Tornare a Black Mirror è un po’ come salire su una giostra che conosci bene, ma che ogni volta ti promette una curva inaspettata. Con la settima stagione, disponibile su Netflix dal 10 aprile, la creatura distopica di Charlie Brooker torna a mettere a fuoco le paure contemporanee, ma con un tocco diverso, forse più umano che mai. È una stagione che alterna alti vertiginosi e cadute prevedibili, ma riesce comunque a lasciare il segno. Come un luna park con un’unica, indimenticabile attrazione: Common People.
“Common People”: il cuore pulsante della stagione
Questa è la puntata che, probabilmente, ricorderemo più di tutte. Una storia d’amore e disperazione, in un futuro fin troppo vicino. Amanda (Rashida Jones) scopre di avere un tumore inoperabile. La tecnologia – la ormai onnipresente e invasiva Rivermind – offre una possibilità: caricare parte della sua coscienza in un server accessibile, ma solo per chi può permettersi un abbonamento mensile. I primi mesi tutto funziona, poi arrivano i limiti: funzionalità che si spengono, pubblicità invasive, aggiornamenti che costano sempre di più. La metafora non è neppure troppo nascosta, ma è efficace. Siamo già lì, a pagare un po’ alla volta per cose che ieri erano gratuite.
La potenza emotiva, però, non viene solo dalla critica al capitalismo digitale. La vera forza è nella relazione tra i due protagonisti, nel lento logorarsi di Mike (un sorprendente Chris O’Dowd) davanti all’inevitabile. La tecnologia non è solo una minaccia, è la misura dell’impotenza umana di fronte alla perdita. “Common People” ti lascia con un nodo in gola e la certezza che, sotto la superficie metallica del futuro, batte ancora il cuore più antico del mondo: quello dell’amore.
Il ritorno di “USS Callister”: dentro l’infinito
La seconda punta di diamante è USS Callister: Into Infinity, seguito diretto di uno degli episodi più amati di sempre. Con Cristin Milioti e Jimmi Simpson di nuovo nei rispettivi ruoli, il sequel espande l’universo del primo episodio spingendo ancora di più sulla satira del potere, sulla vendetta e sull’evoluzione morale. I riferimenti al mondo dei videogiochi e alla cultura nerd sono taglienti, ma mai gratuiti. Il risultato è un episodio dinamico, ironico e profondamente disturbante.
Esperimenti emotivi e distorsioni digitali
Eulogy, con un intenso Paul Giamatti, si muove su un piano intimo. Il protagonista utilizza una tecnologia per rivivere i ricordi della donna amata. Ma quello che sembra un gesto romantico, si rivela una trappola emotiva: i ricordi, ci dice Brooker, non sono verità oggettive, ma ricostruzioni personali, spesso distorte. La malinconia si insinua sottopelle, e l’episodio colpisce per la sua riflessione sottile sull’autonarrazione e sull’inganno del cuore.
Meno incisivi gli altri episodi, come Plaything, che si salva giusto grazie alla prova eccentrica di Peter Capaldi, e Bête Noire, con un twist finale che lascia più confusi che colpiti. Hotel Reverie, invece, affascina per l’idea – rivivere i film d’epoca accanto a personaggi IA – ma non riesce a svilupparla fino in fondo.
Più che su innovazioni tecnologiche, Black Mirror 7 si concentra sulle emozioni che resistono: il dolore, il rimpianto, l’amore. È meno cinica, forse, rispetto al passato, ma anche più adulta. La paura del futuro resta, certo, ma è ormai chiaro che ciò che ci preoccupa davvero non sono i chip o le reti neurali: sono le scelte che facciamo, gli affetti che perdiamo, la nostra incapacità di affrontare la solitudine.
© Bioetica News Torino, Maggio 2025 - Riproduzione Vietata