È una sfida urgente che impone un’azione coordinata e globale: solo attraverso l’impegno condiviso sarà possibile affrontare efficacemente le conseguenze del cambiamento climatico prima che diventino irreversibili.
L’estate 2025 ha fatto registrare temperature record mettendo a dura prova città, campagne e sistemi energetici in tutta Europa. Torino, Milano, Firenze e molte altre città italiane, hanno affrontato ondate di calore particolarmente intense, notti tropicali e picchi termici superiori in alcuni casi ai 40°C.
Lo zero termico normalmente attestato nel periodo estivo tra i 3.500 e i 4.000 metri è stato registrato oltre i 5.000 metri.
Purtroppo, questo scenario non è più un’eccezione, ma un sintomo evidente della drammatica accelerazione che ha assunto il cambiamento climatico. I dati scientifici parlano chiaro: il riscaldamento globale sta alterando inesorabilmente gli equilibri climatici del pianeta.
Viviamo nell’era geologica dell’antropocene, un’epoca in cui l’essere umano è diventato una forza geologica capace di modificare irreversibilmente i processi naturali del pianeta e lasciare in esso tracce permanenti. Il calore, non di origine naturale, ma antropica, sta velocemente riconfigurando la conformazione terrestre: scioglimento delle calotte polari e dei ghiacciai, fusione del permafrost, frane e smottamenti, innalzamento dei livelli del mare.
Si tratta dei cambiamenti più evidenti, visibili a tutti, facilmente confrontabili nell’arco di una generazione, ma ve ne sono altri più difficili da individuare che riguardano l’agricoltura, la pesca e la salute dell’uomo.
Secondo i dati del Copernicus Marine Environment Monitoring Service, il servizio di monitoraggio dell’Unione Europea, i mari e gli oceani si stanno progressivamente riscaldando, con effetti gravi sugli ecosistemi marini come barriere coralline, foreste di alghe e molte specie ittiche. Il calore superficiale influisce anche in profondità e contribuisce a modificare clima e correnti, sviluppando eventi meteorologici estremi. Un mare più caldo rilascia infatti più vapore acqueo e calore nell’atmosfera, alimentando nubifragi e venti violenti come la tempesta Vaia che ha devastato il Nord-Est nel 2018.
Un’ulteriore minaccia grava su mari e oceani: la cosiddetta “ondata di calore marina”. Sempre secondo Copernicus, nel Mediterraneo, uno dei mari più colpiti da questo fenomeno, si sta verificando uno squilibrio dell’ecosistema, con l’arrivo di specie invasive e la progressiva scomparsa di quelle autoctone. L’aumento delle temperature ostacola il naturale risalire delle acque profonde (upwelling), che trasportano nutrienti vitali per il fitoplancton provocando una diminuzione del cibo. I pescatori hanno lanciato l’allarme: sardine, alici e acciughe, si stanno riducendo in taglia e numero e rischiano di scomparire.
Se i mari e i pesci sono in difficoltà, anche la terra sta soffrendo. Le alte temperature e la siccità persistente stanno danneggiando le piante in tutte le fasi del loro ciclo biologico, dalla germinazione alla produzione dei frutti. Secondo gli esperti del CNR, il cambiamento climatico non solo sta riducendo la produzione di clorofilla, la molecola indispensabile per la fotosintesi, ma limita anche l’assorbimento di nutrienti dal suolo, fondamentali per la crescita e lo sviluppo delle piante. Le conseguenze sono la diminuzione quantitativa e qualitativa delle infiorescenze, un aumento dei parassiti e, in molti casi sterilità: fiori incapaci di produrre frutti e semi. Secondo la Coldiretti, entro il 2050 le perdite in agricoltura nell’Unione Europea potrebbero superare il 60%.
Per evitare un collasso la ricerca scientifica sta studiando soluzioni che permettano la sopravvivenza delle piante. Sempre secondo il CNR una possibile strada potrebbe essere rappresentata dalla selezione genetica di cultivar più resistenti alla siccità con foglie più piccole e radici più profonde; un esempio è rappresentato da una particolare varietà di grano, coltivato in Australia e Nord Africa.
La nostra salute non è esente dallo stress provocato dal caldo estremo. Le alte temperature influiscono sul corpo provocando disidratazione, calo della pressione, mal di testa e nausea. La qualità del sonno ne risente, aumenta l’irritabilità e l’aggressività, si riducono le capacità cognitive, soprattutto nei malati cronici e negli anziani. Si parla sempre più spesso di “angoscia climatica”, una forma di ansia e preoccupazione, riscontrata dagli psicologi, legata agli effetti della crisi climatica e all’incertezza sul futuro del pianeta.
È indispensabile continuare a impegnarsi con determinazione nel contrasto al cambiamento climatico, anche se, purtroppo, alcune importanti nazioni del mondo non lo considerino più una priorità.
Papa Francesco ha più volte esortato tutti nella salvaguardia del creato, ricordando che la Terra è la nostra casa comune e che ogni gesto di tutela e di protezione è un atto di amore verso Dio, verso l’umanità e verso le generazioni che verranno.
È una sfida urgente che impone un’azione coordinata e globale: solo attraverso l’impegno condiviso sarà possibile affrontare efficacemente le conseguenze del cambiamento climatico prima che diventino irreversibili.
© Bioetica News Torino, Ottobre 2025 - Riproduzione Vietata


