Nei giorni scorsi si è conclusa la COP 29, cioè la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. L’ecologia, l’ambiente, l’energia, in senso lato lo sviluppo sostenibile sono da anni al centro delle politiche internazionali. Le aspettative per questi incontri ad altissimo livello sono inevitabilmente in parte disattese. Gli interessi in gioco sono enormi. Le economie dei singoli Stati, a cominciare dalle cosiddette grandi potenze prevalgono sulla visione sovranazionale. Tuttavia il dialogo ed il confronto continuano ad essere un percorso obbligato, l’unica opportunità in grado di elaborare progetti condivisi a tutela del Pianeta. L’interconnessione tra crisi ambientale e crisi sociale, ossia l’ecologia integrale evidenziata da Papa Francesco rappresenta il contesto inevitabile nel quale affrontare e forse risolvere i problemi della Casa comune nella prospettiva di ridare speranza ad un’umanità sofferente che vive in un mondo in crisi.
Enrico Larghero
La montagna ha partorito il topolino. È l’amara constatazione che nasce spontanea al termine della Cop29, la Conferenza Onu sul clima, svoltasi a Baku, capitale dell’Azerbaigian. Era programmata dall’11 al 22 novembre ma sono occorse 32 ore in più del previsto per concludere i lavori. Solo alle 2.40 (ora locale) del 24 novembre, infatti, si è arrivati, tra mille difficoltà e sonori litigi, ad un accordo ritenuto insoddisfacente.
Cosa si è ottenuto? I paesi ricchi si sono impegnati a destinare 300 miliardi di dollari annui a partire dal 2035 ai paesi che non hanno sufficienti risorse interne per limitare l’uso dei combustibili responsabili del riscaldamento globale. Si è realizzato così un piccolo passo in avanti rispetto alla quota di cento miliardi di dollari precedentemente deliberata, ma – secondo il gruppo di esperti incaricati dalle Nazioni Unite – la cifra stabilita ora è ancora gravemente insufficiente. Sarebbero necessari, infatti, 1.300 miliardi di dollari per ottenere risultati efficaci.
Non si deve dimenticare che l’Occidente opulento, con l’inganno, ha devastato per troppo tempo interi territori africani riversando sostanze tossiche di difficilissimo smaltimento. Manca – ha ricordato Papa Francesco nell’Esortazione Apostolica Laudate Deum – un vero interesse per il futuro di quanti abitano in quei territori. Più in generale la politica delle superpotenze è troppo spesso volutamente concentrata solo sugli interessi dell’oggi ed è incapace di una progettualità a medio e lungo termine. Si obbligano così le future generazioni a subire i danni provocati da chi è vissuto prima di loro.
Inoltre, è sconcertante constatare che tra i partecipanti sono stati ammessi 1773 operatori delle aziende impegnate nello sfruttamento dei combustibili fossili e delle lobby di quanti sono contrari alla transizione energetica. Avevano il permesso di assistere alle discussioni e di dialogare con i delegati. Potevano così influenzare negativamente i lavori fornendo informazioni tendenziose, utili solo a favorire i loro interessi. Alla loro massiccia presenza, non è corrisposta quella di molti Capi di Stato e di governo, poco disposti a preoccuparsi del degrado ecologico e concentrati soprattutto a placare le controversie interne e internazionali. La loro decisione di inviare solo i loro funzionari è segno anche della caparbia volontà di mantenere lo status quo per non limitare i vantaggi economici derivati dall’utilizzo dei combustibili fossili. Non a caso si è registrata l’assenza dei leader di Stati come la Cina, annoverati tra le nazioni maggiormente inquinanti della Terra. Molti media hanno sottolineato anche la non partecipazione della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, di Joe Biden, di Emmanuel Macron e del brasiliano Luiz Inacio da Silva. Ancor più discussa è stata la più volte ribadita volontà di Donald Trump, nuovo presidente degli Stati Uniti, di rifiutare l’accordo di Parigi sul clima e di uscire dalla Convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici, deputata all’organizzazione delle Cop, per non dover sottostare ad alcun vincolo ambientale.
Un’altra grave contraddizione è data dal fatto che, mentre continuano ad essere scarse le risorse indirizzate al miglioramento delle condizioni del bio-regno, i paesi del G20, responsabili per l’80% delle emissioni nocive, continuano a sovvenzionare progetti finalizzati all’estrazione e all’utilizzo di petrolio, gas e carbone. Lo ha rilevato il recente rapporto dell’Oil Change International and Friends of the Earth. Dai dati emersi, risulta che nel triennio 2020-2022 sono stati stanziati per questo scopo 142 miliardi di dollari. Impressiona rilevare che l’Italia è tra i maggiori finanziatori. Ha destinato, infatti, 2,569 miliardi di dollari annui posizionandosi al quinto posto tra i contribuenti. Le sue quote sono addirittura maggiori di quelle fornite dagli Stati Uniti (2,25 miliardi di dollari). Il 13 novembre la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni è peraltro intervenuta al vertice di Baku auspicando l’utilizzo, accanto alle energie rinnovabili, anche di «gas, biocarburanti, idrogeno, cattura della CO2 e, in futuro, il nucleare da fusione che potrebbe produrre energia pulita, sicura e illimitata». Questa sua posizione è stata criticata da quanti ritengono che sarebbe stato più opportuno concentrare l’attenzione sull’abbandono di tutte le fonti fossili e manifestare maggiore prudenza per il ritorno al nucleare.
L’assise di Baku, a detta di molti, non è stata solo poco risolutiva, ma un vero e proprio flop. Si deve puntare perciò a realizzare nell’immediato futuro più convincenti scelte operative perché ci stiamo avviando verso una china pericolosa e senza ritorno. Basti pensare che quest’anno si è registrato un aumento dell’1,3% di emissioni di gas nocivi rispetto al 2023 perché sono state disperse nell’atmosfera 57,1 gigatonnellate di gas serra. Se si andrà avanti di questo passo nel 2100 la temperatura aumenterà di 3.1 gradi sconvolgendo drasticamente e irrimediabilmente gli equilibri del pianeta.
Giuseppe Zeppegno
© Bioetica News Torino, Dicembre 2024 - Riproduzione Vietata