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83 Dicembre 2021
Speciale Natale 2021 Per una nuova speranza

Testimonianza di un membro della Cappellania ospedaliera


Per parlare del 2021 bisogna partire dal 2020 e poi anche un più addietro. Possiamo scorgere come la vita del mondo fatta di chiasso, luccichii, chimere irraggiungibili sia stata sospinta nel deserto, abitualmente indicato dalla Bibbia come luogo della prova. Questa prova ha chiamato ciascuno a dare delle risposte, ognuno le proprie: giuste o sbagliate non lo sappiamo se non che nel deserto, anche se in compagnia, siamo soli. Ognuno deve fare i conti con le proprie paure, i propri sentimenti, con i tentativi di risolvere i problemi e risollevarsi.
 
Se i mezzi di comunicazione da una parte ci hanno aiutato, dall’altra hanno fatto come Satana: «nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana» (Mc1,13).  Sappiamo che nel deserto prima o poi i viveri finiscono, ciò che materialmente ci serve si esaurisce. Ecco, siamo entrati nel deserto esausti. Un po’ come le centomila gavette di ghiaccio mandate nell’inverno siderale russo con le scarpe di cartone.
 
Eravamo da tanti anni nel deserto senza saperlo. Il tempo nel quali ci hanno chiusi nelle nostre case ha definito la fine del tempo del nostro deserto. «Per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame» (Lc 4,2). Se il tempo dell’eccesso, dell’indifferenza, del consumismo sfrenato si era all’improvviso fermato, tutto quello che era stato si è  trasformato effettivamente in un isolamento di quaranta giorni che ha fatto convivere situazioni ed esperienze che mai avremmo pensato di vivere, di condividere. Noi ci dimentichiamo spesso che Gesù è stato sospinto nel deserto dallo Spirito: «E subito lo Spirito lo sospinse nel deserto» (Mc 1,12). Questo è il tempo dello Spirito.
 
Penso che in quei quaranta giorni di aprile-maggio 2020 il soffio dello Spirito che ci sospingeva sia stato avvertito un po’ da tutti, con un certo fastidio, una certa rabbia, con tanta voglia di risolvere al più presto tutta la “questione”. Ma quando il soffio dello Spirito viene avvertito come possibilità di discernere guardando non solo davanti ma prima di tutto dentro di noi, emerge un fatto di cui non si può non tener conto: la solitudine è il luogo privilegiato dell’incontro con Dio.

La crisi che ha portato alla solitudine vissuta deve essere vista anche come momento di crescita. Se uno non cresce si ferma, ma in ambito spirituale regredisce. Guardando lo Spirito che sospinge Gesù ci accorgiamo che Gesù non è solo spinto dallo Spirito ma «Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto» (Lc 4,1).
 
La Sapienza dello Spirito arriva nei tempi di crisi, una Sapienza dinamica che vince le tentazioni, porta crescita. La tentazione, che mette in crisi, è un passaggio per acquisire una nuova consapevolezza. Per i greci la crisi non è l’avvenimento ma la risposta alla domanda di  che cosa è cambiato in me? che riverbero ha avuto in me? La crisi che è generata dalla tentazione è il momento in cui la persona si ascolta e sceglie come starci dentro: subire o imparare.
 
Una cosa possiamo dedurre da questo tempo. La pandemia ha mostrato la fragilità della cultura narcisistica, l’onnipotenza di sé. Le sicurezze sono svanite. Da lì dovrebbe nascere la consapevolezza che la salvezza non passa dalla sicurezza. La salvezza non è il riflesso del pensiero di altri. La salvezza è una Persona. Per uscire dalla crisi dobbiamo accettare di perdere qualcosa per un Incontro.

E in questo tempo io e altri come me abbiamo fatto l’incontro  anche con la normativa  sanitaria che in ospedale ha cercato di limitare il più possibile la nostra presenza. I reparti Covid e la rianimazione erano i luoghi dove c’era maggior bisogno della nostra presenza. Gli operatori che lavorano nei reparti covid sono vestiti con ogni tipo di protezione. Sono irriconoscibili quasi del tutto e si fermano accanto loro premurosi durante il servizio, fanno un saluto ed escono dalla stanza.
 
Quando passavo per le stanze, mi riconoscevano perché  anche se vestito con tutte le protezioni portavo una croce, le persone nei letti da sotto i caschi si aprivano con un sorriso che gli toccava le orecchie, e mi chiedevano di pregare e di fare la comunione.  In un reparto covid mi era stato chiesto di portare la comunione a una persona e furono chieste 15. Avevo tre particole nella teca, le ho spezzate, i comunicandi sono stati suddivisi in tre gruppi da 5 e celebrato 3 liturgie della Parola. Il Padre Nostro in questo tempo è stata la preghiera più sillabata anche con i malati di Alzheimer che avevano dimenticato tante cose ma non il Padre Nostro, la preghiera più usata dagli operatori socio-sanitari che  mentre prestano cura dell’igiene alle persone nei letti pregano con loro.
 
Il deserto piano piano si trasforma nella “stessa barca”. Il Padre Nostro lo abbiamo pregato anche con le persone diagnosticate afasiche al pronto soccorso, che con un filo di voce pregavano con noi. Ecco, la preghiera delle tre “P”: Papà, Pane, Perdono, la chiave che ha aperto la porta della via fraterna e di comunione. Piano piano si sono aperte e si stanno aprendo strade nel deserto, e tutte partono da una crisi, dalla tentazione e da un incontro, che ci fa e ci cambia.

Sotto le mascherine uno sguardo che soffre, che sorride, che fissa la meta, quell’incontro che io ho trovato nell’Altro.
 

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