Esiste innegabilmente un conflitto sociale che viene ridotto a una lite giudiziaria; ma i medici come possono pensare di risolverlo dichiarando guerra ai propri malati? L'interessante riflessione del filosofo della medicina Ivan Cavicchi per salvaguardare il futuro della medicina in Italia.
Le colonne dei giornali, i palinsesti televisivi, le migliaia di pagine delle testate online quotidianamente continuano a propinarci casi in cui sempre più cittadini si scontrano con i sanitari, sia a livello, ahimé, propriamente fisico sia per vie giudiziarie nelle aule dei tribunali.
La rabbia, l’indignazione nasce quando qualcuno, il cittadino, percepisce che un suo diritto è stato negato, quindi sente nascere dentro di sé un’esigenza riparativa, più o meno socialmente accettabile e/o giustificabile.
Il diritto preso in considerazione, ovviamente, è quello di essere curati nel miglior modo possibile e il dovere del sanitario dovrebbe essere quello di mettere in pratica tutto il possibile affinché tale richiesta sia esaudita nel migliore modo possibile.
Ormai è chiaro che il tradizionale paternalismo ippocratico all’interno della relazione terapeutica è stato messo in discussione per i più svariati motivi: ruolo dell’informazione mediatica, casi di malasanità, pazienti che non sono più “tanto pazienti” come una volta, e che diventano sempre più “agenti”, concetti importanti e fondamentali come quello di complessità del singolo caso clinico, che mette in discussione l’idea standard di protocolli comuni e condivisi validi per tutto.
Qualcosa è cambiato, certo, ma c’è qualcuno in questa diade “medici – pazienti” che vorrebbe far finta che non sia così.
Per proteggersi e tutelarsi, medici e sanitari reclamano scudi penali e maggiori tutele giuridiche (come la depenalizzazione dell’atto medico), ancorandosi ad uno sguardo rivolto verso il passato, ma soprattutto – e sbagliando – rifiutandosi di fare i conti con il presente, con i cambiamenti in atto presenti nell’attuale società.
L’autore de “La scienza Impareggiabile”, in questo agile e accattivante volumetto, ricostruisce la storia che ha portato alla formazione della commissione ministeriale la quale ha il compito di indagare le problematiche relative alla colpa professionale medica. Tema impegnativo che, secondo l’autore, deve essere affrontato con uno sguardo rivolto verso il futuro piuttosto che costruito su visioni nostalgiche e anacronistiche.
In quello che è un accorato appello da parte di uno studioso che ben conosce i meccanismi della sanità italiana, vengono proposti quelli che dovrebbero essere i capisaldi per il futuro della medicina in Italia, onde evitare un suicidio della stessa che avverrebe, secondo Cavicchi, con le proprie mani.
Un libro che va assolutamente letto, interiorizzato e discusso da tutti coloro che lavorano nell’ambito del “prendersi cura”.
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