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87 Aprile 2022
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Note a margine su inammissibilità della Corte Cost. su referendum abrogazione parziale dell’art. 579 del c.p. (omicidio del consenziente) Si riferisce alla sentenza della Corte Costituzionale n. 50 del 15 febbraio 2022, pubblicata il 2 marzo 2022

I.

La sera del 15 Febbraio 2022 il dottor Giuliano Amato, attuale presidente della Corte costituzionale, aveva appena finito di leggere il comunicato del verdetto col quale la Corte aveva deciso per la declaratoria di inammissibilità della richiesta di referendum popolare per l’abrogazione dell’articolo 579 del codice penale (omicidio del consenziente), che il signor Marco Cappato, uno dei principali promotori del referendum ― artatamente veicolato al grosso pubblico come referendum sull’eutanasia ― intervistato senza contraddittorio da uno zelante cronista, neppure conoscendo le motivazioni del provvedimento, dichiarava, alquanto polemico e stizzito, che quello era un giorno triste per la democrazia.

Qualche giorno dopo un solone, anch’egli senza neppure conoscere la sentenza ― che, come anticipato in epigrafe, sarebbe stata pubblicata giorni dopo ― commentava che, a suo modo di vedere, la decisione della Corte attentava al diritto di autodeterminazione.

Benché su campi apparentemente diversi, entrambe le critiche appaiono di notevole gravità perché vi si afferma, in sostanza, che la Corte costituzionale avrebbe vulnerato, da un lato il sistema democratico e, dall’altro, menomato il diritto di autodeterminazione, che è un diretto derivato del diritto dì libertà, ossia di uno dei cardini sul quale si impernia il nostro Ordinamento.

Pertanto, prima di procedere alla disamina della sentenza, sembra opportuno riprendere alcune considerazioni già svolte altrove:

  • Come si sa, la nostra democrazia è, in virtù degli articoli 55 e seguenti della Costituzione, parlamentare e rappresentativa; il suo fulcro è costituito dal Parlamento diviso in due rami, Camera dei deputati e Senato, dove siedono parlamentari eletti a suffragio universale e diretto.
  • Secondo l’articolo 67 della Costituzione ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione. Il successivo articolo 70 demanda alle due camere collettivamente la funzione legislativa. Ciò significa che i parlamentari oltre che rappresentanti della Nazione, ossia del popolo, come direbbe un ex presidente del Consiglio dei ministri, sono latori ed interpreti delle esigenze dei propri rappresentati. Questo assetto è chiamato di democrazia indiretta perché la volontà popolare si  manifesta ed esprime per il tramite dei propri rappresentanti in Parlamento.
  • Il referendum popolare è, per contro, strumento di democrazia diretta, nel senso che il popolo esprime la propria volontà e legifera senza il filtro del Parlamento. È evidente che tale sistema è, in linea di principio, antitetico ed incompatibile con quello di democrazia indiretta. Nondimeno il legislatore costituente lo previde all’articolo 75 della Costituzione, ma solo abrogativo, quale mezzo di carattere eccezionale, da esercitare con determinate modalità, qualora una legge o un atto normativo non fosse condiviso dalla maggioranza dei cittadini.

II.

Il procedimento per il ricorso alle urne si apre con la raccolta da parte dei promotori di 500.000  firme di elettori, ovvero quando lo richiedono almeno 5 consigli regionali. Raggiunti i requisiti prescritti, il quesito referendario viene presentato alla cancelleria della Corte di Cassazione ove è istituito l’Ufficio centrale per il referendum; tale Ufficio verifica che il quesito referendario sia rispettoso dei limiti di un quesito abrogativo, non propositivo, e conforme alle norme di legge, e verifica eventuali irregolarità.

Ove dette eventuali irregolarità siano sanate dai presentatori, l’Ufficio centrale si pronuncia definitivamente sulla legittimità della richiesta. Dopo il giudizio dell’Ufficio centrale per il referendum il quesito referendario è sottoposto al vaglio della Corte costituzionale la quale valuta quale sarebbe il risultato che conseguirebbe in caso di successo dell’iniziativa referendaria e se lo stesso sia conforme ai parametri costituzionali.

Giova sottolineare che il giudizio, tanto dell’Ufficio elettorale per il referendum che della Corte costituzionale, è di pura legittimità e non investe il merito del quesito referendario.

Sembra dunque che il signor Cappato sia stato quantomeno avventato ed impreciso nell’affermare che quello era un giorno triste per la democrazia senza specificare a quale tipo di democrazia si riferisse: per la democrazia diretta, forse, non certo per quella indiretta a base dell’Ordinamento, perché, come detto, tanto la Cassazione che la Corte Costituzionale hanno fatto uno scrutinio meramente formale, senza investire il merito del quesito, a garanzia dei parametri costituzionali.

Quanto all’asserito vulnus al diritto di autodeterminazione, è a dire che, indubbiamente, esso è una diretta emanazione, un attributo inviolabile del diritto di libertà ma, per rimanere entro i confini dell’Ordinamento, non può espandersi illimitatamente, come vorrebbe una visione individualista ed utilitarista, perché, diversamente, da esercizio di un diritto di libertà sconfinerebbe nell’arbitrio.

III.

L’articolo 579 del codice penale, oggetto di referendum abrogativo parziale, è il seguente: (Omicidio del consenziente). Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui (c.p. 50) è punito con la reclusione da sei a quindici anni.

Non si applicano le attenuanti indicate nell’articolo 61. Si applicano le disposizioni relative all’omicidio (c.p. 575, 576, 577) se il fatto è commesso:

  1. contro una persona minore degli anni diciotto;
  2. contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcoliche o stupefacenti;
  3. contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno.

Il quesito referendario è il seguente: volete voi che sia abrogato l’art. 579 del codice penale, omicidio del consenziente, approvato con Regio decreto 19 ottobre 1930 numero 1398 limitatamente alle seguenti parole “la reclusione da sei a quindici anni”; comma due integralmente; comma tre limitatamente alle seguenti parole “si applicano”?

Il testo che sarebbe derivato dall’accoglimento del quesito referendario sarebbe stato il seguente: Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con le disposizioni relative all’omicidio se il fatto è commesso: 1) contro una persona minore degli anni diciotto; 2) contro una persona inferma di mente o che si trova in condizione di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcoliche o stupefacenti; 3) contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno.

IV.

Note esplicative: per la piena comprensione della portata dell’articolo 579 del codice penale occorre considerare che il consenso dell’avente diritto è una circostanza di fatto, cosiddetta esimente o scriminante, la cui sussistenza impedisce che si realizzi la fattispecie criminosa. Si pensi, per esempio, al furto (art. 624 c. p.): la fattispecie è integrata allorché taluno si impossessi della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri.

Elemento caratterizzante, costitutivo della fattispecie è la sottrazione, dolosa, della cosa mobile altrui all’insaputa o contro la volontà del detentore; ma se il detentore acconsente alla sottrazione, essendo il consenso dell’avente diritto (ossia il consenso del detentore) una esimente, la fattispecie criminosa del furto non si realizza.

Ma se aver diritto su una cosa significa averne la disponibilità, allora la questione centrale è se la vita sia un bene, un diritto, disponibile.

V.

Dopo questi chiarimenti si può cogliere la portata effettiva della nuova formulazione dell’articolo 579 ove l’iniziativa referendaria fosse stata dichiarata ammissibile e accolta dal corpo elettorale: l’omicidio del consenziente sarebbe rimasto un reato soltanto se consumato ai danni dei soggetti individuati ai numeri 1, 2 e 3 del comma due, ossia: i minori d’età; gli infermi di mente o di chi si trova in condizioni di deficienza psichica per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcoliche o stupefacenti; chi il cui consenso sia stato estorto con violenza minaccia o suggestione ovvero carpito con inganno.

Ne viene che, al di fuori di questa casistica, l’omicidio del consenziente non sarebbe  più stato un reato penalmente perseguibile e dunque sarebbe potuto essere ucciso chiunque, ove maggiore di età, capace di intendere e volere ed avesse espresso un valido consenso in nome della disponibilità della vita e del suo diritto di autodeterminazione per le più varie ragioni, e l’autore dell’omicidio sarebbe stato scriminato senza essere sottoposto ad alcuna sanzione di carattere penale.

È certamente una conseguenza aberrante che, forse, va al di là anche degli intendimenti dei promotori del referendum o, quantomeno, c’è da sperarlo.

Tale interpretazione  è confermata dalla Corte Costituzionale laddove osserva che «il risultato oggettivo del successo dell’iniziativa referendaria sarebbe quello di rendere penalmente lecita l’uccisione di una persona con il consenso della stessa, sicché la norma verrebbe a sancire, all’inverso di quanto attualmente avviene, la piena disponibilità della vita di chiunque sia in grado di prestare un valido consenso alla propria morte senza alcun riferimento limitativo. L’effetto di liceizzazione dell’omicidio del consenziente oggettivamente conseguente alla vittoria del sì non risulterebbe affatto circoscritto alla causazione, con il suo consenso, della morte di una persona affetta da malattie gravi e irreversibili».

Rifacendosi ad una sua consolidata giurisprudenza la Corte precisa che non sono sottoponibili a referendum, al di là della lettera dell’articolo 75 secondo comma Cost., valori di ordine costituzionale e, tra questi valori, nell’ambito dei diritti fondamentali della persona, si colloca il diritto alla vita.

«Il diritto alla vita, prosegue la Corte,  implicitamente riconosciuto dall’articolo 2 della Costituzione, è da iscriversi tra i diritti inviolabili e cioè tra quei diritti che occupano nell’Ordinamento una posizione, per così dire privilegiata, in quanto appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana. Esso concorre a costituire la matrice prima di ogni altro diritto. È il primo dei diritti inviolabili dell’uomo, in quanto presupposto per l’esercizio di tutti gli altri. Da esso discende il dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo: non quello, diametralmente opposto, di riconoscere all’individuo la possibilità di ottenere dallo Stato o da terzi un aiuto a morire.

A questo riguardo, non può non essere ribadito il cardinale rilievo del valore della vita, il quale, se non può tradursi in un dovere di vivere a tutti i costi, neppure consente una disciplina delle scelte di fine vita che, in nome di una concezione astratta dell’autonomia individuale, ignori le condizioni concrete di disagio o di abbandono nelle quali, spesso, simili decisioni vengono concepite.

Quando viene in rilievo il bene della vita umana, dunque, la libertà di autodeterminazione non può mai prevalere incondizionatamente sulle ragioni di tutela del medesimo bene risultando, al contrario, sempre costituzionalmente necessario un bilanciamento che assicuri una sua tutela minima. Discipline come quelle dell’articolo 579 codice penale, poste a tutela della vita, non possono, pertanto, essere puramente e semplicemente abrogate, facendo così venir meno le istanze di protezione di quest’ultima a tutto vantaggio della libertà di autodeterminazione individuale».

Dunque, la declaratoria di inammissibilità del referendum sull’abrogazione parziale dell’art. 579 c.p., poggia sulla considerazione che il regime giuridico derivante dall’esito favorevole avrebbe menomato il diritto inviolabile della vita, nei termini illustrati sopra. Con buona pace di quanti azzardano giudizi ancor prima di conoscere.

C’è da augurarsi che il Parlamento, ove è in corso l’iter per l’approvazione di una legge sul fine vita, tenga conto degli orientamenti espressi in proposito dalla Corte Costituzionale.

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