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108 Dicembre 2024
Bioetica News Torino Natale 2024

Costruttori di ponti nel chiaroscuro del «progresso»

Potter, uno dei primi ad aver teorizzato il concetto di bioetica, definì questa disciplina come: «la scienza della sopravvivenza dell’uomo nell’ecosistema».

Da questa definizione risultano evidenti due elementi centrali per una qualsivoglia riflessione bioetica, ovverosia: in primis che la bioetica, nelle sue varie sfaccettature, si occupa dell’uomo; in secundis che ciò di cui si deve occupare è (soprattutto) la sopravvivenza della specie umana. 

L’uomo ha avuto bisogno di inventarsi una disciplina che si occupi della sua sopravvivenza. Questo è, di certo, un elemento su cui riflettere. È, infatti, interessante che l’uomo abbia bisogno di ricercare continuamente dei contemperamenti tra ciò che la tecnica permetterebbe e ciò che razionalmente ed eticamente è opportuno fare. 

La ricerca di un contemperamento è sempre stata necessaria, ma mai come in questo momento.

Infatti, la tecnica, che nasce e si sviluppa come ausilio alle «umane posse», nei millenni non ha mai minacciato l’esistenza degli esseri umani come in questo momento. 

A partire dal 16 luglio 1945, data in cui sotto la guida di Oppenheimer fu condotto il test nucleare Trinity, l’uomo ha iniziato a incidere in maniera significativa sui processi geologici segnando così l’inizio dell’antropocene.

Però, nonostante l’avanzare della tecnica, l’uomo è rimasto quello «della pietra e della fionda». 

Infatti, se lo sviluppo della tecnica è stato esponenziale negli ultimi due secoli, l’uomo non ha avuto il tempo di adattarsi ai nuovi scenari che gli si sono presentati dinnanzi. 

O, forse, seguendo la logica del contrappasso dantesco, l’aver delegato sempre di più alla tecnica ha sottratto all’uomo degli strumenti (memoria, senso critico, capacità valutativa, etc.) che gli sarebbero stati oltremodo necessari per adattarsi ai nuovi scenari. L’uomo, però, se non riesce ad adeguarsi rischia di diventare uno strumento asservito alla tecnica, un oggetto invece che un soggetto. 

Questa preoccupante situazione è stata magistralmente descritta da Antonio Gramsci con queste parole: «Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri».

Il «vecchio mondo» è quello che hanno vissuto i nostri nonni e che non si discostava più di tanto da quello che avevano vissuto i loro genitori, e così via. 

Il «nuovo mondo» è quello che costruiremo e nel quale ogni scenario è possibile allo stesso modo, indipendentemente dal fatto che sia utopico o distopico. 

Il «chiaroscuro» è ciò che contraddistingue il nostro presente, un tempo caratterizzato da innumerevoli transizioni (ambientale, digitale, demografica, culturale, etc.) che gli esseri umani (che sono rimasti quelli «della pietra e della fionda») faticano a decifrare in quanto non dispongono dello strumentario necessario. E, dinnanzi alle difficoltà interpretative che si presentano nel leggere il presente, gli esseri umani tendono a innalzare muri più che a costruire ponti. 

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Mai come nel nostro tempo la sfida è complessa. Bisogna sconfiggere i mostri, superare il chiaroscuro prima di venire inghiottiti dal buio (buio che, ad esempio, potremmo concretizzare nello scenario di un olocausto nucleare) per poter costruire ponti verso il futuro.

La bioetica ha l’arduo compito di tracciare i confini entro i quali ci si deve muovere. Al contempo, ognuno di noi ha la responsabilità di essere «costruttore di ponti».

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