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81 Settembre 2021
Inserto La morte e il morire: tra diritti e senso della vita

Referendum: la domanda di eutanasia e la proposta delle cure palliative

Ferdinando GARETTO_ F. Garetto 2020
Intervistato Ferdinando Garetto

Cure palliative «Humanitas» Gradenigo Torino

Intervista

Dottor Garetto, da anni lei si occupa di Cure palliative. Molti malati le hanno chiesto di morire?

Non moltissimi, ma è indubbiamente negli ultimi anni la parola “eutanasia” non è più un tabù. Soprattutto nei primi incontri quasi sempre è il veicolo di una drammatica richiesta di aiuto, che si “risolve” presto attraverso la presa in carico degli aspetti globali della sofferenza. Molto più rari, finora quasi eccezionali, i casi in cui dietro la domanda c’è un progetto già articolato e finalizzato.

Anche in queste situazioni il primo passo è prendere molto sul serio la domanda e proporre la possibilità di “un’altra via”. Quasi sempre sono persone giovani e di buona cultura, che hanno già approfondito il tema dell’eutanasia. Ma per le quali l’esistenza delle cure palliative, la possibilità della sedazione a fine vita, la liceità del rifiuto degli atti sproporzionati e della desistenza terapeutica sono spesso una sorpresa di cui non avevano mai sentito parlare.

Il nostro Codice deontologico contempla l’eutanasia, oppure ne prende le distanze?

Nel codice deontologico italiano l’eutanasia è vietata, ma con argomentazioni soprattutto legate alla legislazione vigente (che può quindi cambiare). Non mancano quindi elementi di fragilità, come già si è osservato per la repentina proposta di modifica dopo la sentenza della Consulta in merito al Suicidio Medicalmente Assistito. Molto più forte la presa di posizione dell’Associazione Medica Mondiale che anche di recente ha ribadito che mai eutanasia e suicidio assistito possono essere considerati atto medico, e tanto meno “dovere del medico, anche in presenza di leggi che lo prevedano.

Al di là della sua esperienza e della sua formazione valoriale ritiene sia utile e necessaria per un medico tale legge oppure il «prendersi cura» e l’accompagnamento richiederebbero altri strumenti? Mi riferisco ad una visione olistica della relazione medico-paziente in un contesto nel quale si è affermata una medicina tra il difensivismo e il miracolismo che ha creato delle aspettative distanti dalla realtà e dalla finitudine umana.

Certamente. La storia del secolo scorso, ma anche alcune “derive” osservate nei Paesi dove l’eutanasia è legale dimostrano che il rischio eugenetico, di cui parla anche monsignor Paglia, è tutt’altro che remoto.

Le cure palliative propongono un’altra via, che è innanzitutto una promessa di «esserci», una storia di comune umanità, fino alla fine, anche con i limiti propri della medicina.

Mi pare che l’eutanasia sia il “delirio di onnipotenza” delle cure di fine vita, molto più vicina di quanto non sembri all’accanimento terapeutico che si dice di voler contrastare.

Mi piace molto, perché autenticamente umana, la posizione dei palliativisti spagnoli, che hanno chiesto che l’impegno accanto ai morenti si sposti dal «quando morire» (on-off, come spegnendo un interruttore) al «come» (senza eccessi terapeutici e controllando al meglio i sintomi), «dove» (a casa o in hospice, non in una terapia intensiva) «con chi morire» (i propri cari, un amico…).

La pandemia ci ha mostrato quanto «come», «dove» e «con chi» siano i veri aspetti capaci di fare la differenza.


L’intervista del Prof. Enrico Larghero è apparsa in Referendum Eutanasia: tante ragioni per dire il no, «La Voce e il Tempo» del 5 settembre 2021, pp. 12 -13; si ringrazia per la pubblicazione il direttore Alberto Riccadonna

© Bioetica News Torino, Settembre 2021 - Riproduzione Vietata

Sugli stessi temi: Cure palliative, Eutanasia, Fine Vita, Fragilità