Con Hey Joe, Claudio Giovannesi firma un film che parla alla pancia e al cuore dello spettatore. Presentato alla Festa del Cinema di Roma nella sezione Grand Public, il nuovo lavoro del regista de La paranza dei bambini è un racconto intenso e umano che scava nel passato per parlare di radici, perdono e identità. In scena, una Napoli anni ’70 più viva che mai, con i suoi contrasti, le sue cicatrici e quel calore che si respira tra vicoli e piazze.
La storia, ispirata a fatti realmente accaduti e diventati leggenda nei Quartieri Spagnoli, prende vita dal ritorno di Dean Barry (James Franco), ex soldato americano, che sbarca a Napoli nel 1971 per incontrare per la prima volta il figlio avuto durante la guerra con una donna napoletana poi scomparsa. Quel figlio è Enzo (Francesco Di Napoli), cresciuto tra contrabbando e piccola criminalità, con una nuova famiglia e nessuna intenzione di riallacciare i fili con un padre che non ha mai conosciuto.
La forza di Hey Joe risiede proprio nel legame tormentato tra questi due uomini, così distanti ma inevitabilmente legati. Franco e Di Napoli sono impeccabili: lui, padre pieno di rimorsi; l’altro, figlio che non perdona ma che nel profondo cerca risposte. I loro silenzi, gli sguardi incerti e le esitazioni raccontano più delle parole.
Il film si muove con grazia tra presente e passato, alternando il 1971 ai ricordi della guerra, in un gioco di flashback che non appesantisce ma arricchisce, sorretto da una regia fluida e da un montaggio che accompagna con discrezione. Napoli, dal canto suo, non è mai semplice sfondo: è coprotagonista viva e pulsante, con i suoi traffici, la sua povertà e il suo fascino magnetico. Giovannesi non idealizza, ma nemmeno condanna. Osserva, racconta e lascia allo spettatore la libertà di scegliere da che parte stare.
A completare il quadro, un comparto tecnico curatissimo: dalla colonna sonora evocativa alla fotografia che esalta le luci calde a quell’atmosfera sospesa del periodo.
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