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84 Gennaio 2022
Dossier Salute Inchiesta: la sanità del futuro

Il nostro Ssn: quale futuro?

Introduzione

a cura di Enrico Larghero

Il futuro si costruisce analizzando il passato ed il presente e ciò vale anche in ambito sanitario. Così come ciascuno di noi è una storia, anche tutte le manifestazioni della nostra società poggiano su radici antiche. Ipotizzare la salute di domani significa anche e soprattutto analizzare le criticità del mondo di oggi ed evidenziarne le problematiche più significative, interpretando dati e bilanci.
A tal proposito la lettura approfondita, tra luci ed ombre, del Dottor Paolo Tofanini, medico che per anni ha ricoperto importanti ruoli dirigenziali sul territorio regionale, risponde a suddetti requisiti. Ne emerge una panoramica severa, un ritratto reso ancora più drammatico dalla pandemia. Tuttavia una strada per uscirne è possibile. Si deve progettare un futuro su solide basi di eticità, equità e solidarietà. È auspicabile pertanto una rifondazione morale che coinvolga gli operatori e le strutture, in grado di superare i particolarismi regionali, rimodulando un SSN al passo con i tempi, particolarmente attento ai soggetti fragili.
La Repubblica come cita l’Articolo 32 della Costituzione  tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Queste parole scolpite nella legge fondamentale dello Stato Italiano devono essere impresse nei cuori e nelle coscienze di tutti.

L’Italia oscillava, nelle statistiche mondiali, fra il secondo e il quarto posto per attesa di vita, prima che la tempesta del Covid-19 riducesse questo indicatore di ben 14 mesi: comunque una posizione invidiabile con numeri che ci rendono orgogliosi del nostro SSN. Quindi, tutto bene? Discettare su ragione e volontà, scomodando illustri filosofi come Kant, Schopenhauer o Nietzsche per prevedere le prossime sorti della nostra sanità e anche del nostro welfare forse è pretendere troppo dalle nostre modeste capacità di analisi e di previsione di un futuro che appare, nella migliore delle ipotesi assai incerto, mentre viene visto da molti esperti in modo estremamente pessimistico.

Lo stato di di salute attuale del nostro Ssn

Pertanto credo sia utile sintetizzare brevemente luci e ombre della nostra sanità basandoci su dati storici, epidemiologici e statistici e facendo riferimento soprattutto ai freddi numeri dell’economia. Innanzitutto va ricordato che il nostro è apparentemente un Servizio Sanitario Nazionale ma, in realtà, è frantumato in 21 servizi sanitari regionali/provinciali molto diversi fra loro per qualità e quantità delle prestazioni offerte, per costi pro/capite, per tempi di risposta alle richieste di salute dei cittadini e per percezione dell’offerta e soddisfazione da parte dell’utente (peraltro pessimo termine che fa pensare all’usa e getta!). Tutto è quindi, il SSN, meno che un servizio che offre in modo ubiquitario prestazioni statisticamente includibili in un range di accettabilità  sia per qualità che per spesa, dal Brennero a Pachino, con un’applicazione omogena dei LEA a livello nazionale.

Paradossalmente, anche all’interno delle stesse regioni vi sono punte di eccellenza qualitativa e costi addirittura sotto-media che si alternano a situazioni di cronica disorganizzazione, pessima qualità dell’offerta e costi ingiustificati. Trattasi di equità e di etica, che sono due aspetti molto poco considerati nell’organizzazione e gestione della sanità e che, uniti a criticità economiche sempre più pressanti, fanno prevedere un futuro assai difficile e con ricadute pesanti sulle fasce più deboli e vulnerabili della nostra società.

La costruzione di uno stato sociale e, nel nostro caso, di un Servizio Sanitario pubblico universalistico e solidale è cosa difficile e si attua in un periodo non breve, con “aggiustamenti” successivi correlati alle diverse situazioni economiche del paese, alle variazioni delle condizioni demografiche e a numerosi indicatori legati a patologie emergenti piuttosto che a episodi particolari com’è  capitato in questi ultimi due anni con una pandemia di proporzioni mondiali che ha messo in crisi il pianeta e cambiato la qualità dell’offerta sanitaria e della risposta (mancata o ritardata) alla richiesta di assistenza e di terapie che erano precedentemente normalmente erogate.

Aspetti che incidono nella proiezione futura del nostro sistema sanitario

L’evoluzione del nostro modello di sanità, che a dicembre ha festeggiato i 43 anni, prevedibile anche se non sperabile, è poi condizionata da alcuni fattori che possono essere difficilmente controllabili, sotto l’aspetto dei costi e da una situazione peculiare della Pubblica Amministrazione del nostro Paese che non si è voluto controllare, razionalizzare e riformare per evidenti motivazioni di bottega.

Partiamo dal primo aspetto. Le tecnologie sono entrate prepotentemente nella sanità in questi ultimi decenni ma, un’accelerazione così repentina com’è avvenuto negli ultimi anni e che prevedibilmente aumenterà grandemente in un prossimo futuro, comporterà un’inevitabile crescita dei costi sia della diagnostica che della terapia. Infatti, oltre ad attrezzature sempre più sofisticate anche nuovi farmaci, per sintetizzare i quali saranno necessari investimenti miliardari, determineranno inevitabili ricadute sui costi delle terapie che già oggi, per talune patologie (es. malattie rare) sarebbero insostenibili qualora i singoli cittadini dovessero pagare in proprio.

A tale proposito è utile ricordare che da molti anni a questa parte i costi sostenuti da coloro che mettono mano al proprio portafoglio per prestazioni sanitarie (out of pocket) sono cresciuti vertiginosamente: questa spesa, a fronte di un costo del SSN che supera di poco i 114 miliardi di euro, è stimata in oltre  30 miliardi di euro/anno e molte sono le prestazioni per le quali i cittadini si ricolgono prioritariamente al privato: odontoiatriche, ostetrico-ginecologiche, dietologiche, dermatologiche, oculistiche e ultimamente radiologiche.

Il 55% delle famiglie paga di tasca propria le visite specialistiche e gli accertamenti diagnostici, sia per evitare le lunghe liste d’attesa, sia perché gli importi dei ticket sono divenuti talmente alti al punto da spingere le famiglie verso i privati. Oltre 3 milioni d’italiani (ex classe media), a causa delle spese sanitarie, hanno problemi economici e, per le famiglie in stato di povertà, le spese considerate “catastrofiche” sono quelle per cure odontoiatriche, assistenza agli anziani, farmaceutiche e specialistiche.

Oltre la metà delle famiglie italiane paga di tasca propria le visite specialistiche e gli accertamenti diagnostici, causando, uno dei principali fattori di impoverimento delle stesse.  In Italia la spesa out of pocket è la più alta dell’Ue con una media del 23,5% (2017) contro il 16% degli altri Stati membri e, dal 2009 al 2017, la crescita è stata del 2,5%. È difficile pensare, a meno di uno stravolgimento del sistema economico globale nel quale ci troviamo, che questo trend possa invertirsi e che la sanità pubblica possa, attraverso la fiscalità generale, aumentare in misura importante il suo finanziamento con una contemporanea equivalente e significativa riduzione della quota sborsata dalle famiglie per prestazioni sanitarie.

Il “privato”, che in Italia peraltro viene declinato in modo ambiguo nella versione di “privato accreditato” e quindi finanziato dalla sanità pubblica e il “privato-privato”, cioè pagato integralmente dai cittadini o direttamente o tramite il sistema assicurativo, ha sempre maggior appeal: molti cittadini pensano che una prestazione a pagamento offra maggiori garanzie di qualità e di attenzione da parte del professionista che, non di rado, è lo stesso che ritrovano nelle polverose  e sonnolente strutture pubbliche dove (con rare eccezioni) gli ambienti sono meno confortevoli, i tempi di attesa sono chilometrici e la gentilezza è spesso un optional!

Questa del “doppio binario” nella ricerca di prestazioni sanitarie spesso non urgenti ma che lo diventano in virtù di tempi di attesa che si dilatano in modo insopportabile, è una delle situazioni che fanno scivolare nemmeno troppo lentamente il sistema pubblico verso un sistema misto e, crediamo, verso un sistema che vedrà inevitabilmente una netta prevalenza della prestazione privata.

Nella situazione prima descritta un’altra componente determinante è rappresentata dalla crisi della pubblica amministrazione e quindi anche sanità pubblica dove non si è voluto moralizzare un’organizzazione che vede un gran numero di episodi che non sono solo di malasanità ma soprattutto di non rispetto del cittadino visto, non di rado, come uno scocciatore e di mancata affezione e onore per il proprio posto di lavoro. Episodi che, qualificano una parte ancora minoritaria, ma in crescita, dei dipendenti della sanità pubblica e che, oltre a danneggiare il SSN che così perde “clienti”, sono un grave vulnus a danno dei molti qualificati e seri operatori che si vedono equiparati, nel giudizio popolare, a coloro che rubano lo stipendio.

Una grande responsabilità di tutto ciò è in capo alla politica e al sindacato che hanno sempre usato questo territorio come riserva di caccia, di voti e di tessere, nella migliore delle ipotesi, cassando tutti i tentativi fatti da chi voleva premiare i meritevoli e offrire  un servizio sanitario qualitativamente ed eticamente degno di un paese civile.

La considerazione finale poi è che appare difficile pensare che, in un mondo (di cui facciamo parte integrante) nel quale il Dio-Denaro è l’indicatore e il riferimento principale, la nostra povera sanità pubblica possa vedere non dico un grande rilancio e occupare il ruolo guida in un welfare che scricchiola da tutte le parti (vogliamo pensare alle pensioni?). Queste realistiche, credo, considerazioni vengono fuori anche da studi che, in nazioni come la Francia e la Germania, dove la sanità ha un’ottima qualità e dove, al di là delle modalità di tutela che vedono sistemi assicurativi pubblici al posto di un Servizio Sanitario nazionale come il nostro, fanno emergere serie preoccupazioni sul futuro della loro sanità.

Da ultimo, a conferma di quanto prima evidenziato, non possiamo non guardare con mestizia al primo Servizio Sanitario Nazionale del mondo, nato nel 1948, quindi ben trent’anni prima del nostro, cioè quello del Regno Unito che di fatto non esiste più o, quantomeno ha assunto un  ruolo residuale e non più centrale dell’assistenza sanitaria britannica. In questo panorama in rutilante trasformazione, si aggirano grandi gruppi assicurativi che promettono garanzie e coperture sanitarie ad un popolo che, nei loro voti, dovrebbe essere sano, giovane e con bisogni di salute minimi: il contrario del nostro Bel Paese, vecchio, malato e depresso!

Conclusioni

C’è una ricetta per provare ad invertire una tendenza che appare senza ritorno? Certo: Etica, Equità, Economia ed Empatia sono le componenti indispensabili da inserire nel “frullatore” che offra un succo magico al Servizio Sanitario. Devono essere messe tutte, nessuna esclusa, in dosi adeguate, shakerate con maestria, controllate perché nessuna prevalga sulle altre, cosa che, purtroppo, oggi sta avvenendo. Allora forse vedremo uno spiraglio per un’assistenza e una sanità degna di un paese serio, onesto e solidale, nel quale vorremmo vivere.

Note

Ringraziamo il direttore Alberto Riccadonna de «La Voce e il Tempo» per averci concesso la pubblicazione dell’articolo di Paolo Tofanini, Dopo la pandemia che ne sarà del Sistema sanitario nazionale?, 31 ottobre 2021, p. 27.

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