L'Angolo dei lettori è la rubrica di Bioetica News Torino che vuole dar spazio alla voce dei nostri lettori, circa le questioni rilevanti e che stanno a cuore a tutta la comunità gravitante attorno all'universo della bioetica.
La Legge 22 Dicembre 2017 n. 219 reca il titolo: “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”.
Questo testo cita tra le sue fonti ispiratrici la Costituzione della Repubblica italiana e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Della carta costituzionale italiana fa riferimento, in particolare, agli articoli 2, 13 e 32. Nei suddetti articoli la Repubblica italiana riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo tra cui la libertà personale (salvo nei casi previsti dalla legge come atto motivato dell’autorità giudiziaria); tutela la salute riconoscendola come diritto fondamentale sia del singolo individuo che della collettività (anche attraverso la garanzia delle cure gratuite agli indigenti) e ribadisce che nessuno possa essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario, se non per disposizione di legge.
Per quanto riguarda la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, invece, il richiamo è per gli articoli 1,2,3: nei quali vengono definiti l’inviolabilità della dignità umana, il diritto alla vita e all’integrità psico-fisica della persona. È interessante notare come il rimando all’articolo 3 della suddetta Carta, contenga, anche, nel secondo comma delle ammonizioni, dei divieti: alle tecniche eugenetiche in particolare quelle per la selezione umana, alla clonazione per fini riproduttivi e al lucro derivante dal corpo umano e dalle sue parti. Questo è il contesto nel quale si colloca la Legge in oggetto.
Il pilastro principale è individuato nella valorizzazione dell’alleanza terapeutica: quella relazione di fiducia fra il medico ed il suo paziente, nella quale si coniugano l’autonomia decisionale della persona e la competenza, professionalità e responsabilità del medico. Viene inoltre sottolineata la presenza, in questa relazione, dei professionisti delle professioni sanitarie quali componenti dell’équipe di cura; va ricordato, in questo frangente, come gli infermieri, già nel 1996, si fossero dotati di un atto noto come “patto infermiere-cittadino” nel quale veniva sancita la relazione tra paziente e infermiere il quale, sulla spinta deontologica che lo contraddistingue fortemente, si impegnava, nei confronti della persona assistita, in una serie di azioni e funzioni del tutto in linea con lo spirito fondativo di questa norma.
È utile riflettere anche sul contesto temporale nel quale si colloca questa norma: sono gli anni dei dibattiti, a volte molto accesi, sul fine vita e sulla tutela dell’autonomia decisionale delle persone (soprattutto quando diventano pazienti).
A questo punto si dovrebbero collegare le informazioni in modo da poter avere un’idea complessiva: fonti ispiratrici di elevatissimo valore etico e morale, tutela dei diritti fondamentali dell’uomo quali diritto alla vita, alla salute come valore universale ed universalistico, alla libertà ed alla dignità all’interno di una relazione di fiducia tra curante e persona assistita che utilizza la professionalità del primo per promuovere l’autonomia decisionale del secondo in un contesto scevro da derive eugenetiche e sperimentali.
Un’osservazione su possibili criticità va comunque fatta: i concetti espressi poc’anzi, purtroppo, si prestano ad interpretazioni più o meno ampie; ad esempio “cos’è la salute?” Forse la classica definizione dell’OMS (La condizione di completo benessere fisico, mentale e sociale e non esclusivamente l’assenza di malattia o infermità) potrebbe non essere abbastanza stringente lasciando spazio ad una varietà di vedute. Il fenomeno dell’ampia varietà di vedute caratterizza i nostri tempi: si parla anche di ciò di cui non c’è nulla di cui parlare e si sfuma, e complica, ciò che in realtà è chiaro e semplice così com’è.
Strutturazione ed analisi del testo normativo
Ogni articolo di questa Legge tratta un argomento specifico dandone quindi risalto.
L’articolo 1 parla del “consenso informato”: il comma 3 dice che ogni persona ha il diritto di essere messa a conoscenza in modo chiaro, comprensibile, completo ed aggiornato delle proprie condizioni cliniche, diagnosi, prognosi, indagini diagnostici e trattamenti inclusi i relativi rischi e benefici, alle eventuali alternative ed ai rischi collegati alla rinuncia ai trattamenti; è inoltre previsto che la persona rifiuti di ricevere tali informazioni (nella totalità o solo in parte) individuando una o più persone che in sua vece ricevano le informazioni. Il comma 5 scrive che qualunque persone capace di intendere e volere abbia il diritto di rifiutare un trattamento sanitario od un accertamento diagnostico, completamente o solo in parte, e che in qualsiasi momento del percorso di cure possa revocare quanto precedentemente acconsentito: anche quando la revoca comporti l’interruzione del trattamento. Secondo questa norma sono trattamenti sanitari anche la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiali in quanto prescritti da un medico e somministrati attraverso dispositivo medico. Con il comma 6 il medico che rispetta la volontà del paziente è sollevato da ogni forma di responsabilità.
In situazioni di emergenza o di urgenza l’équipe sanitaria garantisce il rispetto della volontà del paziente (qualora sia possibile recepirla).
Il campo d’azione di questa norma è esteso a qualunque struttura sanitaria sia essa pubblica o privata.
Il comma 10 ricorda l’importanza della formazione in ambito di cure palliative e terapia del dolore nella formazione dei sanitari. Ci sarebbe da chiedersi se il legislatore, ai commi 8 e 10, volesse mettere a fuoco alcune competenze, perché tali da essere sottolineate in un testo di legge o se volesse ri-metterle a fuoco perché si è notata una sorta di deriva che le ha fatte dimenticare o rese meno importanti, come di contorno e senza alcuna utilità pratica.
L’articolo 2 tratta di “terapia del dolore, divieto di ostinazione irragionevole nelle cure e dignità nella fase finale della vita”. In questo articolo si sottolinea l’importanza di adoperarsi, in modo appropriato, per garantire il controllo del dolore e l’erogazione delle cure palliative (con un rimando alla L. 38 del 15 Marzo 2010). Viene inoltre dettagliato che, in pazienti con prognosi infausta a breve termine o in situazioni di imminenza della morte, il medico debba astenersi da ogni forma di accanimento terapeutico e che, in caso di sintomi altrimenti incoercibili, si possa ricorrere alla sedazione profonda associata alla terapia del dolore, previo consenso del paziente.
I minori e gli incapaci (art.3) hanno diritto alla valorizzazione delle proprie capacità di comprensione e decisione; devono ricevere le informazioni relative al proprio stato di salute, in modo consono, per poter esprimere la propria volontà. Resta comunque specificato che, per il minore, il consenso o il rifiuto debba essere espresso da chi esercita la potestà genitoriale o dal tutore (tenendo conto della volontà del minore in relazione all’età e al suo grado di maturità) con lo scopo di tutelarne la salute e la vita nel rispetto della sua dignità. Analogo è il percorso dell’interdetto, per il quale il consenso è espresso dal tutore (sentito l’interdetto dove possibile). La persona inabilitata esprime il proprio consenso o rifiuto: dove sia stato nominato un amministratore di sostegno, nei casi previsti, il consenso o il rifiuto è espresso anche, o solamente, da questo, sentita comunque la volontà dell’amministrato in ordine alla sua capacità di intendere e volere. Nel caso in cui il rappresentante legale della persona interdetta o inabilitata, oppure l’amministratore di sostegno, o chi rappresenta legalmente il minore rifiutino, in assenza di disposizioni anticipate, un trattamento ritenuto dai medici appropriato o necessario, la decisione è rimessa al giudice tutelare, secondo le modalità di ricorso previste dal codice civile.
Ogni persona maggiorenne, capace di intendere e volere può esprimere delle Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT) che esprimano la volontà della persona in previsione di un evento futuro per il quale gli sia impossibile farlo (Art.4). Questa DAT saranno il frutto dell’espressione della propria volontà successivamente all’acquisizione di idonee informazioni relative alle implicazioni del rifiuto di determinati trattamenti o accertamenti diagnostici; potrà inoltre essere individuato una persona di fiducia (fiduciario) che avrà il compito di fare le veci e la rappresentanza della persona nei confronti del medico o della struttura sanitaria. Il fiduciario deve essere a sua volta maggiorenne e capace di intendere e volere: l’accettazione di questo ruolo avviene attraverso la sottoscrizione delle DAT.
Il fiduciario può rinunciare a questo ruolo così come può esserne revocato il ruolo.
Nel caso il fiduciario, individuato nelle DAT, abbia rinunciato, sia morto o sia divenuto incapace ciò non fa perdere il valore attuativo delle DAT stesse; lo stesso vale per le DAT nelle quali non sia identificato alcun fiduciario. In caso di necessità sarà il giudice tutelare a nominare un amministratore di sostegno.
Le DAT posso essere disattese, del tutto o in parte dal medico e in accordo con il fiduciario, quando si presentino alcune circostanze: sussistenza di terapie, non previste al momento della loro sottoscrizione, in grado di offrire concreto miglioramento delle condizioni cliniche e di vita del paziente e in caso di incongruità con le condizioni cliniche del paziente. Nell’eventualità di un disaccordo fra fiduciario e sanitario sarà il giudice tutelare ad esprimere una decisione (art. 3 comma 5).
Le DAT devono essere redatte per atto pubblico, per scrittura privata autenticata o per scrittura privata consegnata, direttamente dal disponente, all’ufficio dello stato civile del comune di residenza oppure presso le strutture sanitarie idonee a riceverle (qualunque modalità scelta le rende attuabili ed esecutive). Queste saranno inserite nel fascicolo sanitario elettronico del paziente e nell’apposita banca dati nazionale. Il deposito delle DAT è gratuito. Sono revocabili e modificabili in qualunque momento. Possono essere espresse in varie modalità: scritto o con utilizzo di videoregistrazioni o altri dispositivi in grado di aiutare nella comunicazione le persone con disabilità. L’art 5 esplora la relazione di cura fra sanitario e il suo paziente rispetto all’evoluzione di malattia cronica e invalidante o caratterizzata da una progressione inarrestabile verso un quadro di terminalità. In questo contesto assume fondamentale centralità la relazione di cura e la pianificazione condivisa delle cure: i soggetti coinvolti saranno il paziente, l’équipe di cura, e, con il consenso del paziente, il fiduciario o altre persone. I professionisti offriranno al paziente e alle persone di sua fiducia tutte le informazioni necessarie a prendere una decisione consapevole rispetto all’accettazione od al rifiuto di quanto proposto dai curanti.
Queste informazioni saranno volte a spiegare l’evoluzione della malattia, ciò che il paziente potrà, realisticamente, attendersi in termini di qualità della vita e sulle possibilità cliniche di intervento e sulle cure palliative.
Lettura del testo normativo alla luce dei principi della Bioetica
Il concetto di autonomia è largamente utilizzato all’interno di questa norma: esso è rivolto in prima battuta al paziente maggiorenne, capace di intendere e volere ma non sono dimenticati i minori e gli incapaci; questi ultimi sono indubbiamente rappresentati da chi ne ha titolo secondo la legge, anche per tutelarli, ma il loro diritto all’autodeterminazione viene tenuto in considerazione in ordine alla capacità di esprimere una volontà consapevole e ciò è sancito e garantito dalla Legge stessa. In termini di autonomia decisionale, il fulcro è identificabile non tanto nel “classico” consenso informato attraverso il quale si accetta un trattamento sanitario o un accertamento diagnostico ma, soprattutto, nella possibilità di rifiutarli in toto o in parte o di revocare il consenso in qualunque momento del percorso di cura anche se questo implica la sospensione del trattamento sanitario. Questo apre al dialogo sul fine vita, anche considerando che viene impedita ogni forma di accanimento terapeutico e viene favorito l’approccio palliativistico.
Da notare, però, che ci si riferisce ad un fine vita rispettoso della vita stessa, dove non viene mai fatto riferimento a procedure, volte in qualche modo, ad accelerare il morire; nel quale si accetta che la vita faccia il suo corso naturalmente.
I concetti di beneficenza e di non maleficenza si concretizzano attraverso il rispetto di quanto scelto dal paziente per se stesso, essendo stato parte di una relazione fra persone il cui obiettivo è il compimento di quanto deciso insieme, avendo nozione di quanto accade, di quanto accadrà e di ciò che ogni parte di questa relazione farà, secondo il proprio ruolo, quando si compirà ciò che si è deciso.
Il concetto di giustizia (cioè di equo ed universale accesso al beneficio) è rappresentato dal fatto che sia chi ha titolo di manifestare in prima persona la propria volontà, tanto quanto chi deve essere rappresentato da terze persone per poterlo fare, così come chi può manifestare la propria volontà per scritto ugualmente a chi necessita di altre modalità, può accedere al diritto di autodeterminarsi nelle scelte relative al proprio percorso di cura. Inoltre tutti potranno scegliere una persona di fiducia che sarà il garante che la volontà del paziente sia rispettata.
Merita un approfondimento l’aspetto legato al rifiuto di un trattamento, dei genitori di un paziente minore, in contrasto con il parere del personale sanitario: in questo caso la Legge 219/17 esprime chiaramente che si debba ricorrere all’intervento del giudice tutelare.
A Febbraio 2025 si è letto sui giornali il caso, giunto fino in cassazione, di genitori che, per motivi religiosi, avevano rifiutato il ricorso a trasfusioni di sangue, accettando l’intervento chirurgico, in totale accordo con il minore, adolescente, fedele al medesimo culto. Il giudice aveva poi stabilito che il minore, qualora si fosse ravvisata la necessità clinica, avrebbe dovuto essere sottoposto a quel trattamento: sentenza confermata e convalidata nei diversi gradi di giudizio. Non si vorrà, a seguire, esprimere giudizi pro o contro questa decisione giudiziale né a quella della famiglia (e del ragazzo) ma si cercherà descrivere lo stato dell’arte in questo contesto.
Secondo quanto emerge dalla legge 219 del 2017, all’articolo 3 “minori ed incapaci”, il consenso finale deve essere espresso o rifiutato dai genitori o dal tutore del minore; è anche espresso il concetto che la volontà del minore debba essere ascoltata e presa in considerazione, in ordine alla sua capacità di esprimerla in modo consapevole; così come scritto anche nell’art 315 bis del Codice Civile italiano.
In tema di diritti dei bambini ricordiamo l’autorevole “Convenzione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza”, documento ONU del 1989 (ratificata in Italia con la Legge 176 del 27 Maggio 1991); va segnalata, anche la “Carta dei diritti del bambino in ospedale” elaborata nel 2014 dall’Ospedale Bambino Gesù insieme alla rete italiana degli Ospedali Pediatrici; ricordiamo, inoltre, il documento del Comitato Nazionale per la Bioetica del 22 Gennaio 1994 “Bioetica con L’infanzia”.
In tutti questi documenti emerge che i minori siano possessori di diritti inviolabili specifici, correlati proprio al loro essere bambini/ragazzi e non “adulti in miniatura”, per fare alcuni esempi: ad avere un nome, una famiglia, alla crescita nell’ambiente migliore possibile per loro, al gioco, a non essere sfruttati, e molti altri. Vengono espressi, ovviamente anche i concetti di diritto alla vita, alla dignità, al ricevimento delle migliori cure possibili, al rispetto dell’individualità e all’espressione del culto religioso, della loro autodeterminazione informandolo e includendolo, adeguatamente, nelle decisioni che lo riguardano, rispetto alla sua capacità di comprensione. Si fa riferimento anche al fatto che i bambini siano possessori del “Principio del superiore interesse” quale linea di condotta, degli adulti, quando debbano prendere decisioni che riguardano i più piccoli. Quanto appena descritto rappresenta il presupposto “giuridico”. Dal lato del presupposto clinico vanno identificate due situazioni rappresentative: il bambino cronico ed il bambino in situazione di emergenza/urgenza.
Quando il bambino e la sua famiglia, ricevono una diagnosi che apre ad una malattia cronica, evolutiva o degenerativa, questi entrano in un progetto di cura che li coinvolgerà in modo attivo; fin da subito i medici utilizzeranno una modalità che terrà sempre disponibili le cure palliative: questo permetterà da un lato ai genitori di interiorizzare il fatto che, ad un certo punto, questa sarà una scelta da prendere, contemporaneamente dall’altro lato, rende adattivo l’approccio terapeutico in quanto orientato alla cura della malattia ma anche al contenimento dei sintomi. In questo contesto può, probabilmente, apparire più “accettabile” un rifiuto nei confronti di un trattamento sanitario in quanto sarà eventualmente possibile offrire un’alternativa terapeutica o può essere valutato in termini utilitaristici ed eventualmente accantonato di comune accordo. Nel contesto dell’emergenza/urgenza il rifiuto di un determinato trattamento, invece, può risultare “problematico” da accogliere per i sanitari in quanto limita, in modo più o meno ampio, le opzioni terapeutiche che essi possono offrire, in modo reattivo ed incisivo, nei confronti del problema di salute incipiente.
I motivi per i quali può essere espresso un rifiuto ad un trattamento sanitario sono, prevalentemente, di natura religiosa; ci sono però situazioni in cui il rifiuto origina da credenze/convinzioni pseudo-scientifiche, o per motivi legati al folklore. Tale situazione dal punto di vista operativo è facilmente risolvibile in quanto si chiede l’intervento del giudice tutelare, o del tribunale dei minori, che disporrà in favore o contrariamente al trattamento in oggetto rendendo attuativa tale decisione.
Fondamentale è la modalità comunicativa con la quale si informa un soggetto, in merito ad una procedura o esame diagnostico, per i quali dovrà essere espresso un assenso/dissenso: questa dovrà essere calibrata ogni volta, ed essere adattata in modo da essere compresa al meglio da chiunque ci si trovi di fronte; vanno tenuti in considerazione tutti i fattori che influenzano le dinamiche comunicative (emittente-messaggio-ricevente). Il dubbio che il consenso/dissenso origini da una errata o incompleta comprensione (o soggettiva interpretazione) di quanto è stato esposto, certamente, resterà sempre. Inoltre, nel caso del minore, è difficile stabilire con certezza la sua capacità di autodeterminarsi in modo consapevole: l’età potrebbe essere un fattore da tenere in considerazione, così come il grado di istruzione raggiunto, il contesto famigliare come fattore promotore della maturazione del ragazzo/bambino, le esperienze pregresse del minore e molti altri; ma anche in questo caso il dubbio resterà.
Potremmo trovarci una impasse etica/bioetica, invece, qualora una decisione giudiziale imponga l’applicazione del trattamento sanitario (per restare in tema) totalmente escluso da quel determinato culto.
Il motivo di questa situazione difficile risiede, probabilmente, nel fatto che si è fatto prevalere un diritto o un principio a discapito di altri e si è imposta una scelta che diverge dalla volontà di chi aveva, precedentemente, espresso il dissenso ad un trattamento.
Indubbiamente quando si tratta di bambini (soprattutto bambini malati) siamo pervasi da emozioni estremamente intense: vogliamo dargli il meglio in assoluto, vogliamo a tutti i costi salvarli, guarirli, ridargli, subito, la loro vita com’era prima: questo appare del tutto normale pensando all’istinto di salvaguardia della specie, di protezione dei cuccioli, e di altri istinti primordiali che risiedono nel nostro lato ancestrale animalesco, unito al nostro essere consapevoli, a differenza degli altri animali, dell’esistenza della morte.
Altrettanto sostanziale è la nostra variabile conoscenza, comprensione ed accettazione di culture anche molto distanti dalla nostra (per quanto il giudizio, in medicina, sia sospeso). La malattia, la sofferenza e la morte possono assumere una valorialità estremamente diversa da uomo a uomo, da paese a paese, da religione a religione: nessuna giusta o sbagliata a priori. Questa impasse resta tale, al momento, non essendoci una linea di indirizzo universalmente riconosciuta.
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