Per quanto riguarda il cielo stellato spero sempre
di poterlo dipingere e forse, una di queste sere,
andrò in un campo arato, se il cielo sarà luminoso
(Lettere a Theo, Vincent Van Gogh, 25 settembre 1888, n. 687)
Entrare in ospedale è un’azione che introduce in una terra di mezzo, sul confine incerto tra star bene e malattia. Un contesto che implica comportamenti e rapporti diversi rispetto al mondo di fuori, quello dei sani. L’ospedale apre al tempo della relazione terapeutica e del senso della malattia. Cosa può portare l’arte all’interno di un luogo di cura? Può consumarsi in pura estetizzazione o essere chiave di riflessione della dimensione interiore. Un luogo insolito per un incontro. Chiuso e grigio rispetto all’incanto della notte di Van Gogh.
Noi siamo l’arte che abbiamo incontrato, affermava Tiziano Terzani. L’arte, quella che viene dall’anima, ci cura. Nell’esperienza di vita e di malattia l’incontro con l’arte può dare un senso, orientarci, non solo come individui, ma anche come comunità. L’arte può promuovere il benessere individuale e dilatarlo nel bene comune, trasportando l’individuale nel collettivo. Può farlo, in una democratizzazione della fruizione, quando è resa accessibile anche nei luoghi in cui non è dedicata istituzionalmente. Incontriamo i libri nelle biblioteche, la parola nel teatro, i dipinti, le sculture e gli oggetti nei musei e nelle gallerie, la bellezza nell’infinito della natura. Dipingere d’arte le pareti all’interno di un ospedale, far entrare le opere d’arte nei luoghi di cura, far risuonare la parola e incontrare i libri nelle corsie è una scelta di cambiamento, che pone in gioco il benessere. Curare con l’arte è salutare per l’animo ed il corpo, è una medicina educativa e sociale. Può indurre a star bene in un ambiente dove affiora il disagio emotivo, dove indossiamo l’abito del malato e può anche rappresentare la scoperta del bello per coloro che l’arte di rado hanno incontrato o non se ne sono giovati.
la parola “detta” entra nelle fessure dell’esistenza
All’ospedale San Luigi Gonzaga di Orbassano il progetto Leggere è una cura e la presenza di una biblioteca pubblica al suo interno offrono incontri insoliti e imprevisti. Libri e giornali sono messi a disposizione di pazienti, operatori sanitari e cittadini, così anche le parole entrano tra le corsie, stampate nei libri o lette da attori. Il libro e la parola si fanno cura, entrando nelle fessure della nostra esistenza e creando spazi di immaginazione e incontro con altre vite. Una terapia che penetra come una emozione, un rapimento fuori dalla ferita del corpo e dell’anima. Entra in quel tempo sospeso e nel luogo di mezzo che è l’ospedale. Renzo Sicco, regista teatrale, direttore artistico di Assemblea teatro, precisa: “Leggere è una cura è giunto al suo sesto anno di realizzazione e coinvolge i pazienti. Prevalentemente del reparto di urologia con problemi oncologici, poi ha toccato diversi altri reparti tra cui i reparti di Medicina Fisica e di Neuroriabilitazione, l’Hospice, il Centro Vaccinale. Nel periodo iniziale e durante il Covid si è realizzato anche nelle sale e nel giardino della stessa biblioteca coinvolgendo infermieri, medici, parenti di pazienti e pubblico esterno e si è in questo avvalso anche della partecipazione di scrittori.”

La presenza dei libri nella loro fisicità all’interno della struttura sanitaria e la parola “detta”, non solo scritta, quanto e in che modo fanno bene in ospedale? insomma come ci curano? Per Renzo Sicco sono una terapia: “La malattia è un fatto fisico e le parole lette ad alta voce lo sono altrettanto. Il loro effetto sonoro amplifica l’emozione, ma offre altresì un’attenzione da parte degli attori che colpisce i pazienti per la loro presenza umana, con il malato che si sente nuovamente persona, considerata appieno e non come residuo sociale parcheggiato”. Parcheggiato in che senso? “intendo che in generale si ha la sensazione che chi entra in ospedale si sente come in uscita dalla quotidianità e dunque in stasi, in un luogo di attesa ad un ritorno.”
L’Ospedale San Luigi partecipa a ribaltare il posizionamento dell’arte e a portarla fuori dai luoghi convenzionali, a farla incontrare con gli abitanti dei suoi spazi, pazienti, familiari e personale sanitario. La parola detta e scritta diventa così dialogo attivo, partecipativo, emozionale, “spirituale” e che trova conferma anche nella bellezza delle forme e del disegno.

mondi fantastici e possibili con l’arte
Entrare in ospedale di solito coincide con la percezione quasi di un non luogo, severo ed estraneo. Da fine febbraio nell’atrio dell’ospedale di Orbassano si entra invece passando attraverso il mondo magico di Adelchi Galloni, maestro dell’illustrazione italiana, percorrendo una mostra inconsueta – L’Arte che cura – in uno spazio inconsueto, curata e voluta da Santo Alligo, artista ed esperto dell’illustrazione internazionale, dopo una esperienza come degente. Dieci tavole di grandi dimensioni accolgono con i colori dell’avventura, dai Viaggi di Gulliver alle avventure del barone di Munchhausen. Pillole di bellezza somministrate attraverso l’incontro con il sorriso e la dimensione immaginaria di mondi fantastici e possibili, nati dall’arte della comunicazione visiva. Una terapia emotivo e relazionale resa col tratto ed il colore, nel segno della leggerezza delle sensazioni. Le tavole richiamano le storie illustrate dei mondi dell’infanzia, là dove la realtà si fonde col sogno, il possibile con l’impossibile.
L’arte, entrando nei luoghi di cura e mostrandosi, si confronta con la sofferenza e con la condizione di malattia. L’incontro con la bellezza può generare influenze positive, diventare cura, senza risolversi in pura scelta estetica. Apre possibilità e narrazioni nuove: pillole insolite per luoghi insoliti.
© Bioetica News Torino, Giugno 2025 - Riproduzione Vietata