“Schola magistra vitae est”. L’antico adagio latino, la scuola è maestra di vita, si rivela valido ai giorni nostri anche per il mondo accademico. La Facoltà di Medicina da sempre prepara i medici del domani, ma, ora più che mai, è chiamata ad un compito importante e gravoso, ovvero contribuire a progettare la Sanità del futuro.
Il dopo pandemia ha rimodulato i rapporti tra le persone e le Istituzioni sviluppando la creazione di nuove sinergie in grado di superare le criticità emerse. Alessandro Bargoni, docente di Storia della Medicina ha tutte le “carte in regola” per rispondere con competenza e sensibilità ai molti quesiti emergenti.
Docente di Storia della medicina presso l’Università degli Studi di Torino
Intervista
D. Professor Bargoni come vede la pandemia dall’osservatorio dell’Università? Sono riusciti gli Atenei a mantenere un ruolo significativo, un punto di riferimento nella bufera pandemica?
R. Gli Atenei sono comunità di donne e uomini che attraverso lo studio, l’ampliamento delle conoscenze cercano di perseguire tre obbiettivi: la ricerca, la formazione e la condivisione di contenuti culturali con la società fornendo elementi per favorire l’incremento del livello di benessere.
L’Università, nell’immediatezza delle misure di sanità pubblica per il contenimento della pandemia, per prima tra gli attori sociali ha rapidamente esplorato e messo in atto varie tecnologie della comunicazione volte a ricostruire in buona parte il tessuto relazionale tra professori e studenti per consentire di proseguire le attività didattiche.
Parallelamente ha promosso incontri virtuali, iniziative di approfondimento su argomenti molto diversificati, aperti non solo alla comunità accademica ma spesso anche ad un pubblico più vasto. Insomma ha ricreato, con strumenti adeguati alla situazione, e in spazi diversi da quelli tradizionali, una collettività atta a mantenere vivo il dialogo e l’interdisciplinarità, che altrimenti sarebbero stati spezzati senza mezzi termini.
Il discorso si amplia riferendoci alla Scuola di Medicina che per le sue caratteristiche operative ha giocato un ruolo importante anche nell’ambito della ricerca di base sul virus SARS Covid-19, sugli aspetti clinici dei pazienti affetti dalle complicanze della patologia nell’ambito delle diverse specialità mediche.
Quindi ricerca scientifica di base e clinica ma anche vera e propria assistenza e cura di pazienti.
D. Si deve ripensare in Sanità ad un nuovo rapporto tra ospedale e territorio, tra medici di medicina generale e specialisti?
R. La pandemia ha fatto emergere errori organizzativi gravissimi della medicina territoriale e gli effetti dei colpevoli depotenziamenti effettuati a suo carico nel tempo. Queste affermazioni provengono da più parti e sono state ribadite nel “Rapporto sulla finanza pubblica” presentato dalla Corte dei Conti nel maggio 2020. Il documento afferma che la concentrazione delle cure negli ospedali ha impoverito l’assistenza sul territorio lasciando la popolazione italiana “senza protezioni adeguate”. Un pesantissimo j’accuse per le politiche sanitarie di molte Regioni condiviso tra l’altro da molte organizzazione mediche.
Sapremo invertire la rotta e abbandonare l’affarismo in sanità? Cambieranno gli orientamenti che inducono a investire in strutture ospedaliere ultra specialistiche di dimensioni assai superiori ai fabbisogni locali in modo da renderle redditizie fonti di utili grazie al reclutamento di pazienti provenienti da altre regioni dove invece colpevolmente si tarda con l’ammodernamento e l’adeguamento degli ospedali?
Penso che questo sarà un nodo assai importante su cui si confronteranno le amministrazioni regionali in un prossimo futuro.
D. In una situazione nella quale il personale sanitario si è rivelato carente, è da rivedere la questione a lungo dibattuta, del numero chiuso a Medicina?
R. Ricorro per rispondere a una metafora militare. Il personale sanitario combatte in alleanza con i malati una lotta contro il Male. Dunque in questa guerra come conviene organizzare l’esercito? Aumentare rapidamente il numero dei soldati, per avere una massa d’urto contro il nemico, magari mal equipaggiata e mal addestrata (vedi il numero esorbitante di caduti tra i medici di famiglia mandati allo sbaraglio nei primi tempi della pandemia) oppure ricercare efficienza e professionalità per aumentarne l’efficacia dei combattenti?
Significherebbe in primo luogo potenziare la medicina territoriale fornendole non solo strumenti clinico-diagnostici, supporto tecnologico, servizi sul territorio, ma anche ausilio amministrativo.
Se il tempo di un medico di famiglia è occupato per il 60% da impegni burocratici, solo il restante 40 % sarà dedicato all’attività di cura. Se togliamo allora la zavorra della burocrazia, non si raddoppia così miracolosamente il numero dei medici senza dover aumentare il numero degli studenti con la conseguenza inevitabile di abbassare il loro livello di preparazione?
D. Il Covid ha aperto un nuovo orizzonte, ovvero l’alleanza, per la prima volta nella storia, tra industria e Università e tra tutti gli scienziati nel mondo. È possibile sperare che tale collaborazione continui?
R. Temo di no. La ricerca pubblica e quella privata hanno obbiettivi diversi. La prima persegue la libera circolazione dei dati a disposizione della comunità scientifica, la seconda il profitto.
Tuttavia l’eccezionalità del momento dovuta all’incombente pandemia ha fatto sì che una grande industria del farmaco L’AstraZeneca riconoscesse immediatamente che una partnership con l’Università di Oxford sarebbe stata in grado di accelerare enormemente le fasi di studio di base dei vaccini e anche in parte il suo sviluppo clinico, permettendo così una più rapida produzione di vaccino su scala globale. Questa collaborazione ha avuto come conseguenza importante che l’industria multinazionale anglo-svedese si impegnasse a commercializzare il vaccino al costo di produzione per tutta la durata della pandemia.
Purtroppo gravi errori di marketing e di pessima comunicazione hanno marginalizzato l’impiego del vaccino AstraZeneca riducendo i vantaggi economici dei committenti delle varie nazioni. Tuttavia molte altre industrie farmaceutiche nel periodo dell’emergenza hanno seguito questa politica di collaborazione e di scambi scientifici con le istituzioni di ricerca.
D. Alla luce di quanto avvenuto, la Medicina di domani continuerà a percorrere la strada recentemente intrapresa delle specialità e di un approccio riduzionista, oppure riscoprirà le sue origini ippocratiche volte a curare la persona nella sua totalità?
R. Non penso che quanto sia accaduto con la pandemia possa avere effetti sulla adozione di metodi scientifici diversi da quelli del recente passato; penso invece che sia in atto, già da prima della pandemia, una rivoluzione metodologica complessa della medicina che condurrà inevitabilmente all’abbandono del metodo riduzionista in quanto non più in grado di affrontare l’analisi di fenomeni enormemente complicati che richiederanno, per essere compresi, l’intervento del calcolo complesso e assistito dall’intelligenza artificiale.
Attraverso i dati provenienti dallo studio dei geni (genoma) delle trascrizioni dell’RNA messaggero (trascrittoma), delle funzioni e delle strutture delle proteine (proteoma) e di tanti altri elementi, che richiederanno strumentazioni sempre più affidabili, più rapide e in grado di indagare sempre più in profondità nelle strutture biochimiche del vivente, sarà possibile raggiungere l’identità molecolare del soggetto.
Oggi questa nuova prospettiva, definita “omica” è rappresentata dalla medicina di precisione che muove i primi passi verso questo mondo di conoscenza che tende a delineare diagnosi, terapie e interventi sempre più personalizzati e in questo senso diventa davvero la medicina della persona.
Forse proprio questa sarà la visione ippocratica moderna di una medicina in grado di adattarsi nei più piccoli dettagli alla specificità del singolo individuo.
Si ringrazia il direttore Alberto Riccadonna de «La Voce e il Tempo» per la pubblicazione dell’intervista di E. Larghero, Formazione dei medici, quali percorsi in tempo di pandemia?, 3 ottobre 2021, pp. 27.
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