Qual è la «formula» capace di descrivere e spiegare l’amore? Da millenni gli esseri umani si interrogano a questo proposito.
Nonostante la solennità degli innumerevoli tentativi, nessuno è riuscito a fornire una risposta definitiva al suddetto quesito. Non ci sono riusciti Catullo e Dante così come non ci è riuscito Paul Dirac (Premio Nobel per la Fisica, il quale ha teorizzato la c.d. «formula dell’amore»).
Antonio Canova scolpendo Amore e Psiche ha magistralmente trasposto sul marmo la tensione che caratterizza il sentimento amoroso. Un sentimento che è al contempo concreto ed evanescente e che per questo ci pare impossibile da descrivere con il solo uso della ragione.
E se non ci sono riusciti i grandi umanisti, potrà mai avere successo nell’impresa la tecnologia?
La risposta che sorgerebbe spontanea sarebbe di certo negativa. Da quando esiste lo strumento del digitale gli esseri umani hanno impiegato le sue potenzialità negli ambiti più disparati, ma probabilmente nessuno prima del diffondersi dell’Intelligenza Artificiale avrebbe mai pensato che un algoritmo potesse occuparsi d’amore.
Eppure l’IA ha sovvertito anche questo paradigma. Infatti, andiamo dalle IA relazionali (definizione che pare di per sé un ossimoro) come Replika1 agli algoritmi che hanno reso «infallibili» le app di incontri.
Però, ogniqualvolta si ricorra all’IA sarebbe opportuno interrogarsi circa la fallibilità intrinseca di un sistema che si basa solamente sulla validità delle correlazioni statistiche. Perché un assioma che è valido in 99 casi, potrebbe non esserlo per il 100esimo. Perché se il 99% dei giocatori di scacchi si fidanza e si sposa con una giocatrice di scacchi, non è detto che il 100esimo giocatore non possa essere felice e sentirsi completato da una fisica nucleare che non ha mai preso un pedone in mano in vita sua.
Nemmeno la statistica può riuscire a tradurre l’amore in un codice binario. Ed è, anzi, pericoloso. Ad esempio, affidandosi pedissequamente agli algoritmi delle app di incontri per trovare la propria anima gemella c’è il rischio di una «endogamia digitale». Questo inquietante scenario è stato magistralmente descritto da Gianluca Nicoletti in un articolo pubblicato il 27 ottobre 2024 su La Stampa2.
Secondo Nicoletti seguire gli algoritmi avrebbe come conseguenza ultima la riduzione dei tipi umani. Infatti – prosegue Nicoletti – si arriverebbe a un momento in cui i pochi bambini concepiti in Occidente sarebbero generati da persone che sono state accoppiate da un algoritmo.
Se ogni qualvolta si parla di algoritmi si rende necessario trattare in parallelo di algoretica, questa necessità diviene ancora più lampante in questa circostanza.
«Ingabbiare» le persone nella loro comfort zone è pericoloso. Basti pensare che persino i programmatori di Spotify hanno introdotto un «elemento di disturbo» del loro algoritmo. Infatti, oltre a proporre ad ogni utente le canzoni che dovrebbero piacergli secondo i suoi gusti musicali, l’algoritmo propone alcune playlist composte dalle canzoni che piacciono ad altri utenti e che, magari, non piaceranno all’utente finale a cui vengono proposte. Ciononostante Spotify permette all’utente finale di valutare con il suo cervello e con il suo cuore un quid che esula dalle scelte algoritmiche.
E se un ragionamento di questo tipo è stato adottato sulle canzoni che Spotify propone di ascoltare, a maggior ragione dovrebbe esserci un obbligo algoretico di inserire un meccanismo analogo anche nelle app di incontri.
E se è difficile immaginarsi un obbligo giudico in capo alle piattaforme di incontri di inserire una percentuale di aleatorietà nel realizzare gli accoppiamenti, dall’altra parte è assurdo pensare che dove non può il diritto statale (ovverosia nell’importi chi dovresti frequentare) possa un algoritmo detenuto da un’azienda privata al quale tu decidi spontaneamente di affidarti per scegliere chi dovrebbe essere la persona giusta per te.
In conclusione, da un lato è auspicabile che le piattaforme di incontri riflettano sugli «obblighi algoretici» di chi sviluppa algoritmi così rilevanti per la vita e la felicità delle persone. Dall’altro, a chi utilizza queste app per cercare l’anima gemella si augura di trovare la forza di spegnere lo smartphone, riscoprendo quanto può essere bello innamorarsi di qualcuno conosciuto per caso, magari in una giornata di pioggia, dopo aver perso l’ultimo autobus…
In fin dei conti sono le casualità (e non di certo gli algoritmi) a rendere ogni storia unica, ogni persona irripetibile e ogni vita degna di essere vissuta.
1.Si veda in tal senso: AA.VV., USA, 36enne «sposa» un uomo creato dall’intelligenza artificiale: «Non mi giudica ed è protettivo», in TGCOM24, <www.tgcom24.mediaset.it/mondo/usa-36enne-sposa-un-uomo-creato-dall-intelligenza-artificiale-non-mi-giudica-ed-e-protettivo_65630790-202302k.shtml> (ultima visita: 01.11.2024)
2. Nicoletti, Endogamia digitale, in Specchio – La Stampa, <www.lastampa.it/specchio/2024/10/27/news/endogamia_digitale-14747753/> (ultima visita: 01.11.2024)
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