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67 Aprile 2020
Speciale Emergenza Epidemiologica Covid-19: Riflessioni

Covid-19. Da Wuhan alla porta di casa: un virus annunciato

Coronavirus, questo sconosciuto

I coronavirus sono virus responsabili di infezioni che colpiscono sia gli animali, sia le persone. In queste ultime causano patologie generalmente comuni come il raffreddore. Dall’inizio del Terzo Millennio hanno provocato però malattie molto virulenti come la SARS (forma atipica di polmonite apparsa per la prima volta nel novembre 2002 in Cina) e il MERS (presente dal 2012, simile alla SARS ma con un tasso di letalità molto più elevato). Si sono sviluppate prevalentemente in alcune aree geografiche (Cina, Hong Kong e Penisola araba). Nel mese di dicembre del 2019 nella città di Wuhan, capoluogo della provincia cinese di Hubei con più di undici milioni di abitanti, è stato registrato un numero crescente di disturbi simil-influenzali (febbre, tosse, difficoltà respiratorie, dolori muscolari, astenia, disturbi gastrointestinali) che nei casi più gravi sviluppavano polmoniti con severi sintomi da distress respiratorio acuto, sepsi e shock settico.

Zeppegno Giuseppe Facoltà Teologica 2019-
Giuseppe ZEPPEGNO © Bioetica News Torino

In questi giorni sono stati pubblicati molti libri che descrivono l’origine, la diffusione e i danni che questo nemico invisibile provoca1. Rilevano che come per la SARS e il MERS, l’origine di questo virus è di natura zoonosica, cioè trasmissibile dagli animali vertebrati all’uomo. Pur non avendo sicure conferme, alcuni scienziati hanno ipotizzato che il “serbatoio” animale del virus sia stato il pipistrello. Il coronavirus del pipistrello si sarebbe poi combinato con il virus di un uccello o di un altro mammifero. Quest’ultimo animale avrebbe fatto da “vettore” causando il passaggio all’uomo. In un primo tempo si è ipotizzato che il contagio aveva avuto inizio dal mercato ittico di Wuhan dove, secondo l’uso della Cina continentale, si vendono per scopi alimentari animali selvatici. Secondo un articolo comparso su «National Geographic» nel febbraio scorso sono infatti almeno 54 le specie selvatiche consentite dal governo cinese ad uso alimentare tra cui pipistrelli, alcune razze di serpenti, visoni, criceti, tartarughe, coccodrilli siamesi, pangolini. Gli animali sono esposti in condizioni igieniche molto precarie. Sono spesso feriti e morenti, accatastati senza cura in gabbie arrugginite gli uni accanto agli altri. In queste condizioni diventa molto facile il passaggio dei virus da una specie all’altra.

La diffusione del virus

La comunicazione alla popolazione cinese del nuovo pericolo è stata tardiva. Il primo documento ufficiale infatti risale al 31 dicembre 2019 ed è stato inviato alla popolazione di Wuhan e all’OMS senza particolari allarmismi. Solo a partire dal 20 gennaio 2020 sono state messe in atto le misure di contenimento che prevedevano la messa in quarantena della città. Successivamente le stesse misure sono state imposte anche ad altre città della provincia di Hubei. Secondo il governo cinese la pandemia ha ucciso circa 2.500 cittadini ma molti ipotizzano che i dati non sono veritieri e i morti siano stati molti di più. C’è chi arriva addirittura a ipotizzare quarantamila decessi. Alla fine di gennaio si sono registrati i primi casi di contagio in Europa, Stati Uniti e Canada. Successivamente si sono riscontrati casi anche in Africa e Asia.

La nazione europea più colpita è stata l’Italia dove a fine marzo il numero complessivo dei contagi si aggirava attorno alle 100mila unità e le vittime erano più di 10mila. I primi due casi sono stati riscontrati a Roma dove il 30 gennaio sono stati ricoverati all’Ospedale Spallanzani due turisti cinesi sessantenni. Il primo contagiato italiano è stato un 38enne ricoverato il 21 febbraio all’ ospedale di Codogno (Lodi). Nello stesso giorno si sono contati altri 15 casi in Lombardia e un secondo focolaio si individua a Vo’ Euganeo (Padova). Pochi giorni dopo muore il primo italiano, un 78enne ricoverato nell’ospedale di Padova. La pandemia è stata affrontata dal governo italiano con misure drastiche. Dal 4 marzo si sono chiuse le scuole e si sono poste le prime norme restrittive che sono state via via inasprite dai successivi decreti. Dal 9 marzo tutta l’Italia è entrata in quarantena. Sono garantiti solo i servizi essenziali e la libertà di movimento dei cittadini è limitata ad alcune classi di lavoratori e ai casi di effettiva necessità. Le regioni più colpite sono la Lombardia, l’Emilia-Romagna, il Veneto, il Piemonte e la Toscana. A ruota in Spagna, Francia, Germania, Regno Unito e in alcune nazioni oltreoceano si è registrato un crescendo di casi e i governi hanno gradualmente posto misure restrittive della libertà di circolazione. Alcuni però hanno preferito limitare le norme di tutela mettendo in primo piano interessi di carattere meramente economico e finanziario.

Come prevenire e curare il contagio

Il virus si diffonde per via aerea (starnuti, tosse, secrezioni, …). Chi ha contratto la patologia non deve rimanere a contatto con altre persone, ma i tempi di incubazione possono durare da 2 a 14 giorni. In questo periodo la persona affetta può non avere alcuna manifestazione o sintomi insignificanti. Alcuni soggetti poi risultano del tutto asintomatici ma possono trasmettere il virus. Quando si è a contatto con altre persone è particolarmente utile perciò avere l’accortezza di mantenere una distanza di sicurezza (almeno un metro), curare l’igiene delle mani, non toccare occhi, naso e bocca e indossare mascherine idonee. Alla comparsa dei sintomi il mezzo diagnostico sicuro per stabilire se si è contratta la malattia è il tampone faringeo. Non è ancora stato individuato un vaccino e sono allo studio diverse possibilità terapeutiche. All’insorgere della patologia sono particolarmente utili i farmaci sintomatici come il paracetamolo. Il ricovero in ospedale è giustificato solo quando si verificano complicazioni gravi quali la polmonite e la compromissione della funzionalità respiratoria. Sono maggiormente a rischio le persone anziane o con patologie preesistenti, ma anche i bambini e i giovani possono contrarre il virus.

Questioni bioetiche

Un primo grande problema è dato dall’emergenza sanitaria che si è venuta a creare. I reparti di terapia intensiva sono al collasso, scarseggiano le risorse necessarie, gli operatori sanitari sono costretti a turni massacranti e spesso non hanno a sufficienza i mezzi indispensabili di protezione. Tanti di loro si sono ammalati e alcuni sono anche morti. La Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva (SIAARTI), non a caso, ha pubblicato una raccomandazione che richiama alcuni principi caratteristici della bioetica delle catastrofi secondo cui, quando i mezzi sono inferiori al bisogno, si deve favorire chi ha maggiori speranze di vita.

Il prof. Antonio G. Spagnolo, coordinatore della sezione di Bioetica e Medical Humanities della sede romana dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha evidenziato che in questi frangenti si deve compiere un attento triage utile a verificare quali sono le cure proporzionate per ogni singolo paziente evitando ogni forma di futility. Questo principio è confermato dalla legge 219/2017 art. 2,2 in cui si sostiene che «Nei casi di paziente con prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte, il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili o sproporzionati». È altresì necessario non definire in base a criteri utilitaristici determinati unicamente da parametri generici stabiliti a priori. La non somministrazione delle terapie sproporzionate però non deve equivalere all’abbandono del paziente che sempre deve essere accompagnato dalla necessaria palliazione.
Un altro aspetto rilevante è quello della sperimentazione farmacologica. Là dove, come nel caso del COVID-19, non si è ancora individuata una terapia sicura, è opportuno somministrare farmaci cosiddetti compassionevoli, cioè utilizzati efficacemente per altre patologie, ma che si suppone possano servire anche per altre applicazioni terapeutiche. Questa scelta non può essere arbitrariamente presa dal singolo medico e purtroppo non è ben normata a livello giurisprudenziale. Anche in situazione di emergenza sembra indispensabile la primaria valutazione del comitato etico affinché sia attentamente considerato il rischio proporzionato. Prima di passare alla somministrazione e però ineludibile il consenso del paziente se cosciente o dei fiduciari, interpreti autorevoli della volontà del malato.

Vivere il tempo del coronavirus da uomini solidali

Siamo invitati a vivere questi giorni in modo del tutto speciale. Siamo disorientati perché in un attimo sono cadute tante nostre sicurezze. È terminata per i più la vita di relazione, abbiamo dovuto cancellare tanti impegni, incontri e riunioni che alimentavano con qualche affanno le nostre giornate ma che per altri versi ci stordivano e ci davano sicurezza perché ci facevano sentire vivi ed operosi. Ci siamo trovati improvvisamente più soli e inappagati. Tutto ci sembra irreale: strade vuote, bollettini d’informazione allarmanti e notizie che ci giungono da ogni dove di amici e parenti malati. Ci sentiamo più fragili, impauriti e forse anche smarriti.

In questo marasma di pensieri accogliamo l’invito che Papa Francesco nell’omelia pronunciata il 27 marzo sera sul sagrato della basilica di San Pietro durante la preghiera straordinaria in tempo di pandemia, ha rivolto all’umanità e impariamo a vivere questo tempo in nuda semplicità. Sentiamo forte ora l’appello a tornare al realismo della fede. Con Hans Jonas ricordiamoci che Dio guarda alle pene di questo nostro tempo, come ha guardato alle pene di chi morì ad Aushwitz, con gli occhi di chi soffre. Egli è vicino con tutto se stesso, infonde forza e coraggio per una sana operosità, ma non interviene cambiando le sorti dell’umanità perché ha autolimitato la sua onnipotenza nel momento in cui ha donato all’uomo il libero arbitrio, quel libero arbitrio che gli offre la possibilità di scegliere costantemente tra bene e male (Jonas, Il concetto di Dio dopo Auschwitz, 1987).

È allora prima di tutto necessario un serio esame di coscienza per ciascuno di noi e per tutto l’Occidente. Chiediamoci − come ha suggerito il Papa− se non sia il caso di riconoscere che «siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci di tutto». Ci «siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta» senza ascoltare il grido dei poveri del Terzo e Quarto Mondo che hanno vissuto senza mezzi ben più gravi epidemie (febbre Congo-Crimea, Ebola, febbre emorragica di Marburg, febbre di Lassa, Mers, Sars, infezione da virus Nipah, febbre della Rift Valley, Chikungunya, Severe fever with thrombocytopenia syndrome e Zika virus). Siamo rimasti indifferenti anche di fronte al grido del nostro pianeta malato» e «abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato».

Quali insegnamenti trarre da questa pandemia

Il coronavirus – scrive Lorenzo Fazzini – «ci ha insegnato di nuovo che abbiamo un limite, che siamo un limite. Noi umani non siamo né dei né Dio. Potessimo anche risolvere tutti i problemi che Greta ci ha suggerito di affrontare (ghiacciai che si sciolgono, temperature che impazziscono), comunque rimane qualcosa di irriducibilmente indisponibile a noi, chiamala se vuoi natura, che fa quel che vuole. E che se vuole mandarci un virus per il quale da mesi non troviamo una cura (noi che siamo andati sulla luna e abbiamo inventato le auto che marciano da sole), ebbene, questa dovrebbe essere una lezione. Per tutti. Siamo un limite. Siamo limitati. Prendiamone atto. Facciamone tesoro. Inscriviamolo nelle nostre scuole, palestre, banche, chiese, parlamenti, case. Siamo limitati. Non tutto ci è possibile» (Fazzini, Dio in quarantena. Una teologia del coronavirus, 2020: 17).

Viviamo «questo tempo di prova, come un tempo di scelta» idoneo per individuare «che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è» (Papa Francesco, 27 marzo 2020). Viviamo questo tempo anche come un tempo di responsabilità. Prendiamo esempio dai tanti “novelli cristi” che sono in prima linea a combattere questo male invisibile anche a costo della loro vita (medici, infermieri, volontari, cappellani d’ospedale, preti di parrocchia che dedicano il loro tempo a incoraggiare attraverso le più diverse vie telematiche e a dare sostegno alimentare a chi non ha di che vivere, …).

Ricordiamoci anche che questo è il tempo della parola misurata. Sono nauseanti, infatti, i più strani “appelli fai da te” che girano a spron battuto attraverso gli innumerevoli social, le dietrologie di chi a tutti i costi vuol assegnare lo sviluppo della pandemia a improbabili movimenti cospiratori e i narcisistici e gridati proclami di quanti, religiosi e non, usano questo tempo per imbonire, per mettersi in mostra e magari anche per chiedere sovvenzioni per le loro attività.

Coronavirus. Quale futuro?

Guardiamo fin da ora al futuro. In questi frangenti torna alla mente il romanzo di Rafael Argullol La ragione del male (trad. it. 2018). Racconta una vicenda che sembra molto simile a quella che noi stiamo vivendo. Un morbo misterioso si abbatte in una città senza nome e riduce i contagiati alla totale passività. Quando la pandemia cessa, tutto torna come prima e la vicenda vissuta pare solo un brutto sogno senza alcuna traccia nelle coscienze della popolazione. Quando le restrizioni che caratterizzano questo nostro tempo saranno limitate, noi non potremo fare altrettanto perché fino a quando qualcuno nel mondo contrarrà il virus continueremo ad essere tutti a rischio.

Come ha affermato Gordon Lichfield, direttore di «MIT Technology Review», è realistico pensare che «per fermare il coronavirus dovremo cambiare radicalmente quasi tutto quello che facciamo: come lavoriamo, facciamo esercizio fisico, socializziamo, facciamo shopping, gestiamo la nostra salute, educhiamo i nostri figli, ci prendiamo cura dei nostri familiari». Soprattutto dovremo ricordarci che questi cambiamenti svantaggeranno soprattutto i più deboli. Loro più che altri avranno bisogno di un’attenzione sociale rinnovata. Proponiamoci quindi di stare in comunione non solo in questi giorni con chi ci sta accanto, ma anche in futuro con uno stile di vita che ci faccia uscire dal nostro piccolo mondo, dai nostri piccoli affanni e dalle inconsistenti controversie di ogni giorno per incarnare, con tutte le nostre forze, il valore della solidarietà senza riserve.

 


Note

1 Tra i tanti testi pubblicati, cito quelli che ho consultato per la stesura di quest’articolo:
AMADORE N. ET AL., Coronavirus. La battaglia contro la malattia del secolo, Il Sole 24 Ore, Milano 2020;
BURIONI R., Virus, la grande sfida. Dal coronavirus alla peste: come la scienza può salvare l’umanità, Rizzoli, Segrate 2020;
CAPOBIANCHI M., Coronavirus. Cos’è, come ci attacca, come difendersi, Castelvecchi, Roma 2020;
FAZZINI L., Dio in quarantena. Una teologia del coronavirus, EMI, Verona 2020;
RAVIZZA S. (Ed.), 50 domande sul coronavirus. Gli esperti rispondono, Solferino, Milano 2020.

 

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