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108 Dicembre 2024
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Stress, il grande nemico A colloquio con Maura Anfossi, referente del Servizio di Psicologia dell'ospedale Santa Croce di Cuneo

Il mondo nel quale viviamo appare estremamente conflittuale, sia a livello interpersonale, che globale. Giornalmente vengono riferiti episodi di stalking, bullismo, femminicidi, accanto ai quali i mezzi di comunicazione riportano guerre ed eventi naturali, quali terremoti, incendi, alluvioni. Lo stress è diventato un fedele compagno della nostra vita e il DSM-5, cioè il Manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali lo inserisce nelle edizioni più aggiornate. Particolare rilievo viene dedicato al Disturbo post-traumatico da stress, cioè alla reazione nei confronti di un evento doloroso cui fa seguito un quadro clinico rilevante che incide profondamente a livello psicofisico. Di tutto ciò ne parliamo con Maura Anfossi, psicoterapeuta rogersiana, referente del Servizio di Psicologia ospedaliera dell’Ospedale Santa Croce e Carle di Cuneo.

Dottoressa, da dove nasce l’idea del Trauma Center psicologico? 

Per rispondere rapidamente nella struttura pubblica alle situazioni di emergenza psicologiche causate da eventi ad impatto emozionale traumatico. In una città come Cuneo l’ospedale è un importante punto di riferimento per la cittadinanza e rappresenta la prima ancora di salvezza per chi si trova in una situazione di shock. Siamo stati motivati dal desiderio di garantire un supporto tempestivo e senza lista di attesa a tutti coloro che si trovano in condizioni di vulnerabilità psicologica a causa di eventi di vita altamente stressanti. Qui si pone la prima questione bioetica: l’equità di accesso, in linea con il principio di giustizia, al supporto psicologico nell’emergenza a tutti coloro che ne possono trarre giovamento e non solo a chi ha possibilità economiche e strumenti culturali per cercare aiuto. Con una attenzione particolare ai minori, che spesso sono doppiamente vittime perché particolarmente fragili: tra i nostri interventi più frequenti figurano infatti quelli con i bambini in occasione di ‘visite protette’ ai genitori in condizioni gravi o episodi di violenza assistita.

Quali sono le situazioni che giungono alla vostra osservazione?

Lutti traumatici, tra cui i lutti neonatali, incidenti (stradali, sul lavoro, in montagna), tentativi anticonservativi, suicidi, interventi chirurgici invasivi (come le amputazioni di arti), episodi di aggressività e violenza, catastrofi naturali. Interveniamo anche nei traumi vicari, le situazioni in cui gli operatori restano a loro volta traumatizzati dall’assistere e prestare soccorso al paziente vittima di trauma.

Siamo un gruppo di psicoterapeuti formati in psicotraumatologia e disponibili ad intervenire nell’arco di poche ore dando un supporto in ospedale, in seguito alla chiamata da parte delle équipe sanitarie dei 3 punti di pronto soccorso e dalle terapie intensive.

Nello specifico, quali eventi si possono configurare come trauma? 

Eventi che hanno un impatto negativo per sé o per le persone che amiamo e che sono caratterizzati da imprevedibilità. La morte di un congiunto dopo una lunga malattia è un grande dolore, ma non è un trauma perché è atteso: questo non lo rende meno doloroso, ma ha un impatto diverso sulla mente. Il crollo di un ponte invece è un evento  inatteso, che minaccia il senso di sicurezza del quotidiano.

L’intervento psicologico tempestivo favorisce il recupero del senso di sicurezza e pone le basi per una rielaborazione fisiologica del trauma. Utilizziamo la terapia EMDR (dall’inglese Eye Movement Desensitization and Reprocessing, cioè desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari), una metodologia basata sull’evidenza, per il trattamento del trauma. Ci siamo formati per offrire un trattamento appropriato perché l’inizio di ogni intervento determina il processo che avverrà. Prima si interviene meglio è. 

Riteniamo che l’intervento in emergenza abbia anche un significativo riparativo perchè permette di ricostruire la fiducia e reintegrare la persona all’interno della comunità, contrastando il senso di isolamento che inevitabilmente il trauma crea. Qui il nostro dilemma etico è capire quale sia la giusta distanza dai pazienti per garantire vicinanza, supporto e al tempo stesso essere rispettosi del momento delicato e dell’eventuale tendenza alla chiusura e alla autoprotezione. Ci chiediamo come mettere in sicurezza senza violare l’intimità, come decodificare al meglio i bisogni di chi è in condizioni di alta fragilità e può essere involontariamente condizionato.

Tra le varie realtà vi è un caso che ritiene più significativo, ovvero una situazione emblematica ?

Poche settimane fa ci siamo occupati di un minore straniero proveniente da un paese del nord Europa, che era in vacanza con il padre in un paesino delle nostre valli. Il padre ha avuto un infarto ed è stato rapidamente trasportato con l’elisoccorso nel nostro ospedale. Successivamente anche il ragazzino è stato accompagnato dalle forze dell’ordine: giunto in ospedale era solo e disorientato, incapace di comprendere la nostra lingua e senza adulti conosciuti. Siamo stati contattati dalla direzione sanitaria per supportarli nella comunicazione con il ragazzo sulle condizioni del padre. L’équipe medica è stata colpita emotivamente dalla situazione del minore: si sono attivati movimenti di attenzione e generosità verso il ragazzino, che diversi operatori si sono proposti di portare la sera a cenare a casa loro, con i propri figli. Il nostro intervento è stato quello di ipotizzare un percorso di sostegno del minore, ma con attenzione alle sue emozioni, alle sue preferenze e tutelandolo da eventuali ‘oblatività eccessive’. Abbiamo chiesto al figlio la sua preferenza per la cena: una pizza con coetanei in casa di qualche operatore o una pizza consumata in ospedale in una camera accanto al padre. Ha optato per questa seconda ipotesi. In caso contrario ci sarebbe stato il dubbio se l’eventuale autorizzazione ad uscire dall’ospedale da parte del padre, chiesta da parte dell’équipe curante, avrebbe potuto ottenere una risposta libera e non condizionata dal bisogno di compiacere medici e infermieri che si stavano prendendo cura di lui.  Entra in gioco il principio del rispetto della libera autodeterminazione.

In conclusione, alla luce del percorso sin qui attuato, quali sono le sue riflessioni umane e professionali che l’accompagnano?

Questa e altre esperienze del Trauma Center mi hanno permesso di osservare in diretta due aspetti del funzionamento psichico (la capacità auto riparatoria dell’essere umano e la possibilità di crescita post-traumatica) e come lo slancio di generosità vada vagliato con rigore professionale per evitare sconfinamenti e interferenze. Lo psicanalista Lacan diceva che nella terapia psicologica è necessario tacere l’amore, cioè essere capaci di contenere i propri sentimenti di affetto nei confronti delle persone di cui ci si prende cura per evitare intrusioni, senso di debito o gratitudine eccessiva. Empatia non è simpatia, accoglienza non è sostituzione, supporto non è soddisfazione dei bisogni altrui ma accoglienza dei loro vissuti. L’equilibrio tra principio di beneficienza e principio di autonomia è delicato e richiede attenzione e vigilanza sia quando si imposta l’intervento, sia mentre lo si attua, sia nel momento della sua conclusione.

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