La popolazione mondiale di anziani entro il 2050 supererà i 2 miliardi. Ciò significa che vi sarà più del doppio delle persone sopra i 60 rispetto ai bambini sotto i 5 anni. I dati nel nostro Paese sono in linea con tale tendenza, registrandosi ad oggi una preponderanza di anziani oltre i 14 milioni, ovvero il 25% della popolazione. Le ricadute della cosiddetta “piramide sociale invertita” sono tangibili, per certi versi drammatiche. Anche in ambito sanitario un fenomeno di così grandi dimensioni sta mettendo in evidenza alcune criticità, nuove forme di fragilità tra cui in primis un quadro clinico di una sempre maggiore incidenza di deterioramenti cognitivi. Ne parliamo con Fausto Fantò, medico geriatra di grande esperienza e competenze in tale ambito.
Viaggio attraverso una malattia al femminile. Intervista al Dottor Fausto Fantò
Dottor Fantò, cosa si intende per demenza? Quali i dati?
La demenza è una malattia cronico-degenerativa caratterizzata da un deterioramento delle funzioni cognitive superiori (quelli che ci permettono di rapportarci con l’ambiente), tali da interferire con la normale attività della vita quotidiana. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), la demenza costituisce un problema di salute pubblica. Sono oltre 50 milioni nel mondo le persone affette da demenza e i dati ci dicono che nel 2050 le persone colpite da questa malattia saranno oltre 150 milioni (1 malato ogni 3.2 secondi).
Particolare rilievo viene assegnato alla malattia di Alzheimer. Cosa può dirci in merito?
La malattia di Alzheimer (MA) è la forma più frequente, rappresentando circa il 60% di tutte le demenza. La malattia colpisce prevalentemente il sesso femminile (i 2/3 dei malati di Alzheimer sono donne) e i soggetti ultra 65 enni.
La malattia aumenta in modo esponenziale con l’aumentare dell’età (negli ultra ottantenni sono oltre il 30% i soggetti colpiti). Nel nostro Paese, secondo la Federazione Alzheimer Italia, le persone affette da demenza, al momento, sono circa 1 milione e mezzo e questo numero è destinato ad aumentare nei prossimi anni; si stima che nel 2050, saranno circa 2.500.000 le persone con demenza.
Quali in sintesi le cause?
La MA è una malattia neurodegenerativa caratterizzata, dal punto di vista anatomo-patologico, dalla presenza di placche di amiloide (presenti anche nel cervello senile anche se quantitativamente minore), costituiti da accumuli di una proteina chiamata beta-amiloide; tali accumuli innescano una cascata di eventi che conducono alla morte cellulare e alla perdita di sinapsi; inoltre all’interno delle cellule si accumula una proteina (proteina tau) che determina la disfunzione neuronale.
Dottor Fantò, lei ha appena pubblicato un libro dal titolo suggestivo ed inquietante al tempo stesso: “L’Alzheimer è donna”. Quali le ragioni?
La MA coinvolge prevalentemente il sesso femminile (in USA su 5 milioni di persone affette da demenza, 3.2 milioni sono donne) e sono donne (in genere moglie o figlie) i 2/3 dei caregiver (Cg) che si prendono cura.
Nel libro abbiamo affrontato le problematiche legate a questa malattia che “preferisce” il sesso femminile.
Le donne vivono più a lungo degli uomini (almeno 5 anni di differenza), ma non è solo questo il motivo per cui la MA prevale nel sesso femminile; nel libro vengono prese in considerazioni altre ipotesi (genetiche, ormonali, socio-culturali, ecc) che possono essere responsabili del maggior rischio delle donne di sviluppare la malattia.
Si può dire che la MA rappresenta una malattia di genere.
Ma perché donna?
Perché oltre ad essere maggiormente colpite dalla malattia, il peso dell’assistenza normalmente ricade sulle donne. L’Alzheimer coinvolge non solo la persona malata, ma l’intera famiglia che per anni deve farsi carico di una assistenza gravosa e che si modifica nel corso dello sviluppo della progressione della malattia e che un impatto sulla salute di chi si prende cura.
Il Cg che assiste una persona con Alzheimer, ha un alto rischio di ammalarsi; numerosi sono i Cg che si ammalano: ansia, insonnia, depressione, ipertensione, aritmie cardiache sono le patologie più frequenti per chi assiste un malato con MA e che a loro volta diventano fattori che possono contribuire allo sviluppo della MA.
Considerata la dimensione del fenomeno, si stima che le persone in qualche modo coinvolte nell’assistenza e cura dei malati con demenza siano 6/7 milioni.
A che punto sono gli studi sull’Alzheimer? La ricerca farmacologica e scientifica ha investito molto in questi anni. Possiamo identificare alcuni punti cardine? Si può prevenire?
La demenza rappresenta la settima causa di morte e una delle principali cause di disabilità.
Numerosi sono i fattori di rischio cosiddetti modificabili che contribuiscono al determinismo della MA. Sono fattori legati allo stile di vita quali l’obesità, la sedentarietà, l’uso di sostanze voluttuarie come alcool, fumo e droghe o malattie quali l’ipertensione, il diabete, l’ipercolesterolemia, la depressione o fattori socio-culturali quali la mancanza di relazioni sociali, l’isolamento e la bassa scolarità.
Il controllo di questi fattori di rischio, secondo studi recenti, può contribuire a ridurre il rischio di sviluppare la MA del 30-40%.
Al momento purtroppo non ci sono farmaci in grado di incidere sulla evoluzione della malattia, anche se negli ultimi anni sono stati approvati (in USA e non in Europa e Italia) dei farmaci monoclonali in grado di ridurre le placche di amiloide ma i cui risultati clinici sono ancora dubbi e meritevoli di ulteriori riscontri.
Dunque una vita sana, attiva, seguendo una dieta povera di grassi e zuccheri, piena di relazioni sociali ed amicali, riduce il rischio di ammalarsi di Alzheimer.
Parallelamente è auspicabile che gli studi sulle Neuroscienze possano aprire nuove prospettive, sia in termini di diagnosi che di cure efficaci, in grado di contrastare una patologia così devastante. Tutelare la persona, la famiglia e la comunità che se ne occupa significa ricreare una rete relazionale in grado di dare nuova dignità e speranza ai malati di Alzheimer.
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