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82 Ottobre - Novembre 2021
Speciale I diritti umani nella società contemporanea

Donne e diritti in Afghanistan


Dopo il ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan e il contestuale ritorno al potere dei talebani lo scorso agosto, sui mass media occidentali e sui social non si fa che parlare delle donne afghane e dei loro diritti minacciati. In effetti in passato i talebani hanno letteralmente annichilito l’identità femminile, impedendo alle donne di andare a scuola, uscire di casa da sole, recarsi a lavorare o scoprire un lembo di pelle in pubblico. Qualcuno ha definito quel periodo, tra il 1996 e il 2001, uno «sterminio della personalità femminile», aggiungendo provocatoriamente che «non è stato perpetrato fisicamente solo perché le donne “servono” a partorire»1.

Nelle prime dichiarazioni del nuovo governo, i talebani hanno prospettato una maggiore apertura e un’applicazione meno rigida dei precetti religiosi. Tuttavia, pochi giorni dopo, hanno chiesto alle lavoratrici di restare a casa finché non saranno attuati sistemi adeguati a garantire la loro incolumità, perché «le nostre forze di sicurezza non sono addestrate su come trattare con le donne, come parlare con le donne»2. Nelle ultime settimane, inoltre, i talebani hanno picchiato e sparato lacrimogeni su decine di donne scese in strada per manifestare, hanno licenziato giornaliste e cercato casa per casa i loro nemici, tra cui le attiviste.

SHARIA: RELIGIONE E DIRITTO

Contrariamente alla vulgata comune, la discriminazione di genere non è insita nel Diritto islamista. In base al Corano, infatti, le donne sono uguali agli uomini di fronte ad Allah. Tuttavia il “sistema giuridico” islamista si basa prevalentemente sulla Sharia, serie di principi elaborati a partire dall’interpretazione delle due principali fonti tradizionali Corano e Sunna3. Non essendo un documento scritto, la Sharia si sottrae al controllo dello Stato di diritto, sia in termini di certezza delle norme sia di applicazione uniforme della legge, nonché in tema di controllo da parte di organi giurisdizionali indipendenti. Questo spiega perché, al di là della Legge scritta (la Costituzione afghana del 2004 riconosce parità di diritti tra i generi4 o dei governi che si susseguono e che di volta in volta limitano o ampliano le libertà femminili, continui a prevalere nel tempo e in gran parte dell’Afghanistan una mentalità conservatrice, che non è di aiuto alla vera emancipazione femminile.

Nelle zone rurali del Paese i capi villaggio sono al di sopra della legislazione nazionale e decidono ogni dettaglio della vita privata: dall’imposizione del burqa, ai matrimoni combinati tra adolescenti e combattenti mujaheddin, dalla punizione con lapidazione per le adultere al divieto di ascoltare musica o ballare. I nomi stessi delle donne sono un tabù, non vengono menzionati, non compaiono nei documenti e neppure sulle lapidi dei cimiteri5. E si sta parlando del 78% della popolazione afghana, dato che solo il 22% vive nelle aree urbanizzate più “emancipate”6.

Dopo un periodo di apertura tra gli anni Settanta e Ottanta, sotto la guida dell’ultimo sovrano Mohammed Zahir Shah e il successivo regime filo-comunista, i diritti delle donne sono stati drasticamente limitati sia dal governo dei mujaheddin (1992-1996) sia da quello talebano (1996-2001). Negli ultimi vent’anni di influenza e occupazione statunitense, i diritti delle donne sono mediamente migliorati, ma nelle campagne la situazione continua a essere pessima.

DISCRIMINAZIONE DI GENERE
I dati parlano chiaro. Secondo Osservatorio Afghanistan7 nel Paese il tasso di analfabetismo femminile si aggira tra l’84 e l’87%; il 66% delle ragazzine tra i 12 e i 15 anni non studia; il 60-80% delle donne è costretto dalla famiglia a sposarsi contro il proprio volere. La violenza domestica è molto diffusa. E non vanno meglio l’ambito lavorativo (donne scarsamente istruite al massimo possono dedicarsi alle pulizie e al cucito) e la situazione sanitaria: la mortalità materna è ancora altissima e il 95% dei suicidi si registra tra le donne.

Come in tutte le società, anche in Afghanistan ci sono donne che accettano la sottomissione e altre che si ribellano e lottano per i propri diritti e l’eguaglianza di genere. Da decenni operano in loco varie associazioni femministe tra cui Rawa, la Revolutionary Association of the Women of Afghanistan, nata nel 1977. In una articolata intervista pubblicata il 20 agosto 20218 illustrano la loro posizione riguardo al ruolo delle truppe statunitensi a garanzia dei principi democratici e a tutela delle donne: «In questi vent’anni una nostra richiesta è sempre stata la fine dell’occupazione Usa/Nato, meglio se contestualmente avessero portato via i loro fondamentalisti islamici e tecnocrati e lasciato che il nostro popolo decidesse del proprio destino. Questa occupazione ha portato solo spargimento di sangue, distruzione e caos. Hanno trasformato il nostro Paese in un luogo più corrotto, più insicuro, dominato dalla mafia della droga e pericoloso soprattutto per le donne. Un risultato prevedibile fin dall’inizio. L’11 ottobre 2001, quindi nei primi giorni dell’occupazione, avevamo dichiarato: “La continuazione degli attacchi statunitensi e l’aumento del numero di vittime civili innocenti non solo fornisce una scusa ai talebani, ma provocherà anche il rafforzamento delle forze fondamentaliste nella regione e nel resto del mondo”».

E aggiungono: «È una beffa dire che valori come “diritti delle donne”, “democrazia”, “costruzione della nazione”, eccetera facevano parte degli obiettivi degli Usa/Nato in Afghanistan. Gli Stati Uniti erano in Afghanistan al fine di rendere la regione instabile e sede di gruppi terroristici per accerchiare le potenze rivali, specialmente Cina e Russia, e minare le loro economie attraverso guerre regionali. (…) Ora l’Afghanistan è di nuovo sotto i riflettori perché i talebani sono al potere, ma quella che vedete oggi è la stessa situazione che abbiamo vissuto negli ultimi 20 anni, durante i quali ogni giorno centinaia di persone sono state uccise e il nostro Paese distrutto, solo che raramente è stato riportato dai media».

Un giudizio altrettanto netto riguarda la millantata disponibilità dei talebani a una maggiore apertura verso i diritti delle donne: Rawa ritiene che si tratti «solo di una farsa, recitata nel tentativo di guadagnare tempo per riorganizzarsi. Gli eventi sono stati così convulsi che stanno velocemente cercando di costruire la loro struttura di governo, creare la loro intelligence e mettere in piedi il Ministero per la Promozione della Virtù e la Prevenzione del Vizio, responsabile del controllo dei piccoli dettagli della vita quotidiana delle persone, come la lunghezza della barba, il codice di abbigliamento e l’obbligo per le donne di avere un mahram, un accompagnatore uomo, che può essere solo il padre, il fratello o il marito. (…) Inoltre, i talebani vorrebbero anche che l’Occidente li riconoscesse e li prendesse sul serio, e tutte queste affermazioni sono parte del tentativo di dare una certa immagine edulcorata di sé. Ma queste messinscene non cambieranno mai la loro vera natura. Saranno sempre dei fondamentalisti islamici: misogini, disumani, barbari, reazionari, antidemocratici e antiprogressisti».

In definitiva ciò che associazioni come Rawa chiedono all’Occidente come all’Oriente è di «alzare la voce e protestare contro le politiche di guerra dei loro governi. (…) Pensiamo che l’impero militare statunitense non sia solo nemico del popolo afgano, ma anche la più grande minaccia alla pace e alla stabilità del mondo. Ora che il sistema è sull’orlo del declino, è dovere di tutti gli amanti della pace e della giustizia (…) intensificare la lotta contro i guerrafondai».

Dello stesso parere Tiziana Dal Pra, membro del Cisda – Coordinamento italiano sostegno donne afghane onlus, attivo dal 2004 in tutta Italia9. «Noi capimmo vent’anni fa che le donne afghane non avevano mai chiesto di essere salvate, hanno una loro storia, e prima dei talebani anche là andavano in giro coi capelli sciolti e le gonne corte. Non possiamo credere di essere andati lì come occidentali a insegnare qualcosa, non sono popolazioni incivili, ma con un loro percorso di autodeterminazione che avevano avviato già prima dell’occupazione; quello che noi possiamo fare è supportarle, oggi come allora».

Anna Detheridge, attivista e fondatrice del movimento Connecting Cultures, scrive10: «La triste conclusione, non solo degli ultimi vent’anni di guerra in Afghanistan ma di un peacekeeping armato che giustifica esclusivamente guerre neocoloniali durate 50 anni, era una tragedia annunciata11. (…) Gli interventi di peacekeeping imposti con la forza hanno distrutto proprio quelle culture che – ciascuna a modo suo – costituivano un crogiuolo di civiltà con modalità di convivenza diverse e anche una buona misura di prosperità (penso alla Siria, al Libano, alla Bosnia); hanno destabilizzato e desertificato, incattivendo e polarizzando le popolazioni».

Detheridge, come peraltro lo storico Franco Cardini12, parla di «insopportabile ipocrisia di società che vivono di fini “distinguo” sul politically correct a casa propria e che conducono guerre bombardando dall’alto le popolazioni per il bene dell’umanità. Questa immane tragedia afghana deve farci riflettere su cosa significa per noi oggi essere “occidentali”, su cosa intendiamo quando parliamo di valori e identità. E che non mi si parli di salvare le donne dell’Afghanistan, le cui sorti non sono mai state al centro di alcun progetto politico, tanto meno oggi, palesemente abbandonate al loro destino».

In conclusione per la Detheridge «in Occidente come al solito parliamo – dall’alto di un piedistallo che ci siamo costruiti da soli – di contesti e situazioni che non conosciamo, ergendoci a giudici della cultura e della storia altrui, senza considerare che queste tragedie, in quelle e altre terre colonizzate, sono le conseguenze della violenza della nostra cultura e della nostra storia».

LA VOCE DEI GOVERNI EUROPEI PER LE DONNE AFGHANE

Altrettanto paradossale, d’altronde, è la risposta all’emergenza arrivata dai governi europei riuniti a Roma il 13-15 luglio scorsi per il G20 sulle donne13: il piano, più che accogliere le afghane nell’Unione, è di “esternalizzare” al massimo chi cerca rifugio, rinviandolo a Paesi tutt’altro che favorevoli all’emancipazione femminile14. Sicché l’Ue si predispone a versare denaro dei contribuenti nelle casse di Recep Tayyp Erdogan, lo stesso presidente turco che ha sfilato il suo Paese dalla Convenzione di Istanbul14, oltre a sfilare la poltrona a Ursula von der Leyen15.

Ancor più surreale per le sorti delle afghane è che i governi europei includano Pakistan e Iran nella lista di Paesi da sostenere economicamente per l’accoglienza delle rifugiate. Il capo di governo pachistano, Imran Khan, si è fatto notare proprio quest’estate per aver detto che la colpa del picco di violenze sessuali nel Paese «è delle donne che si coprono poco». Nel Global gender gap report del 202117 d’altronde, il Pakistan è al 153° posto su 156 e, in fondo, c’è l’Afghanistan del “progredito” ventennio filo-statunitense. In Iran, che è al 150° posto della stessa classifica, 7 donne su 10 hanno subito violenza di genere, la loro rappresentanza politica è quasi nulla, meno di una su cinque lavora e, se lo fa, guadagna meno di un quinto di un uomo.

COME È LA SITUAZIONE SULLA PARITÀ DI GENERE IN OCCIDENTE?

D’altro canto, parliamoci chiaro. Il divario di genere e la violenza contro le donne interessano, seppure in misura meno grave, anche l’Occidente e i Paesi che si considerano più “avanzati” e per questo impegnati a esportare i loro valori in quelli “arretrati”: basti pensare alle cronache quotidiane sulle vittime di femminicidio in Italia, al movimento «MeToo» contro le molestie sessuali e la violenza sulle donne, nato nel 2017 negli Stati Uniti e poi diffusosi in Francia, Spagna, Canada… Persino la pandemia da Covid 19 si è accanita in particolare sulle donne, che hanno visto aumentare il loro livello di disoccupazione e le violenze domestiche a opera dei partner.

«È il 2021 e stiamo ancora lottando per i diritti di base», commenta la scrittrice Giulia Blasi18, «come se la loro negazione fosse uno sfortunato incidente e non il risultato di una perdurante marginalità legata a un sistema iniquo, modellato per intero intorno allo sguardo, alle necessità e alle priorità maschili, che tratta le donne e le minoranze (due sottoinsiemi che spesso si sovrappongono) come problemi, temi, cose di cui occuparsi a tratti e sempre a posteriori, quando va bene. Una società che non mette le donne al centro né permette loro di concorrere, alla pari, alla creazione delle regole d’ingaggio. Una società in cui una minoranza di individui opera in un regime di sostanziale dittatura culturale, sostituendosi a ogni altra esperienza nel definire la scala delle priorità».

Insomma il problema esiste, ma non da oggi, non solo in Afghanistan, non solo tra i maschi. La discriminazione di genere è, parafrasando Hanna Arendt, un “male banale”19, tanto subdolo da indurre la maggioranza di noi a ritenere di non condividerlo, mentre siamo un po’ tutti vittime e carnefici.

Note

1 G. SGRENA, Dio odia le donne, Il Saggiatore 2016

2 Z. MUJAHID, portavoce dei talebani, conferenza stampa del 24 agosto 2021

3 M. CUPERSITO, Afghanistan. diritti delle donne e interpretazione della sharia: come sarà applicata la legge coranica?, su notiziegeopolitiche.net (25 agosto 2021)

4 https://www.jstor.org/stable/25814763

5 AMNESTY INTERNATIONAL, Women in Afghanistan: a human rights catastroph, 17 maggio 1995, Index Number: «ASA» 11/003/1995

6 Condizione della donna in Afghanistan, Wikipedia

7 https://www.osservatorioafghanistan.org/, dati aggiornati al 2020

8 http://www.rawa.org/index.php

9 L. GIORGI,  A Kabul vent’anni fa le donne resistevano già: sosteniamole, «Corriere Romagna», 23 agosto 2021

10  A. DETHERIDGE, Afghanistan, la follia di fare la guerra per costruire la pace, in «Vita internazionale», 20 agosto 2021

11 G. BRECCIA,  Missione fallita: la sconfitta dell’Occidente in Afghanistan,  Il Mulino 2019

12 F. CARDINI, L’ipocrisia dell’Occidente. Il Califfo, il terrore e la storia, Laterza 2015

13 https://w20italia.it/w20_summit/ 

14 F.  DE BENEDETTI,  Invece di accogliere le afghane in fuga le manderemo nei Paesi che odiano le donne,   «Domani», 27 agosto 2021

15 CONVENZIONE DEL CONSIGLIO D’EUROPA SULLA PREVENZIONE E LA LOTTA ALLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE E LA VIOLENZA DOMESTICA, 2011

16 Erdogan lascia senza sedia von der Leyen, video e polemiche, «Adn Kronos», 7 aprile 2021

17 https://www.weforum.org/reports/ab6795a1-960c-42b2-b3d5-587eccda6023

18 G. DI BLASI,  La solita tiritera del femminismo e del patriarcato, «Valigia Blu»,  28 maggio 2021

19 H. ARENDT, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme,  Feltrinelli, 2019

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