nostro passato immediato e del nostro futuro imminente. Il futuro imminente è l’idea di un’azione futura e ogni azione è uno sconfinamento nel futuro.

Note

Articolo tratto dalla rubrica Bioetica e notizie de «La Voce e il Tempo» per la cui pubblicazione ringraziamo il direttore Alberto Riccadonna

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