Le nanoplastiche rappresentano una minaccia ambientale e sanitaria che richiede un'attenzione urgente e un impegno significativo. I risultati di questi primi studi invitano a continuare nella ricerca per comprenderne la complessa interazione con l'ambiente e gli organismi viventi.
Intorno alla metà del XIX secolo e precisamente nel 1861, un chimico inglese brevettò un materiale che avrebbe rivoluzionato la storia: la plastica. Tale scoperta ha avuto una graduale, ma inarrestabile diffusione nel mondo, entrando in ogni ambito della nostra vita. Non vi è ormai oggetto di qualsiasi dimensione ed utilizzo che non possa essere costruito con plastiche, pur nelle loro più svariate tipologie (dal nylon al PVC). Tuttavia, ogni medaglia ha il suo rovescio e, unitamente ad economicità, duttilità e resistenza, le materie plastiche hanno nel tempo fatto emergere i loro limiti, in primis, un elevato potere inquinante. Infatti, la dispersione ed il loro accumulo ambientale (aria, terra, acqua) hanno ricadute su fauna, flora ed inevitabilmente sull’uomo. Pertanto, alla luce dei fatti, la transizione ecologica non è più soltanto un vezzo, un’opinione, ma una vera e propria emergenza planetaria.
Enrico Larghero
Uno studio condotto dall’Università Cattolica e recentemente pubblicato dalla rivista Plant Physiology and Biochemistry ha rivelato che le foglie e le radici della lattuga che consumiamo abitualmente possono essere alterate dalla presenza di particelle di plastica. Secondo i ricercatori, le nanoplastiche influenzerebbero la crescita dell’apparato fogliare, mentre le microplastiche ridurrebbero la massa dell’apparato radicale.
Le micro e le nanoplastiche derivano dalla frammentazione dell’enorme quantità di plastica impiegata nelle normali attività quotidiane. Influiscono su tale processo non solo la loro manipolazione, ma anche agenti esterni come i raggi ultravioletti, il movimento delle onde o del vento, gli enzimi naturali. Recenti studi hanno individuato nell’attività di alcuni organismi, come il plancton e il krill antartico, una possibile ulteriore causa della produzione di microplastiche e, in particolare, di nanoplastiche.
Queste ultime rappresentano una minaccia insidiosa perché sono più difficili da individuare rispetto alle microplastiche; rilasciate nell’aria, possono viaggiare per migliaia di chilometri fino alle estremità polari. Si tratta di frammenti inferiori ai 100 nanometri, ovvero mille volte più piccoli del diametro di un capello umano che misura circa 80.000-100.000 nanometri.
La dottoressa Stacey Harper, esperta di nanotossicologia, dirige un laboratorio presso l’Oregon State University che esamina gli impatti sulla salute e la sicurezza ambientale dei materiali ingegnerizzati e i detriti di plastica su scala nanometrica. L’obiettivo che si pongono questi ricercatori è individuare i rischi e supportare decisioni che proteggano il nostro ambiente e la salute umana. La dottoressa Harper ipotizza che esistano sin dall’invenzione della plastica, ma gli scienziati hanno iniziato a studiarle seriamente solo negli ultimi cinque anni e i dati a loro disposizione non sono al momento sufficienti a determinare la quantità di questi minuscoli frammenti presenti nell’ambiente.
Gli esperimenti condotti sugli animali hanno prodotto risultati preoccupanti: le nanoplastiche, grazie alle loro dimensioni ridottissime, riescono con estrema facilità a penetrare e ad accumularsi negli organi vitali come cervello, fegato e polmoni, causando danni gravissimi. Le ricerche effettuate sui pesci zebra hanno addirittura dimostrato che queste particelle possono essere trasferite dalla madre alla prole attraverso la placenta, con potenziali implicazioni per la salute riproduttiva e lo sviluppo embrionale.
Un ulteriore studio coordinato dal Cnr1 in collaborazione con il Dipartimento di Fisica dell’Università La Sapienza di Roma, pubblicato sulla rivista Science of The Total Environment, ha confermato che l’inalazione delle nanoplastiche non solo provoca un deterioramento degli organi, ma come spiega Stefano Farioli Vecchioli del Cnr, «induce un grave difetto nelle capacità olfattive degli animali, associato a un persistente deficit della funzionalità dei neuroni del bulbo olfattivo, la regione del cervello deputata al riconoscimento degli odori».
Nel Comunicato stampa del Cnr emerge un ulteriore potenziale collegamento tra gli effetti provocati da queste particelle e patologie invalidanti come Alzheimer e Parkinson. Dice Farioli Vecchioli «[…] circa il 95% dei pazienti con Alzheimer e Parkinson soffre di disturbi olfattivi, che si manifestano 10-15 anni prima della comparsa dei sintomi». Ipotesi, come sottolinea il Cnr, che necessitano comunque di approfondimenti e verifiche, da non sottovalutare.
Harper è al momento molto cauta nel collegare certe malattie di origine incerta e l’assorbimento delle particelle, ma chiede alla comunità scientifica di collaborare per migliorare i metodi di ricerca, gli strumenti e le tecniche che permettano di ottenere «risposte sul numero di particelle a cui siamo continuamente esposti». I timori sollevati dai ricercatori riguardano in particolare i potenziali rischi per la salute umana: siamo solo all’inizio di un percorso scientifico complesso e molte domande restano ancora senza risposta, alimentando incertezza e preoccupazione.
Le nanoplastiche rappresentano una minaccia ambientale e sanitaria che richiede un’attenzione urgente e un impegno significativo. I risultati di questi primi studi invitano a continuare nella ricerca per comprenderne la complessa interazione con l’ambiente e gli organismi viventi.
Attualmente, le normative ambientali non prevedono criteri specifici per il monitoraggio e la gestione di queste particelle, rendendo difficile l’adozione di misure preventive efficaci. Un primo piccolo passo sarebbe quello di ridurre l’utilizzo di materiali plastici a favore di quelli biodegradabili o riciclabili e attivare, a livello mondiale, una maggior sensibilizzazione dell’opinione pubblica su di un tema da non sottovalutare.
Davide Boasso
- Cfr., https://www.cnr.it/it/comunicato-stampa/13315/l-inalazione-di-nanoplastiche-riduce-le-capacita-olfattive
© Bioetica News Torino, Maggio 2025 - Riproduzione Vietata